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LE DICHIARAZIONI SPONTANEE DI MICHELE BUONINCONTI

Come potrò Signor Giudice, dopo la distruzione che i responsabili di questo errore giudiziario hanno aggiunto al dolore per la perdita della loro madre, ricostruire il rapporto con i miei figli ormai violato per sempre dalle calunnie e dal sospetto?

#uncasoallavoltafinoallafine 

con la squisita collaborazione della nota criminologa URSULA FRANCO 

Dottoressa URSULA FRANCO
Le dichiarazioni spontanee di Michele Buoninconti

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“Signor Giudice, io, Michele Buoninconti, nato a Sant’Egidio del Monte Albino il 28 luglio 1969, vedovo a causa di una tragica fatalità e padre di quattro figli, sono la vittima di un errore giudiziario. Mia moglie, Elena Ceste, si è allontanata da casa nuda durante una crisi psicotica il 24 gennaio 2014 ed i suoi resti sono stati ritrovati il 18 ottobre dello stesso anno a poche centinaia di metri da casa nostra, nel letto del Rio Mersa. Già all’indomani della scomparsa di Elena i carabinieri della stazione di Costigliole mi si rivolsero chiamandomi Misseri e Parolisi. Signor Giudice, nulla mi accomuna a questi due signori e non credo che lei possa biasimarmi per le parole di disistima rivolte ai carabinieri dopo che gli stessi si erano permessi di darmi dell’assassino in un momento così disgraziato della mia vita.

Questi stessi carabinieri sono stati la causa prima dell’errore giudiziario, il luogotenente Giuseppe Toledo, il maresciallo capo Michele Sarcinelli ed il carabiniere scelto Stefano Trinchero poiché ignorano la psichiatria non hanno creduto alle mie parole, alle parole di uomo disperato alla ricerca di sua moglie, si sono convinti, a torto, che Elena non potesse essersi denudata ed allontanata da casa con le sue gambe in preda ad una crisi psicotica. Non solo la mia consulente, ma ben prima i consulenti dell’accusa hanno concluso che mia moglie era psicotica ed allora perché attribuirmi la sua morte? Elena non era mai stata sottoposta a terapia farmacologica in quanto nessuno di coloro che l’aveva avvicinata nei mesi di ottobre e novembre 2013 aveva riconosciuto in lei i sintomi della psicosi. Signor Giudice, non si guarisce dalla psicosi senza una terapia specifica.

All’indomani dei risultati dell’autopsia sui resti di mia moglie sono stato arrestato e da allora mi trovo in carcere, perché? Le ricordo che mi è stato perfino impedito di assistere ai funerali di mia moglie con i miei figli, non lo trova imperdonabile? Riguardo alla causa della morte, i medici legali non sono giunti a determinarla ed hanno escluso la maggior parte delle cause di morte violenta ed allora le chiedo ancora perché io sono stato arrestato e mi trovo qui davanti a lei? Al momento del ritrovamento dei resti di mia moglie non ho nominato un consulente medico legale perché non avevo nulla da temere non avendola uccisa, ma la procura di Asti evidentemente non è quella di Aosta e cercava, a tutti i costi, un responsabile in carne ed ossa. Perché cercare dai medici legali una risposta precisa se gli stessi non sono stati in grado di darla analizzando i soli resti della povera Elena quando attraverso l’analisi delle risultanze delle indagini si poteva giungere facilmente alla causa della morte di mia moglie? L’ipotesi dei medici legali dell’accusa rimane limitata all’analisi dei resti di Elena mentre le indagini allargano la prospettiva, permettono di escludere l’omicidio ed accreditano la tragica casualità. Signor Giudice, se i medici legali avessero avuto certezza dell’asfissia, secondo lei, non avrebbero scritto: Causa della morte: omicidio per asfissia? O mi sbaglio? Signor Giudice, io mi trovo davanti a lei senza un motivo vero, non c’è alcuna certezza che mia moglie sia stata uccisa e la procura non può provarlo, né ora, né mai, semplicemente perché non è accaduto.

Ma davvero lei crede che sia possibile che io con una mano abbia serrato gli orifizi di mia moglie (come sostenuto dal pubblico ministero Laura Deodato nella sua requisitoria) per sei lunghissimi minuti, un tempo interminabile, senza che lei si difendesse, senza che lei provasse a togliermi la mano, senza che mi mordesse o mi graffiasse, allungando così inesorabilmente i tempi del presunto omicidio? Lei è a conoscenza che questa modalità omicidiaria, che si chiama soffocazione diretta, si vede raramente negli omicidi di soggetti adulti sani in quanto è difficile mantenere la compressione degli orifizi aerei nell’individuo che si difende vigorosamente, così come si legge nel libro di Medicina Legale di Clemente Puccini, tanto amato dai medici legali dell’accusa, i quali però hanno accusato la mia consulente di non dire il vero quando la stessa durante l’udienza l’ha citato riguardo a questo tipo di soffocazione?

Elena delirava e sentiva le voci quella notte e si picchiava in testa, non me lo sono inventato, questa crisi psicotica si ascrive perfettamente nel quadro dei suoi disturbi precedenti, quei disturbi di ottobre e novembre, li chiami crisi psicotica come l’accusa o pensieri ossessivi persecutori come la consulente della difesa. Quella mattina con i miei figli ho lasciato Elena a casa verso le 8.10 e, circa 35 minuti dopo, Elena non c’era più e la casa era nelle stesse condizioni in cui l’avevo lasciata, nonostante Elena fosse rimasta per fare le faccende domestiche. Secondo lei mia moglie rimase in casa 35 minuti senza fare niente o si allontanò subito dopo che la vide la signora Riccio in cortile, come vuole la logica? Se Elena fosse rimasta in casa, avrebbe rifatto tutti i letti e sistemato la cucina, di sicuro non avrebbe perso tempo, sapendo che avrebbe dovuto sistemare la casa, recarsi dal dottore e preparare il pranzo per sei persone. Elena non stava bene, per questo non accompagnò i bambini a scuola quella mattina, per questo saremmo dovuti andare dal dottore e per questo si allontanò. Elena era vestita di tutto punto con abiti che profumavano di pulito ed era solita farsi la doccia alla sera. Quella mattina, Signor Giudice, Elena non si fece la doccia, non la trovai nuda e non la uccisi, è un’accusa falsa ed infamante e priva di fondamento.

Ci vogliono le prove per condannare un uomo, e la procura non le ha perché non esistono, non si può trasformare a piacimento un innocente in un colpevole, tra l’altro, di un omicidio che non c’è stato.

Vede Signor Giudice, sono riuscito a sopravvivere all’ingiustizia grazie alla forza della verità, una verità che nessuno potrà mai togliermi, nessuno potrà mai modificare i fatti di quella mattina che saranno uguali a se stessi in eterno essendo già accaduti.

Il 24 gennaio 2014 non ho ucciso la madre dei miei figli e non ho occultato il suo corpo. Quella mattina, dopo essere tornato a casa ed aver cercato Elena in cortile e dentro l’abitazione, ho chiamato la vicina Marilena Ceste e poco dopo l’altro vicino Aldo Rava, dopo la telefonata senza risposta ai Rava mi sono recato da loro, saranno state più o meno le 9.00, mi ha visto Marilena Ceste dalla finestra mentre beveva il caffè, ha pensato che parlassi con Aldo Rava, invece in quell’occasione Aldo non ha udito il citofono, così come non aveva sentito il telefono, ma i citofoni non hanno memoria, non si possono richiederne i tabulati!

Signor Giudice, non vorrei ridurmi a dire quello che mi accingo a dire ma vi sono costretto: non c’è assolutamente nulla che provi questo presunto osceno occultamento, non sono stati trovati segni del trasporto di un cadavere in auto, né alcun segno su di me prodotto dai rovi o macchie di fango sui miei vestiti o fango sulle mie scarpe, nonostante io sia stato accusato di aver occultato un corpo sotto il fango in una zona abitata dai rovi. E poi, non le pare impossibile che io abbia potuto, come sostiene l’accusa, aver occultato un corpo in quel modo in soli due minuti? Nessuno occultò il cadavere di Elena, mia moglie si nascose in quel rio con tutta probabilità entrando a monte del tubo di cemento per raggiungerlo, Elena era stanca, non aveva dormito ed aveva passato la notte a delirare, una volta sentitasi al sicuro si addormentò, lo stato soporoso ed il coma subentrarono al sonno a causa dell’ipotermia e la portarono a morte. Signor Giudice, la presenza dell’acqua in quel rio favorì l’assideramento, particolare che mi sembra sia sfuggito ai tre medici legali in aula lo scorso 22 luglio!

Signor Giudice, come avrà avuto modo di leggere sulle carte, io non avevo alcun motivo di uccidere mia moglie. Un presunto motivo se lo sono inventato i miei accusatori ma non l’hanno provato, il loro libero convincimento non ha alcun fondamento, l’accusa si è inventata una crisi matrimoniale che non c’è mai stata, non ho mai avuto una discussione con Elena, né mia moglie si è mai lamentata di me con nessuno, né ha mai parlato con me o con altri di divorzio, non ero a conoscenza dei suoi presunti tradimenti, mia moglie era malata, si sono approfittati di lei e nonostante in molti avessero compreso il suo disagio nessuno dei suoi confidenti me lo ha mai comunicato. Elena, a me, fino al pomeriggio del 23 gennaio ha tenute nascoste le sue paure.

Come è possibile che nella richiesta di applicazione della misura cautelare a pag. 131 la dottoressa Deodato concordi con me sul fatto che il contenuto dei messaggi inviati da Silipo a mia moglie fosse innocuo ed al contempo li consideri il movente di un omicidio? Non è anche per lei l’ennesima offesa al buon senso? Io quei messaggi non li lessi il giorno 21 e non mi fecero alcun effetto il giorno 23 quando mia moglie me li fece leggere. Come sostiene anche la Deodato, sempre a pag. 131 dello stesso documento, Elena non rispose a quei messaggi ed appariva semplicemente il bersaglio di attenzioni non gradite, null’altro.

La mia vita è ormai un libro aperto e non c’è nulla di cui io non vada orgoglioso, ho solo il rimorso di non aver capito l’entità del disagio psichico di mia moglie quella notte e di non aver chiamato un medico. Non ho creduto ai suoi tradimenti ed ho ancora difficoltà a crederci, ritengo che Elena abbia invece frequentato soggetti che si sono approfittati di lei in un momento di debolezza e quando si sono accorti delle sue difficoltà hanno taciuto. Ha taciuto anche Don Roberto che non mi ha voluto riferire che cosa gli avesse confidato Elena, a me, suo marito, ma lo stesso Don Roberto non ha avuto remore a rilasciare interviste televisive dove si è aperto invece con i giornalisti e ciò mi ha profondamente addolorato.

Mi si accusa di depistaggi e di aver premeditato tutto in quanto conosco le tecniche di ricerca. Davvero lei può credere che io avrei potuto prevedere che i cani dei gruppi cinofili non avrebbero trovato mia moglie a due passi da casa nostra? Crede davvero che io fingessi di cercare Elena in auto a velocità moderata con il finestrino abbassato sulla strada da Govone o crede forse semplicemente che la cercassi come vuole la logica? Crede davvero che se avessi ucciso mia moglie avrei perso tempo al telefono ed avrei chiamato i vicini prima di occultarne il corpo a poche centinaia di metri da casa? Niente di ciò che sostiene l’accusa è sorretto dalla logica, non chiamai i vicini per preordinarmi una linea difensiva, li chiamai semplicemente perché non trovavo mia moglie. Se avessi ucciso Elena e subito dopo avessi chiamato la vicina, chi mi avrebbe garantito che Marilena Ceste dopo la mia telefonata delle 8.55.04 non sarebbe uscita a cercarla verso l’area del Rio Mersa dove secondo la procura io nascosi il suo corpo? Perché, se l’avessi uccisa, avrei dovuto avere fretta di denunciare la scomparsa di Elena ai vicini, ai suoi familiari ed ai carabinieri? Crede davvero che sia possibile che un assassino al suo primo omicidio uccida e nel giro di pochi secondi sia pronto ad occultare il corpo della sua vittima e che in quel frangente chiami i vicini? Solo io trovo la ricostruzione della procura illogica o anche lei? Crede che io abbia un ruolo in ciò che ha riferito mio figlio Giovanni, o che la madre invece gli prospettò una fuga poco prima che lo accompagnassi a scuola e che Elena purtroppo già premeditasse di scappare?

Mi sono chiesto, rileggendo per l’ennesima volta l’ordinanza del Giudice Marson, poi l’ordinanza dei tre Giudici del riesame ed infine la richiesta di giudizio immediato dello stesso Giudice Marson, come sia possibile che se il Giudice Marson ha ritenuto nell’ordinanza la premeditazione fondante, dopo che è stata esclusa con vigore dai giudici del riesame, smontando così in gran parte il castello accusatorio, il suddetto Giudice abbia richiesto, nonostante tutto, il mio rinvio a giudizio? Signor Giudice, la verità è che io sono stato rinviato a giudizio perché nessuno si è spiegato diversamente la morte di mia moglie se non per mano mia, ma ora che esiste una spiegazione alternativa logica e plausibile, cui tra l’altro si confanno tutte le risultanze investigative, perché sono ancora in carcere? Perché sono stato costretto a raggiungere quest’aula ammanettato? La prego, me lo spieghi lei!

Come è possibile Signor Giudice che nell’ordinanza del Giudice Marson si descriva il luogo in cui sono stati ritrovati i resti di Elena come impraticabile, inaccessibile, impervio e difficilmente raggiungibile, e questo alle pagine 15 e 17, ed invece solo alla pagina 29 della stessa ordinanza il luogo sia descritto come agevole per un’attività di occultamento? Come possono variare così drasticamente le condizioni dei luoghi agli occhi dello stesso Giudice nella stessa ordinanza? Impervie per nascondervisi ma agevoli per occultare. Non è indubbio, anche secondo lei, che quali che fossero le condizioni del Rio Mersa, il letto del rio sarebbero stato sempre più facile da raggiungere da parte di un singolo nell’atto di nascondersi piuttosto che da parte di un soggetto intento ad occultare un ingombrante cadavere?

Ed ancora all’indomani del ritrovamento dei resti della povera Elena sono stato accusato di non aver rivelato di essere stato in quel luogo quella mattina. Ho cercato mia moglie dappertutto, non avrebbe avuto senso fare un elenco dettagliato dei luoghi battuti. Sono stato anche accusato di aver rivelato di essere stato lì per un preciso motivo, ma come lei ben sa non ho mai avuto alcun motivo di giustificare a nessuno la mia presenza nei pressi del Rio Mersa, non esiste, Signor Giudice, una fatidica “pregressa mancata rivelazione”, sono rimasto semplicemente basito nel momento in cui ho saputo che avevano ritrovato i resti di Elena in un luogo dove l’avevo cercata. E’ capitato a tutti di dire parole simili alle mie dopo aver ritrovato un oggetto smarrito in un luogo dove lo si era già cercato. Per me, Signor Giudice, è stato un enorme dolore apprendere di essere stato vicino a trovare Elena quella mattina e di non essere riuscito a salvarla e sarà per sempre il mio cruccio.

Signor Giudice, sono stato sottoposto in carcere ad una perizia psichiatrica. Come è possibile che in un paese libero, come il nostro, un innocente venga sottoposto a questa umiliazione? Allo psichiatra che mi ha analizzato, al dottor Pirfo, contro ogni protocollo di tutela di un sospettato e poi di un indagato, la dott.ssa Deodato ha fornito gli atti dell’accusa prima che mi incontrasse, le testimonianze, l’ordinanza e, ahinoi, pure le annotazioni dei carabinieri di Costigliole. Come può il giudizio del dottor Pirfo, dopo tali letture, essere stato scevro da pregiudizi? Egli ha letto, tra l’altro, solo gli atti dell’accusa, non essendo ancora disponibile la consulenza criminologica della difesa, il dottor Pirfo si è fatto così involontariamente un’idea preconcetta dei fatti occorsi il 24 gennaio 2014. La sua disposizione nei miei confronti era viziata, non libera da pregiudizi come avrebbe dovuto essere e le conclusioni della sua consulenza, proprio per questo motivo, non hanno alcun valore scientifico. Egli ha redatto semplicemente una consulenza di parte, nel senso dispregiativo del termine. Lei sa che quattro relazioni, tra l’altro riportate nella consulenza dello stesso dottor Pirfo, sul giudizio di idoneità al servizio personale di ruolo di vigile del fuoco, redatte nel 2002, 2006 e nel 2009 concludevano che il mio sistema neuropsichico era integro, mentre nell’ultima relazione redatta in data 30 luglio 2013, sei mesi prima della scomparsa di Elena, dal comando provinciale dei vigili del fuoco di Cuneo si legge: “(…) dai contenuti riferiti e dall’osservazione diretta della persona non si rilevano segni evidenti di psicopatologie in atto. Dagli stessi contenuti non si rilevano segni evidenti di deficit e disagi psicologici in atto”. Non vi è quindi all’anamnesi, un’anamnesi che copre più di dieci anni e tutta riferibile all’età adulta, nulla che supporti assolutamente le conclusioni del dottor Pirfo, quanto piuttosto il contrario. Vede, il disturbo che mi è stato diagnosticato dal dottor Pirfo è un disturbo di personalità ed ogni disturbo di personalità è un modello inflessibile e pervasivo di personalità che affligge un soggetto nell’età adulta in modo permanente, quindi tale disturbo avrebbero dovuto già diagnosticarmelo nel corso degli esami neuropsichici cui mi hanno sottoposto i vigili del fuoco in precedenza. Signor Giudice, non crede anche lei che qualcuno si sbagli? Non si sbaglia la procura a pensare che Elena fosse guarita pur senza fare alcuna terapia e che io mi sia invece improvvisamente ammalato di un disturbo di personalità che rende coloro i quali ne sono affetti capaci di uccidere?

Sono stanco Signor Giudice di lottare contro le ingiuste accuse che mi sono mosse, sono più di 9 mesi che mi trovo in carcere accusato di un infamante omicidio che non ho commesso, le chiedo di porre fine a questo strazio per i miei figli, per me e per Elena che non avrà pace finché tutta la verità non verrà fuori. Signor Giudice, sono stato privato senza motivo della libertà e sottoposto ad impensabili umiliazioni. Lei crede che coloro che mi hanno condotto qui di fronte a lei, ignorando la verità e qualsiasi giustizia, saranno mai in grado, una volta che sarò fuori, di ridarmi la mia vita passata? Come potrò Signor Giudice, dopo la distruzione che i responsabili di questo errore giudiziario hanno aggiunto al dolore per la perdita della loro madre, ricostruire il rapporto con i miei figli ormai violato per sempre dalle calunnie e dal sospetto? È con profondo rispetto che glielo chiedo: Non si renda complice, Signor Giudice, di questo errore giudiziario, sia il primo rappresentante di questo sistema, che garantista non è, a guardare i fatti dalla giusta prospettiva, non aggiunga dolore al dolore, non rallenti l’esplosione della verità e della giustizia, non permetta che un solo giorno in più di carcere scontato da un innocente pesi sulla sua coscienza, mi faccia tornare a crescere i miei figli. Ne ho il diritto”.

“Dal libro del profeta Daniele:
In quei giorni, abitava a Babilonia un uomo chiamato Ioakìm, il quale aveva sposato una donna chiamata Susanna, figlia di Chelkìa, di rara bellezza e timorata di Dio. I suoi genitori, che erano giusti, avevano educato la figlia secondo la legge di Mosè. Ioakìm era molto ricco e possedeva un giardino vicino a casa, ed essendo stimato più di ogni altro, i Giudei andavano da lui. In quell’anno erano stati eletti giudici del popolo due anziani; erano di quelli di cui il Signore ha detto: «L’iniquità è uscita da Babilonia per opera di anziani e di giudici, che solo in apparenza sono guide del popolo». Questi frequentavano la casa di Ioakìm, e tutti quelli che avevano qualche lite da risolvere si recavano da loro. Quando il popolo, verso il mezzogiorno, se ne andava, Susanna era solita recarsi a passeggiare nel giardino del marito. I due anziani, che ogni giorno la vedevano andare a passeggiare, furono presi da un’ardente passione per lei: persero il lume della ragione, distolsero gli occhi per non vedere il Cielo e non ricordare i giusti giudizi. Mentre aspettavano l’occasione favorevole, Susanna entrò, come al solito, con due sole ancelle, nel giardino per fare il bagno, poiché faceva caldo. Non c’era nessun altro al di fuori dei due anziani, nascosti a spiarla. Susanna disse alle ancelle: «Portatemi l’unguento e i profumi, poi chiudete la porta, perché voglio fare il bagno». Appena partite le ancelle, i due anziani uscirono dal nascondiglio, corsero da lei e le dissero: «Ecco, le porte del giardino sono chiuse, nessuno ci vede e noi bruciamo di passione per te; acconsenti e concediti a noi. In caso contrario ti accuseremo; diremo che un giovane era con te e perciò hai fatto uscire le ancelle». Susanna, piangendo, esclamò: «Sono in difficoltà da ogni parte. Se cedo, è la morte per me; se rifiuto, non potrò scampare dalle vostre mani. Meglio però per me cadere innocente nelle vostre mani che peccare davanti al Signore!». Susanna gridò a gran voce. Anche i due anziani gridarono contro di lei e uno di loro corse alle porte del giardino e le aprì. I servi di casa, all’udire tale rumore in giardino, si precipitarono dalla porta laterale per vedere che cosa le stava accadendo. Quando gli anziani ebbero fatto il loro racconto, i servi si sentirono molto confusi, perché mai era stata detta una simile cosa di Susanna. Il giorno dopo, quando il popolo si radunò nella casa di Ioakìm, suo marito, andarono là anche i due anziani, pieni di perverse intenzioni, per condannare a morte Susanna. Rivolti al popolo dissero: «Si faccia venire Susanna, figlia di Chelkìa, moglie di Ioakìm». Mandarono a chiamarla ed ella venne con i genitori, i figli e tutti i suoi parenti. Tutti i suoi familiari e amici piangevano. I due anziani si alzarono in mezzo al popolo e posero le mani sulla sua testa. Ella piangendo alzò gli occhi al cielo, con il cuore pieno di fiducia nel Signore. Gli anziani dissero: «Mentre noi stavamo passeggiando soli nel giardino, è venuta con due ancelle, ha chiuso le porte del giardino e poi ha licenziato le ancelle. Quindi è entrato da lei un giovane, che era nascosto, e si è unito a lei. Noi, che eravamo in un angolo del giardino, vedendo quella iniquità ci siamo precipitati su di loro. Li abbiamo sorpresi insieme, ma non abbiamo potuto prendere il giovane perché, più forte di noi, ha aperto la porta ed è fuggito. Abbiamo preso lei e le abbiamo domandato chi era quel giovane, ma lei non ce l’ha voluto dire. Di questo noi siamo testimoni». La moltitudine prestò loro fede, poiché erano anziani e giudici del popolo, e la condannò a morte. Allora Susanna ad alta voce esclamò: «Dio eterno, che conosci i segreti, che conosci le cose prima che accadano, tu lo sai che hanno deposto il falso contro di me! Io muoio innocente di quanto essi iniquamente hanno tramato contro di me». E il Signore ascoltò la sua voce.
Mentre Susanna era condotta a morte, il Signore suscitò il santo spirito di un giovanetto, chiamato Daniele, il quale si mise a gridare: «Io sono innocente del sangue di lei!». Tutti si voltarono verso di lui dicendo: «Che cosa vuoi dire con queste tue parole?». Allora Daniele, stando in mezzo a loro, disse: «Siete così stolti, o figli d’Israele? Avete condannato a morte una figlia d’Israele senza indagare né appurare la verità! Tornate al tribunale, perché costoro hanno deposto il falso contro di lei». Il popolo tornò subito indietro e gli anziani dissero a Daniele: «Vieni, siedi in mezzo a noi e facci da maestro, poiché Dio ti ha concesso le prerogative dell’anzianità». Daniele esclamò: «Separàteli bene l’uno dall’altro e io li giudicherò». Separàti che furono, Daniele disse al primo: «O uomo invecchiato nel male! Ecco, i tuoi peccati commessi in passato vengono alla luce, quando davi sentenze ingiuste, opprimendo gli innocenti e assolvendo i malvagi, mentre il Signore ha detto: Non ucciderai il giusto e l’innocente. Ora, dunque, se tu hai visto costei, di’: sotto quale albero tu li hai visti stare insieme?». Rispose: «Sotto un lentìsco». Disse Daniele: «In verità, la tua menzogna ti ricadrà sulla testa. Già l’angelo di Dio ha ricevuto da Dio la sentenza e ti squarcerà in due».
Allontanato questi, fece venire l’altro e gli disse: «Stirpe di Canaan e non di Giuda, la bellezza ti ha sedotto, la passione ti ha pervertito il cuore! Così facevate con le donne d’Israele ed esse per paura si univano a voi. Ma una figlia di Giuda non ha potuto sopportare la vostra iniquità. Dimmi dunque, sotto quale albero li hai sorpresi insieme?». Rispose: «Sotto un léccio». Disse Daniele: «In verità anche la tua menzogna ti ricadrà sulla testa. Ecco, l’angelo di Dio ti aspetta con la spada in mano, per tagliarti in due e così farti morire».
Allora tutta l’assemblea proruppe in grida di gioia e benedisse Dio, che salva coloro che sperano in lui. Poi, insorgendo contro i due anziani, ai quali Daniele aveva fatto confessare con la loro bocca di avere deposto il falso, fece loro subire la medesima pena che avevano tramato contro il prossimo e, applicando la legge di Mosè, li fece morire. In quel giorno fu salvato il sangue innocente”.

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