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PIANO ALLOGGI OPERAI «FIAT DI MELFI», RISARCIMENTO DA OLTRE 1 MILIONE DI €

Progetto naufragato nel 2011, il comune di Lavello vince

Alloggi per gli operai della «Fiat di Melfi»: al Comune di Lavello maxi risarcimento da 1 milione e 459 mila euro. Non è un caso il riferimento alla «Fiat di Melfi», oggi Stellantis, poichè all’origine della vicenda finita al Consiglio di Stato, la necessità, nel 1994, di realizzare case per gli addetti Fiat. La Regione, in tutto, aveva previsto 1420 alloggi, destinando in particolare una quota dei finanziamenti disponibili al Comune di Lavello, per realizzare 250 di questi alloggi nell’ambito di un già esistente piano di edilizia economica popolare-Peep. L’anno successivo, il 1995, il Comune, a seguito di procedimento ad evidenza pubblica, individuò nelle imprese componenti l’Ati Domus, ovvero nella Domus Scarl, nella Abitare Srl e nella Cooperativa Di Vittorio Scarl, il soggetto attuatore dell’intervento. Tra il ‘97 ed il ‘99, l’accordo di programma, puntellato poi tramite convenzione, con, tra le molteplici, precisazioni quali, ad esempio, quella per cui sarebbero rimasti a totale carico dell’Ati Domus tutti i costi di acquisizione e trasformazione dei suoli. L’Ati Domus veniva delegata a compiere le espropriazioni di tutte le aree e in proposito fu stabilito che il Comune non avrebbe rilasciato i permessi di costruire ovvero autorizzato le opere di urbanizzazione prima che fossero acquisiti al patrimonio comunale i relativi terreni con cessione bonaria ovvero con provvedimento di espropriazione e prima del pagamento delle relative indennità in favore dei proprietari ovvero del deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti delle indennità non accettate. Ad ogni modo, l’intero progetto, con opere di urbanizzazione primaria e secondaria, sarebbe dovuto essere ultimato entro il termine massimo di 6 anni dalla stipula della convenzione, cioè entro il 31 marzo 2005. Fu eseguito, su carta, addirittura un incremento: 336 alloggi destinati ad edilizia convenzionata, in aumento quindi rispetto agli originari 250 alloggi. Dalla carta al cemento, i conti non sono mai tornati. Già nel settembre del 2004, l’Ati Domus chiese una proroga al 31 marzo 2011 del termine del 31 marzo 2005 di cui sopra. Proroga concessa dalla Regione ed accordata dal Comune che annotò come dei complessivi 370 alloggi residenziali previsti, l’Ati Domus ne aveva costruiti soltanto 115, cioè tutti i 34 alloggi di edilizia sovvenzionata e solo 81, dei 336 previsti, alloggi di edilizia convenzionata. L’Ati aveva poi, come da relazione del Comune, realizzato il 45% delle opere di urbanizzazione primaria, non aveva realizzato «alcuna opera di urbanizzazione secondaria e di riqualificazione urbana», aveva completato solo gli espropri del 2° stralcio e solo avviato i procedimenti di esproprio del 3° stralcio. Nell’atto d’obbligo del 2006, l’Ati Domus si impegnò a rispettare i termini, qualificati di «carattere essenziale» nonché «perentori», specificando che il loro mancato rispetto avrebbe costituito «grave inadempienza con legittimazione per l’Ente ad esperire ogni azione utile alla tutela dei propri diritti e ragioni, nonché al risarcimento del danno per mancata, ritardata o cattiva esecuzione, avvalendosi allo scopo delle polizze prestate». Dal 2004 al 2010, stessa scena: l’Ati Domus alle prese con la richiesta di proroga di altri sei anni rispetto al 2011. La Regione concesse parare parzialmente favorevole, proroga di altri 4 anni, il Comune di Lavello la negò e, successivamente, dopo aver fatto il punto della situazione, deciso di agire in giudizio. Un mezzo bollettino di guerra, fu quello stilato dall’Ente. Alla scadenza del 31 marzo 2011 erano ancora pendenti ben tre controversie giudiziarie sulla quantificazione delle indennità di espropriazione e inoltre l’Ati Domus non aveva eseguito opere pubbliche pari ad un totale di 2 milioni e 635 mila euro, più un rilevante tot di alloggi risultati mancanti all’appello. Dato il principio, fissato nel Codice civile, per cui il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, l’Ati Domus ha tentato di addossare colpe al Comune come sulla «non realizzata opera costituita dal plesso scolastico». Proprio per questa opera di urbanizzazione secondaria, il Comune ha chiesto un risarcimento pari al valore della scuola, ovvero 1 milione e 239 mila euro. Provando a ribaltare, l’Ati Domus, invece, ha chiesto , complessivamente, un risarcimento di 441mila euro per danno emergente e 1 milione di euro per mancato utile. Per il Consiglio di Stato, in estrema sintesi, dato l’assetto di interessi in origine convenuto, la realizzazione delle opere rappresentava in senso economico il prezzo della possibilità per l’Ati di realizzare e vendere gli alloggi. Per cui, nel momento in cui il Comune non ha ottenuto queste opere, ha quindi diritto ad ottenerne il controvalore in danaro. Soltanto che, per quanto riguarda la mancata realizzazione di alloggi, il Consiglio di Stato li ha esclusi dal conteggio del risarcimento, «per il presunto scadimento della qualità urbana e per l’altrettanto presunto danno di immagine, voci di danno per cui manca la prova». Ed anche e soprattutto perchè, gli alloggi erano previsti nell’interesse dei futuri occupanti, gli operai della «Fiat di Melfi, e non del Comune in quanto persona giuridica a sé stante: «Non è quindi dato capire, né la parte lo spiega, come da questo fatto al Comune stesso potrebbe essere derivato un danno». Tuttavia, il Consiglio di Stato ha però condannato l’Ati Domus e per essa in solido le imprese temporaneamente associate al risarcimento del danno in favore del Comune di Lavello, quantificato in complessivi 1 milione e 359 mila euro, oltre interessi e rivalutazione così come in motivazione dalla data del 31 marzo 2011 al saldo effettivo.

Ferdinando Moliterni

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