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CONFERENZA STAMPA DRAGHI ~ CINGOLANI AL COP26

Ministro Cingolani: Allora, sentite, noi dobbiamo come popolazione del Pianeta, in base alle circostanze locali, come avete capito, contribuire rapidamente a decarbonizzare. E abbiamo dei target precisi. Si decarbonizza in tre modi: il primo è quello diretto. Noi lo chiamiamo il low-hanging fruit, le cose più immediate da fare. È evidente che oggi quello che produce il grosso dell’anidrite carbonica è nostro meccanismo di produzione dell’energia. LA produzione primaria. Noi estraiamo carburanti fossili dal sottosuolo, e poi li bruciamo per alimentare motore combustione interna, oppure per far bollire dell’acqua che crea gas e a sua volta con la turbina crea l’elettricità

Cop26, conferenza stampa del Presidente Draghi e del Ministro Cingolani

Lunedì, 1 Novembre 2021

COP26 World Leaders Summit

1 Novembre 2021

Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, è stato a Glasgow per partecipare a “COP26 World Leaders Summit”. Dopo essere intervenuto alla cerimonia di apertura e alla tavola rotonda “Action and Solidarity – The Critical Decade”, il Presidente ha tenuto una conferenza stampa con il Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani.


INTRODUZIONE DEL PRESIDENTE DRAGHI

È con grandissimo piacere che ho partecipato a questa giornata introduttiva del Cop26. Il ministro Cingolani resterà qui, invece, nel corso delle due settimane gran parte del tempo perché parteciperà ai vari gruppi di lavoro.

L’iniziativa è molto, molto importante. Traccia il percorso che dovremmo intraprendere tutti insieme per dare una risposta al problema che, come continuiamo a dire, non possiamo risolvere da soli. Un singolo Paese non può rispondere a questi problemi. Questa, forse, è la più importante iniziativa collettiva diretta a questo fine.

È positivo che negli ultimi anni ci sia una crescente consapevolezza dei disastri ambientali a cui porta non lottare contro il cambiamento climatico. Ma, allo stesso tempo, c’è una partecipazione da parte di alcuni Paesi che forse sono quelli che producono più emissioni, una partecipazione non coerente con gli impegni che sono stati presi collettivamente e anche con gli obiettivi. Inoltre, desta ancora più preoccupazione lo straordinario aumento delle emissioni che si è avuto con la riapertura dell’attività economica dopo il Covid. Siamo già a livelli pre-Covid.

A rendere molto complicato questo negoziato è il fatto che i Paesi hanno delle condizioni di partenza diverse tra loro. Ci sono dei Paesi ricchi, che però emettono molto di più di altri Paesi perché – per esempio – non hanno intrapreso, come ha fatto l’Unione europea, un percorso di riduzione delle emissioni altrettanto efficace. Sapete bene che l’Ue conta per circa l’8% del totale delle emissioni globali, la Cina per il 28/29%, gli Stati Uniti per il 17/18%. Quindi le condizioni di partenza sono diverse per questo, ma sono anche diverse perché Paesi sono a uno stadio diverso della loro storia economica e del loro sviluppo. Ci sono alcuni che hanno cominciato a crescere e a diventare più prosperi solo di recente. E quindi il punto di vista di questi Paesi è quello di dire: in fondo noi abbiamo questo problema perché voi Paesi ricchi avete inquinato quando noi non emettevamo emissioni. Quindi ora per quale motivo tutto il peso della riduzione delle emissioni deve scaricarsi su di noi?

Poi ci sono Paesi invece, quelli più colpiti dal cambiamento climatico, che emettono molto poco, perché sono poveri. Ma ce ne sono altri, come le piccole isole dei Caraibi, la cui economia è basata essenzialmente sul turismo. C’è stato stamattina un bellissimo e straordinario discorso del primo ministro de Le Barbados. Spesso sono Paesi vulnerabili che mancano delle risorse necessarie a fare anche degli investimenti in risorse infrastrutturali, quindi anche le cose più semplici che li proteggano dagli eventi drammatici del cambiamento climatico.

Queste sono le difficoltà del negoziato. Mi aspetto che questo Cop26 costruisca sui risultati del G20 e vada più in là. E ci sono alcuni aspetti che sono già emersi oggi, a cui peraltro ho fatto cenno nel mio discorso introduttivo. Uno è questo: se si riesce a portare dentro i capitali privati nella lotta al cambiamento climatico, ci si accorge che non ci sono vincoli finanziari. Le disponibilità del settore privato, delle grandi istituzioni finanziari internazionali, le banche, ammontano a decine di trilioni di dollari.

Cosa è necessario per mobilitare questi investimenti? È necessario che il settore pubblico aiuti questo denaro privato a suddividere il rischio. Questi investimenti hanno gradi di rischio di diversa entità, che non posso essere sopportati dal solo settore privato, e quindi il settore pubblico deve intervenire.

Cosa è necessario per mobilitare questi investimenti? È necessario che il settore pubblico aiuti questo denaro privato a suddividere il rischio. Questi investimenti hanno gradi di rischio di diversa entità, che non posso essere sopportati dal solo settore privato, e quindi il settore pubblico deve intervenire. Però io ora mi accorgo che sto parlando un sacco, quindi forse è il caso che mi fermi e se voi avete domande continuo a elaborare su questo e altre questioni. Prego.

DOMANDE

Federico Gatti (Mediaset): Buonasera Presidente, in qualità di Presidente uscente del G20 e di co-Presidente della COP26, come intende portare dentro il discorso sul cambiamento climatico e negli sforzi da fare quei Paesi che non sono effettivamente qui? Mi riferisco ovviamente alla Cina e alla Russia.

Presidente Draghi: Nel corso delle discussioni del G20, ci sono stati degli spostamenti dalle posizioni precedentemente assunte da questi Paesi nella direzione di una maggiore vicinanza al tema della lotta al cambiamento climatico.
La cosa più importante ormai è che sul piano degli obiettivi, delle ambizioni, non ci sono molte differenze tra questi Paesi e gli altri. È sulla velocità con cui affrontare queste sfide che ancora ci sono delle divergenze. Però anche lì, il fatto che sia stato accettato da tutti che i gradi di temperatura necessari per evitare l’aumento del riscaldamento globale siano un grado e mezzo e non due, è molto importante perché impegna questi Paesi, come tutti gli altri, a fare delle azioni coerenti di fronte all’opinione pubblica.
Non so come il negoziato con questi Paesi evolverà, però l’impressione che ho avuto – come ho detto anche ieri in conferenza stampa – che ci sia disponibilità a parlare, a concordare, a fare dei passi avanti. Ma poi secondo me avverrà in concreto la cosa perché quando ci saranno delle iniziative, specialmente di carattere tecnologico, che portano a delle riduzioni… perché noi ragioniamo ora su una riduzione delle emissioni a tecnologie esistenti, ma in realtà c’è un campo immenso, dove la tecnologia esattamente – come è successo col Covid con i vaccini – può aiutare questa transizione ecologica.
Ecco, vorrei dalla parola al Ministro Cingolani per fare alcuni esempi.

Ministro Cingolani: Grazie, Mario. È emerso molto chiaramente già nella giornata odierna, come tutti avessero delle grandi aspettative sul fatto che questo periodo di trasformazione che ci dovrebbe portare all’uno e cinque invece che al 2, non possa che fare conto, oltre che su una finanza globale sostenibile di cooperazione, anche sull’innovazione tecnologica.
C’è una percezione diffusa che a tecnologia costante il raggiungimento dell’uno e cinque e persino del 2, è comunque un raggiungimento faticoso: credo che questo sia emerso molto chiaramente oggi, ne parlavano tutti.
Questo ha portato in diverse fasi dell’interlocuzione a parlare del fatto che uno dei modi migliori per accelerare la transizione è che, come abbiamo fatto uno sforzo globale sul vaccino – che in tempi record siamo arrivati ad una soluzione quasi globale – anche per questo problema del riscaldamento globale si debba fare uno sforzo simile.
E qui sono emerse delle idee che dovranno essere sviluppate.
È chiaro che l’approccio che noi abbiamo punta innanzitutto sull’energia e questo è un settore immenso, pieno di sviluppo potenziali. Sulla mobilità, pensate solo alla ricerca sulle batterie “dopo il litio” non solo come tecnologia.
Oggi un chilo di batteria accumula 200-250 watt, un litro di benzina 10 volte tanto.
Quindi è un problema fondamentale riuscire ad andare oltre. Pensate alla circolarità, dove tutta la chimica dei materiali, della trasformazione del rifiuto, la chimica e trasformazione delle plastiche, può dare origine a una serie di soluzioni che oltre a riciclare e riusare, sono favorevoli anche dal punto di vista energetico (per esempio nella produzione di fertilizzanti).
Pensate a quanto sarà importante nel 2050 quando arriveremo a “Net Carbon Zero”, che vuol dire che il saldo netto dell’anidride carbonica che emettiamo e di quella che in qualche modo blocchiamo, intrappoliamo, deve essere zero.
Tutti sanno che non sarà possibile raggiungere “zero emissione”, bisognerà per forza compensarlo oltre un certo livello, ma la tecnologia ha molto tempo per sviluppare metodi che sono più intelligenti: leggevo di recente c’è chi sta trasformando, estraendo l’anidride carbonica dall’aria e la sta trasformando in carbonato di calcio, cioè in pietra. Adesso è sperimentale, si possono credo fare pochi milioni di tonnellate all’anno, però, immaginate se tecnologie del genere dovessero evolversi. Direi che la direzione è molto chiara: serve uno sforzo globale che oltre ad aiutare i Paesi adesso nella mitigazione e nell’adattamento, debba anche pensare allo sviluppo di quelle nuove tecnologie che consentiranno di andare più veloci. Inutile pensare di farcela senza soffrire nel 2050 con le tecnologie attuali. Ecco, questo è un momento di sforzo comune su cui fare una riflessione molto forte.

Annalisa Cuzzocrea (La Repubblica): Buonasera, Presidente. Lei ha detto “andare oltre il G20”, poco fa l’indiano Modi ha rivisto ancora la promessa di azzerare le emissioni al 2060, parlando del 2070. Quello che le chiedo è, secondo lei è possibile arrivare a superare quella dizione attorno alla metà del secolo di cui pare adesso si stia anche un po’ approfittando, e con quali strumenti pensa che i Paesi che propongono questo superamento possono fare pressione su Cina, India e Russia e, infine, se non crede che ci siano troppe contraddizioni all’interno di questi Paesi. Gli Stati Uniti ad agosto hanno chiesto all’Opec di aumentare la produzione di petrolio, per ridurre il costo della benzina, in Europa Nord Stream 2 chiede di alla Russia di produrre più gas. Cosa pensa di questo?

Presidente Draghi: Indubbiamente ci sono questi comportamenti poco coerenti e questo naturalmente indebolisce la posizione dei Paesi cosiddetti virtuosi e certamente non credo si ottenga molto in termini di progresso sul fronte climatico indicando Paesi colpevoli e Paesi innocenti, perché i veri innocenti son pochissimi e i colpevoli son tantissimi, molto di più di questi.
E l’altra cosa che, secondo me, si è verificata ormai, si verifica quotidianamente parlando con questi Paesi che ha indicato è che non facendo pressione su questi Paesi, intanto perché sono molto grandi, che si ottengono dei risultati, occorre certamente l’opinione pubblica di questi Paesi, fa la sua pressione, come lo fa dappertutto e gli attivisti del clima, che non dobbiamo mai smettere di ringraziare la fanno e questo è molto importante, e lo fanno anche da loro questo.
Quello che però occorre costruire… poi anche tra questi Paesi ci sono condizioni di partenza diverse ma, per esempio, il Premier Indiano è stato molto aperto a Roma, gran parte del fatto che si sia potuto cambiare quel linguaggio sul 2050 da quello che era prima è merito suo, e anche l’accettazione del’1,5 e anche, ancora più significativamente, non nella parte delle conclusioni climatiche ma nella parte che riguarda la finanza, il track finanza, cosiddetto, dei lavori del G20 si parla per la prima volta di prezzo del carbone, che è qualcosa che all’interno dell’Unione europea noi abbiamo da tempo ma fuori no, quindi, queste sono tutte cose che si sono ottenute perché appunto questi Paesi, anche la Russia, eh, e anche la Cina in una certa misura, perché poteva benissimo opporsi a tutto… quindi è una diplomazia completamente diversa, con la diplomazia dello scontro non si arriva a niente, questa è la mia convinzione, è un diplomazia che deve essere basata sulla vicinanza nel perseguimento di un obiettivo comune, non sullo scontro, in questo senso, chiaramente le varie situazioni di difficoltà geopolitica non aiutano ma bisogna essere capaci di saper superarle.
Poi, un grande aiuto lo vedo arrivare dalla tecnologia, per quanto riguarda, invece, i Paesi più piccoli, ma anche Paesi grandi ma relativamente poveri, l’aiuto finanziario, il coinvolgimento nei piani finanziari e anche negli investimenti tecnologici sono gli strumenti fondamentali con cui si lavora tutti per lo stesso scopo.

Alessandro Barbera (La Stampa): Presidente, buonasera. Volevo insistere un attimo su questo punto, mi pare che Cina e India siano i veri player sui quali fare pressione o comunque con i quali collaborare in questa fase, la domanda che le faccio è: stamattina lei accennava ad alcuni strumenti multilaterali, siccome l’impressione che – lei ha avuto un bilaterale con il Premier Modi – sostanzialmente ciò che dicono questi Paesi è “Voi ci chiedete di pagare un prezzo che per noi è troppo altro rispetto a voi”, la loro transizione ecologica costa a loro molto più che a noi. Mi chiedo se ha riflettuto, se ha fatto – nel corso del G20 e oggi – ipotesi su strumenti che possano in qualche modo cambiare il paradigma e forse aiutare a superare questo che è un ostacolo abbastanza comprensibile dal loro punto di vista.

Presidente Draghi: Quello che verrà fuori qui, durante il Cop26, la settimana prossima, sarà una presentazione di quel che è il settore privato, in particolare il settore finanziario privato, può fare per investire nel clima. Investire nel clima è veramente in senso molto lato, perché si può andare dalla costruzione di infrastrutture resistenti agli eventi climatici, alla tecnologia, allo studio di nuovi modi per ridurre le emissioni degli allevamenti, nuovi tipi di alimenti per esempio. La gamma è veramente straordinaria e poi magari vorrei dare la parola al Ministro Cingolani su questo perché è molto interessante quello che lui potrà dire. Quindi, come si fa a mobilitare questo denaro? Ecco del discorso di stamattina, io l’ho un po’ detto: occorre che il settore privato sia assistito dal settore pubblico a condividere il rischio. Ma come si fa questo? Qui ci sono degli attori che vanno mobilitati assolutamente. Tutte le banche multilaterali di sviluppo, in primis la Banca mondiale, devono muoversi, perché a quel punto la Banca mondiale, il settore privato, eventualmente la partecipazione anche di governi nel co-garantire questi progetti. Ma è chiaro che la banca Mondiale ha fatto da sempre l’attore sinergico o, come si diceva un tempo, catalitico per la creazione di questi pacchetti finanziari. Quindi è il posto che viene per primo in mente ma ancora oggi la Banca mondiale fa molto poco sul clima. Il Fondo Monetario ha mobilizzato imponenti risorse con la collocazione di speciali di prelievo, i 650 miliardi e poi altri vari fondi. A proposito del Fondo monetario io non mi preoccuperei. Una cosa che è stata notata è che non siamo arrivati ancora ai 100 miliardi di dollari per. Io non mi preoccuperei troppo di questo però, oggi siamo sugli 82-83. Non mi preoccuperei troppo di questo – e questa sarà un’altra questione che sarà discussa nel COP26 – perché si può sempre avere un’altra allocazione di diritti speciali di prelievo da parte del Fondo Monetario che venga a colmare la differenza che c’è oggi. Mentre invece le risorse di cui si sta parlando sono molto più grandi. Come dicevo, non sono miliardi ma sono decine di trilioni. Quindi lì è il meccanismo, il concetto che bisogna costruire. Questa è la cosa importante. E’ un concetto che deve vedere al centro queste banche multilaterali perché sono loro il tramite che viene immediatamente in mente di utilizzare. Per questo quello che ho chiesto stamattina è che si crei qui a Glasgow una task force che possa elaborare immediatamente questo concetto su cui poi lavoreranno i tecnici delle Nazioni Unite. Ma l’importante è che da qui parte questa iniziativa e io sono abbastanza certo che questo succederà nel corso di queste due settimane.

Agenzia Nova: Al G20 si è parlato molto di clima ma anche l’accordo sulla tassazione minima alle multinazionali è un grande traguardo. C’è modo di quantificare in qualche modo i vantaggi che questa decisione può avere sulla fiscalità italiana.

Presidente Draghi: Non lo so. Se c’è non la so. Ha ragione nel dire che si è parlato di clima ma in realtà all’inizio della conferenza stampa di ieri ho detto che questo è l’ultimo passo di un anno di lavoro nel quale sono stati ottenuti veramente dei risultati straordinari. Questo che lei ha detto è il primo ed è un risultato che è stato inseguito per anni e anni e non ci si era mai riusciti. Ma poi anche nel campo della salute e del collegamento tra finanziamenti, finanza e salute. Si crea questa task force dentro l’OMS. Insomma ci sono stati molti risultati e poi c’è stato anche il clima alla fine. Ecco, naturalmente l’enfasi è quasi tutta sul clima. Ma per quanto riguarda una quantificazione io non la conosco ma se qui ci fosse il Ministro Franco certamente la conoscerebbe.

Antonio Piemontese (CNBC): Sembra che il pubblico stia iniziando a fare pressione sul privato per cambiare l’orientamento. Secondo lei è vero o resterà un afflato di questi giorni. E poi: a lei, data la sua esperienza internazionale e il ruolo di leader che le viene riconosciuto, le piacerebbe candidarsi a guida per tenere alta l’attenzione su questo ruolo della finanza privata?

Presidente Draghi: Io ritengo che sia vero questo. Ritengo che ci sia molto spazio per poter utilizzare questi capitali privati, per poter dare alla finanza privata un ruolo importante nella lotta al cambiamento climatico. E questo è chiaro non solo dai piani che fanno i governi o che si discuteranno ma c’è anche un maggiore impegno. Se noi vediamo le più grandi istituzioni finanziarie private nell’ultimo anno e mezzo, hanno manifestato in varie occasioni un impegno su questo fronte. Bisogna però naturalmente che questo schema di riferimento con la Banca mondiale permetta a questo flusso di arrivare. Quindi si tratta di vedere, di scegliere i progetti di investimento, si tratta di valutare i rischi, si tratta di condividere i rischi, si tratta di allineare le politiche climatiche dei vari Paesi in maniera tale da avere delle ambizioni che possano essere soddisfatte con questo denaro. Ma questo è un denaro che arriva senza secondi fini. E in generale si è diffusa molto la consapevolezza dell’importanza di questo impegno anche nel settore privato.
No, guardi. La seconda domanda – cioè io mi candido a leader di qualcosa? – No, no, per carità. Invece prima di prima di chiudere però volevo dare un attimo la parola al ministro Cingolani perché vi fa una rapidissima panoramica di che cosa si può fare per ridurre le emissioni. In altre parole: oggi raggiungere quegli obiettivi nel 2050 con le sole rinnovabili non è realistico. Ce l’ha detto la Commissione, l’han detto le Nazioni Unite, ecc. Quindi bisogna fare molte più cose. Do la parola al Ministro Cingolani.

Ministro Cingolani: Allora, sentite, noi dobbiamo come popolazione del Pianeta, in base alle circostanze locali, come avete capito, contribuire rapidamente a decarbonizzare. E abbiamo dei target precisi. Si decarbonizza in tre modi: il primo è quello diretto. Noi lo chiamiamo il low-hanging fruit, le cose più immediate da fare. È  evidente che oggi quello che produce il grosso dell’anidrite carbonica è nostro meccanismo di produzione dell’energia. LA produzione primaria. Noi estraiamo carburanti fossili dal sottosuolo, e poi li bruciamo per alimentare motore combustione interna, oppure per far bollire dell’acqua che crea gas e a sua volta con la turbina crea l’elettricità.

Questa operazione è durata decenni, funziona molto bene, però ha il problema di essere una delle sorgenti primarie di anidride carbonica. Oggi cambiare, innanzitutto come noi produciamo l’energia che utilizziamo e in particolare muoversi verso l’elettrificazione, vuol dire poi alimentare un’ulteriore catena di trasformazione che quella della mobilità e della manifattura. Quindi i forni, invece che bruciare con il carbone, bruceranno con delle resistenze elettriche alimentate dà energia elettrica. Le auto, come già sapete andranno a batteria e dovranno essere alimentate, queste batterie, da corrente elettrica che però dovrà essere verde. Quindi il nostro primo obiettivo è cambiare la produzione di energia primaria ed elettrificare tutti i comparti che oggi producono CO2. Sapete che circa un terzo viene dalla manifattura, circa un quarto della mobilità, e un altro 20/22% viene dalla nostra vita: le case, il riscaldamento eccetera.

Ora su questo, noi aspettiamo e stiamo tutti lavorando, la tassonomia europea.  Quindi non è una questione di scelte personali, c’è una tassonomia che dirà cosa può essere definito realmente verde in termini di impatto climalterante. E sulla base di questa tassonomia la Commissione Europea si è pronunciata molto bene: ha detto che si lascerà libertà agli Stati di fare delle scelte, purché ci sia una neutralità tecnologica nelle scelte, purché si riesca a ridurre prima possibile il rilascio della CO2 che viene immessa in atmosfera.  Ma voi capite che questa è una sfida dal punto di vista tecnologico e di funzionamento del nostro sistema di produzione manifatturiera di trasporti e persino di vita, come viviamo nelle nostre case, epocale.

È chiaro che qui c’è la filiera dell’idrogeno verde, c’è la filiera delle batterie che dovrà evolvere, c’è la filiera dell’elettrificazione dell’intelligenza artificiale applicata alle reti, perché le reti non sono abituata a gestire un “energy mix” così discontinuo come quello delle rinnovabili. Dobbiamo capire, nel breve termine la strada è questa, non c’è discussione al 2030. Difficilmente uno si può inventare qualcosa di più efficace. Bisogna capire se fra il 2030 e il 2050 e dopo il 2050 intanto la tecnologia non evolva e non ci dia qualche buona sorpresa.

Il secondo metodo che ne abbiamo per ridurre l’anidride carbonica, è indiretto. Quella che noi chiamiamo economia circolare. Consiste nel riutilizzare, riciclare e dare una seconda, una terza, una quarta vita a materiali e dispositivi che noi abbiamo già prodotto producendo anidride carbonica. Qui, per essere molto chiaro, sostituisco il fertilizzante con un compost, cioè con il prodotto di una reazione chimica che mi ha in qualche maniera modificato un residuo organico. Oppure trasformo un residuo, che può essere plastica piuttosto che un residuo organico, in energia. 

Questa forma di circolarità è tutta basata su approcci di chimica dei materiali, che oggi non sono sviluppati come potrebbero. Perché noi sulla circolarità, così come sulla transizione energetica, abbiamo iniziato a pensare da poco. E qui c’è bisogno di fare investimenti enormi. La terza e ultima strada che abbiamo, è quella della passiva riduzione dell’anidride carbonica. Quella che noi chiamiamo la “carbon capture”. Oggi noi fra i pochi modi che utilizziamo c’è quello di prendere l’anidride carbonica e metterla sotto terra. In alcuni casi questa viene utilizzata per metterla sotto terra. In alcuni casi questa viene utilizzata per mettere in sovrapressione i giacimenti e tirare fuori altro combustibile. Ed è il motivo per cui viene spesso contestata. Però capite bene che i migliori sistemi di intrappolamento dell’anidride carbonica sono il mare, la terra e le piante. Quindi abbiamo un discorso, una prospettiva di rinaturazione dei territori che è immensa. E qui il discorso è ovviamente di programmazione e pianificazione di investimento, ma anche tante altre tecnologie che noi ora non abbiamo studiato a fondo, che casomai adesso non sono particolarmente efficienti, ma che lo potrebbero diventare. Non a caso vi ho fatto l’esempio di estrarre l’anidrite carbonica dall’aria e trasformarla in carbonato di calcio. Reazione inversa: invece di erodere montagne, riformare le montagne.

È chiaro che adesso l’efficienza di questi processi e bassissima, ma funzionano. Da ultimo, e non è un metodo di decarbonizzazione, ma è qualcosa che ci serve nella battaglia, c’è lo sviluppo di tecnologie per l’adattamento alla mitigazione. Qui immaginatevi, se ci dobbiamo adattare, cosa vuol dire la cosiddetta “crop genomix”, la genetica della pianta che può essere sviluppata per creare piante che si adattano a temperature molto elevate o che vivono in ambienti con grande scarsità di acqua. Immaginatevi quanto è importante il ciclo di purificazione dell’acqua. Noi già abbiamo una riserva idrica globale che si sta assottigliando per via soprattutto dello scioglimento dei poli. Ma anche le falde sotterranee si stanno degenerando, stanno diventando poche, i fondi sono sporchi. E qui dunque c’è tutto un problema di recupero delle acque, di sa sanificazione delle acque. Noi tutta la tecnologia dell’acqua non l’abbiamo sviluppata a dovere sinora perché tutto sommato ci sembrava un elemento sufficientemente abbondante. Ora io penso che, il messaggio che diceva il presidente del Consiglio, la dimensione, la portata di questa trasformazione è storica. Non c’è stato niente di così grande nel passato dell’umanità, e non ce la fanno gli Stati da soli. Non è un caso che si parli di “trillion investment”, che nell’inglese significa mille miliardi, su base annuale. Quindi, con questi numeri in mente, tutto quello che vi diceva il Presidente del Consiglio si chiarisca automaticamente. Questa roba qui è epocale, gli stati da soli non ce la faranno mai, devono lavorarci tutti, e gli investimenti sono a dodici zeri, ma non per un anno, per una decade e vediamo cosa uscirà fuori. Grazie.

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