BasilicataLettere Lucane

RABBIA PER LA MIA GENERAZIONE TRAVOLTA DALLA CRISI

Lettere lucane

Stamattina qui a Roma ho visto una mia vicina di casa che trasportava dei pacchi in un furgone. Le ho chiesto cosa stesse facendo, e lei mi ha detto: “Torno a Enna, ho perso il lavoro. Torno dai miei”. Purtroppo è in arrivo uno tsunami economico e sociale che durerà molti anni, eppure nessuno vuole parlarne, un po’ perché in troppi si sentono al sicuro, e un po’ perché siamo un Paese che ama salvare le apparenze, e si vergogna di ammettere cadute e paure. Siamo un popolo poco sincero, e mascheriamo questa insincerità con la parola “ottimismo”.

Quanti lucani stanno facendo come la mia vicina di casa? Perché chi è andato a lavorare in città quasi sempre campa “filo filo” e, dopo aver pagato affitto e bollette, può permettersi giusto la sopravvivenza. In paese almeno c’è la casa dei genitori, e le spese si riducono al minimo. La Basilicata si è storicamente impoverita a causa dell’emigrazione – quante intelligenze e quanta forza-lavoro abbiamo perso in un secolo e più? – ma, probabilmente, non si è impoverita troppo proprio grazie all’emigrazione, che ha dimezzato le pance da sfamare.

Nelle città d’Italia dove siamo emigrati adesso ce la faranno solo i più fortunati e i più specializzati, ma bisogna essere in malafede per non sapere che un Paese regge unicamente se c’è lavoro per tutti, non solo per le famigerate “eccellenze” – una parola che detesto, perché implica un’esclusione. Saranno anni di sconfitte, di rese incondizionate, di silenzi umiliati e di sogni infranti. Sarà soprattutto la mia generazione – che ha poche tutele e vive precariamente sul mercato – a pagare il prezzo più alto. Sento nella carne il dolore di chi è costretto a ritornare in paese con un pugno di mosche in mano, e vorrei scacciare intorno a me gli automi dell’ottimismo, i professionisti del sorriso finto, i garantiti che non sentono che uno tsunami sta travolgendo un pezzo di società italiana.

diconsoli@lecronache.info

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