pubblicato il: 25/01/2024

La sede dell'Università Statale di Milano in via Festa del Perdono

  • La sede dell’Università Statale di Milano in via Festa del Perdono

L’Università Statale di Milano ha voluto dedicare il Giorno della Memoria – quest’anno segnata dalla tragedia in corso in medio oriente – alla Senatrice a vita Liliana Segre.

Accolta da un’Aula Magna gremita, in un clima di profonda commozione, alla presenza del Ministro dell’Università e Ricerca Anna Maria Bernini, Liliana Segre è stata insignita della laurea honoris causa magistrale in Scienze storiche.

Queste le motivazioni sulla pergamena

per aver offerto alla ricerca storica la sua straordinaria testimonianza; per aver dato alle nuove generazioni gli strumenti per comprendere avvenimenti fondamentali del nostro passato; per avere raccontato con rigore e obiettività l’Indicibile; per la sua battaglia contro l’indifferenza e l’oblio dinanzi agli orrori della Shoah e per il suo impegno contro ogni forma di antisemitismo, razzismo e intolleranza

Dopo il saluto del Ministro dell’Università e Ricerca, Anna Maria Bernini, l’introduzione del Rettore Elio Franzini e quella del Direttore del Dipartimento di Studi storici Andrea Gamberini, lo storico Marco Cuzzi ha pronunciato la laudatio, dal titolo

“Quel lungo sentiero di Liliana Segre”


Nell’incipit del saluto del Rettore Franzini, la citazione dai Fratelli Karamazov mette subito al centro

le lacrime sempre ingiustificabili

dei bambini, la cui sofferenza

impedisce l’armonia del creato


Il Rettore ricorda che Liliana Segre era una bimba quando partì dal Binario 21 della Stazione Centrale,

destinata a uno dei più grandi orrori senza riscatto che la storia ha generato

Una storia che continua a generare orrori, a massacrare bambini

– continua Franzini – da Gaza al Sudan, dal Congo al Mali e all’Ucraina”.

Il Rettore cita la stessa Senatrice Segre, “spettatrice impotente” davanti alla guerra,

in pena per Israele ma anche per tutti i palestinesi innocenti, intrappolati nella catena delle violenze e dei rancori

La laurea honoris causa attribuita a Liliana Segre richiama quella che per il Rettore è la funzione fondamentale dell’Università:

tenere viva la memoria, in primo luogo della Shoah, studiarla, coltivarla, trasmetterla – non smettere mai

Siate desti e vegliate” – il Rettore cita Doktor Faustus di Thomas Mann – per non cadere “nella separatezza che uccide

È nella “storia e attraverso la storia che bisogna esercitare il diritto e il dovere della memoria”, va a concludere Franzini.

Impedire l’oblio, fare sentire ai giovani l’intensità della memoria; questa per il Rettore la finalità della giornata:

questo il valore della Memoria, questo il dono che ci viene fatto oggi da Liliana Segre

La laudatio di Marco Cuzzi, docente di Storia contemporanea, inizia con una breve ricostruzione degli eventi che portarono la giovane Liliana Segre a diventare una dei pochi sopravvissuti italiani della Shoah.

Un sentiero di sofferenza che si è trasformato in un cammino di testimonianza e di battaglia contro Odio, Silenzio, Indifferenza, Oblio.

Il Silenzio. Di chi non sapeva, di chi sapeva e taceva, di chi non voleva saperne, di chi non ci credeva

Un silenzio interrotto da Liliana Segre che

dal 1990 ha proseguito il percorso– uscendo da quella ‘sommersione’ di cui parlava Primo Levi – con la sua voce, con il suo ricordo.”

L’Indifferenza,

la più efficace alleatadello sterminio, senza la quale lo sterminio non avrebbe potuto essere

Il “quarto cavaliere” che Liliana Segre teme di incontrare sul suo sentiero è l’Oblio:

silenzioso e inesorabile, avvolto da una coltre di nebbia: l’Oblio. Dimenticare tutto


Ma Marco Cuzzi rassicura la Senatrice, chiamando la ricerca storica in soccorso della memoria:

Gli storici, i giovani storici soprattutto, sapranno strappare la testimonianza tanto alla cristallizzazione meramente celebrativa quanto all’oblio

Alla Storia fa naturale riferimento anche l’intervento di Andrea Gamberini, direttore del Dipartimento di Studi storici, struttura proponente della laurea honoris causa.

Andrea Gamberini, direttore del Dipartimento di Studi storici

In un’epoca in cui la Storia, intesa come disciplina, sembra talora essere in crisi, percepita da molti come qualcosa di distante, di polveroso, al più – come diceva Giorgio Chittolini – come ‘un paese lontano’, ovvero come qualcosa apprezzato ma solo per la sua alterità esotica, la senatrice Segre ha invece inteso richiamarne il valore profondo e non si stanca di sottolineare l’importanza della memoria storica per il tempo presente

La lectio magistralis tradizionalmente prevista dalla cerimonia ha assunto la forma di un dialogo tra Liliana Segre ed Enrico Mentana, dedicato al valore della testimonianza e della memoria.


Al termine del dialogo, il Rettore, affiancato dallo studente Elia Montani e dalla giovane ricercatrice Nannerel Fiano, ha conferito a Liliana Segre la laurea magistrale ad honorem in Scienze storiche.

La cerimonia si è conclusa con il conferimento da parte del Prefetto di Milano Claudio Sgaragliadi 19 Medaglie d’Onore alla Memoria di militari e civili deportati e internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra.

Orchestra UNIMI – Il Giorno della Memoria

Alle ore 20.30, sempre presso l’Aula Magna di via Festa del Perdono 7 si terrà il concerto per il Giorno della Memoria dell’Orchestra d’Ateneo. Il Quartetto Noûs – Ekaterina Valiulina (violino), Alberto Franchin (violino), Sara Dambruoso (viola) e Riccardo Baldizzi (violoncello) eseguirà il Quartetto per archi n. 8 in do minore op. 110 di Dmitri Shostakovich e il Quartetto per archi n. 14 in re minore D. 810 “La morte e la fanciulla” di Franz Schubert.

Ingresso gratuito ma su registrazione online

Saluto del Rettore dell’Università degli Studi di Milano Elio Franzini

Nei Fratelli Karamazov, appena prima di raccontare ad Alesa la leggenda del Santo inquisitore, Ivan gli ricorda che di tutte le lacrime dell’umanità, delle quali è imbevuta la terra intera, dalla crosta fino al centro, le lacrime sempre ingiustificabili appartengono ai bambini.

È la loro sofferenza che impedisce l’armonia del creato.
Liliana Segre era una bimba quando partì dal binario 21 della Stazione Centrale della nostra città, destinata a uno dei più grandi orrori senza riscatto che la storia ha generato.

Una storia che continua a generare orrori, a massacrare i bambini.

Come ci ricorda l’annuale rapporto di Save the children, ancora oggi, da Gaza al Sudan, dal Congo al Mali e all’Ucraina, quasi novemila bambini, nel 2023, sono stati mutilati o uccisi.

E quasi 500 milioni di bimbi vivono in zone di conflitto.

Come ha dichiarato la senatrice Segre nel dicembre scorso, “l’eterno ritorno della guerra mi fa sentire prigioniera di una trappola mentale senza uscita, spettatrice impotente, in pena per Israele ma anche per tutti i palestinesi innocenti, entrambi intrappolati nella catena delle violenze e dei rancori”.
E, aggiungiamo, per tutti i bambini massacrati in tuto il mondo, morti sotto le bombe o naufraghi in mezzo al mare.
Noi, qui, oggi, in questo giorno che racchiude simbolicamente ogni giorno, vogliamo ribadire, con la laurea h.c. in Scienze storiche atribuita a Liliana Segre, la funzione fondamentale dell’Università: tenere viva la memoria, in primo luogo della Shoah, studiarla, coltivarla, trasmetterla – non smetere mai.
Ricordare in tal modo il monito di Thomas Mann nella vera e propria invettiva  contro il nazismo che si legge nelle ultime pagine del Doktor Faustus: siate desti e vegliate, provvedete saggiamente a quel che serve alla terra perché in essa migliore sia il vivere, operando con ingegno perché non si cada nel paiolo infernale, nella separatezza che uccide.
Fuori dall’Aula magna, a pochi passi da qui, vi è una lapide che ricorda Piero Martineti, nostro docente di Filosofia, uno dei pochissimi professori italiani che rifiutò di giurare fedeltà al fascismo, con parole che metono in luce la dignità, la responsabilità e la libertà del pensiero, sotolineando che la sola luce, la sola direzione, “il solo conforto che l’uomo può avere nella vita è la propria coscienza”, e che il subordinarla a qualsiasi altra considerazione “è un sacrilegio”

Coltivando e trasmettendo la memoria, l’Università è anche il simbolo della storia, la riunificazione possibile di un senso che guarda al futuro.
La storia, come scrive il grande poeta Eliot, ha senza dubbio molti passaggi nascosti e corridoi tortuosi, che a volte ci ingannano bisbigliando ambizioni.

Ma è nella storia e atraverso la storia che bisogna esercitare il dirito e il dovere della memoria.
Una memoria che, sinché sarà possibile, saranno gli anziani a tramandare, lasciandola ai giusti nelle Nazioni e alle nuove generazioni.
Una memoria che, come accade purtroppo sempre più frequentemente, si disperde in una nebulosa comunicativa sempre più votata alla contingenza, all’enfasi, all’occultamento mascherato della verità, a un gioco perverso che brucia e distrugge, in primo luogo se stessa e la propria credibilità. È pure vero, per rimanere su Eliot, che invecchiando il mondo pare diventare sempre più estraneo, in un intreccio di morti e di vivi, ma sono proprio i vecchi che devono impedire l’oblio e dunque essere sempre esploratori, scoprendo così i territori di una nuova unione, di una comunione più profonda, per far sentire ai giovani l’intensità della memoria.

Questa è, in modo molto sintetico, la finalità della nostra giornata, il principio di un nuovo inizio che sempre si rinnova.

Questo il valore della memoria, questo il dono che ci viene fato oggi da Liliana Segre.

Discorso del Direttore del Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Milano Andrea Gamberini

Andrea Gamberini Direttore del Dipartimento di Studi storici, Università degli Studi di Milano

Ministro Bernini,
Magnifico Rettore,
Senatrice Segre,
Autorità civili e militari,
Carissime e carissimi componenti della comunità accademica, Gentili ospiti,
a tutte e tutti va il mio saluto e il mio ringraziamento per essere qui oggi, in una giornata che, se è speciale per l’Ateneo, lo è forse ancora di più per il Dipartimento di Studi Storici. È infatti la prima volta, da quando esiste la nostra struttura – e sono ormai alcuni decenni – che ci facciamo promotori del conferimento di una laurea honoris causa. E siamo felici di avere proposto non un accademico, un professore, un collega – e ce ne sono tanti di illustri e meritevoli – ma qualcuno da cui è venuta una lezione ancora più alta: una lezione che si fonda su un vissuto rielaborato in testimonianza e in impegno civile. Liliana Segre i segni della storia li porta nel suo animo e nella sua carne. Eppure, per quanto il ricordo di quelle pagine di storia le sia doloroso, a un certo momento ha deciso di condividerlo e renderlo pubblico, offrendo così alla ricerca il contributo della sua straordinaria testimonianza e alle nuove generazioni gli strumenti per comprendere avvenimenti del nostro passato che rimangono ancora oggi cruciali. Educare, far conoscere, e al tempo stesso promuovere lo spirito critico, contrastare il pregiudizio (e con esso l’antisemitismo e più in generale ogni forma di razzismo e di intolleranza): sono questi i punti di una personalissima agenda che la senatrice Segre porta avanti da anni e nei quali la comunità degli storici si ritrova convintamente.
In un’epoca in cui la Storia, intesa come disciplina, sembra talora essere in crisi, percepita da molti come qualcosa di distante, di polveroso, al più – come diceva Giorgio Chittolini – come “un paese lontano”, ovvero come qualcosa apprezzato ma solo per la sua alterità esotica, la senatrice Segre ha invece inteso richiamarne il valore profondo e non si stanca di sottolineare l’importanza della memoria storica per il tempo presente. Il Presidente della Repubblica l’anno scorso, proprio in occasione della Giornata della Memoria, ha ricordato come il negazionismo sia “del razzismo la forma più subdola e insidiosa”. Non si può, naturalmente, che concordare. Mi permetto solo di chiosare che oggi, forse, la forma più sofisticata di negazionismo è l’oblio.
«Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.

Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai»
Così scriveva Elie Wiesel (1928-2016), ricordando in uno dei suoi libri più celebri, La Notte, il suo ingresso da fanciullo nel campo di Auschwitz. Neanche noi vogliamo dimenticare, né vogliamo che dimentichino le nostre studentesse e i nostri studenti.
Da qualche anno in collaborazione con il Mémorial de la Shoah di Parigi organizziamo per i nostri giovani qui in Statale un seminario con i maggiori studiosi dell’Olocausto. E sempre a favore delle nostre studentesse e dei nostri studenti offriamo la possibilità di viaggi di istruzione all’ex lager di Auschwitz – Birkenau e, da quest’anno, anche di visite guidate al Memoriale del Binario 21.
Si tratta di iniziative fondamentali per preservare il ricordo, per dargli spessore, ma anche per combattere l’indifferenza, che a ben vedere è solo il gemello diverso dell’oblio. L’aula magna, oggi stracolma di ragazzi e ragazze che hanno fatto a gara per registrarsi e essere presenti, ci fa guardare con fiducia al futuro e ci conferma, Senatrice Segre, che le Sue parole e il Suo esempio hanno davvero toccato nel profondo le generazioni più giovani.
Dunque grazie: grazie per tutto quello che Lei ha fatto e continua a fare, grazie per il Suo insegnamento e grazie anche per avere richiamato la centralità della storia nella formazione della persona e del cittadino. 

Laudatio di Marco Cuzzi, Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Milano

Il lungo sentiero di Liliana Segre

C’è un sentiero nella lunga vita della senatrice a vita Liliana Segre. È un sentiero che lei sta percorrendo da ottant’anni. Da principio, si è trattato di un sentiero di montagna di media difficoltà, lungo quattro chilometri, tra Viggiù e Saltrio, in provincia di Varese, diretto verso il valico di frontiera di Arzo.

Lo percorre una ragazzina di tredici anni, insieme al suo papà e a due anziani cugini. Siamo nel dicembre 1943. Quella bambina sta cercando di abbandonare il suo Paese: uno Stato programmaticamente antisemita alleato alla barbarie nazista; una Nazione nel migliore dei casi indifferente (ci torneremo su questo concetto), nel peggiore complice consapevole.

Quella ragazzina e il suo papà, su quel sentiero si sono incamminati già cinque anni prima, quando improvvisamente gli ebrei italiani sono diventati “gli altri”, i perseguitati: la loro sola colpa, “essere ebrei”. E lei, lo ricorda, è diventata una dei tanti “bambini invisibili”.
Ma il 1943 non è il 1938. Ora inizia la persecuzione della loro vita. E quel sentiero immaginario è diventato reale, un percorso montano verso la Svizzera, terra di libertà, approdo di salvezza.
Non è così. Li fermano dei soldati del Canton Friburgo, di stanza sul confine italiano: capiscono poco la lingua, ancora meno la situazione. L’ufficiale in comando, con disprezzo e indifferenza, li respinge (“Io so cosa vuole dire essere respinti” ha ricordato di recente la senatrice, a buon intenditore).
Ora il sentiero si trasforma di nuovo. Porterà Liliana e suo padre nelle carceri di Varese, Como e infine Milano. San Vittore, il lager di transito milanese. E da lì, il sentiero diventa una strada cittadina, percorsa nel buio dell’alba (perché gli assassini per agire prediligono sempre il buio) da autocarri tedeschi, in una Milano deserta e – di nuovo! – indifferente.
E poi, complici zelanti italiani, i nazisti trasformano il sentiero in una strada ferrata che porterà quella ragazzina, suo padre e gli altri disperati – ancora ignari – nell’inferno indicibile di Auschwitz-Birkenau, il “vuoto dell’umanità”.

Il sentiero diventerà per Liliana, non per suo padre, non per i suoi nonni e i suoi cugini, non per tantissimi altri, sentiero di sopravvivenza: “La vita! La vita! La vita!”, ricorda Liliana. E la vita, riemerge da quel pozzo di mostri (mostruosi gli assassini, trasformate in creature inumane anche le vittime).


Ed ecco un nuovo sentiero. Quella ragazzina è diventata donna, in pochi mesi. E ora riprende a camminare immersa nel silenzio. La nuova Italia non ne vuole sentire parlare di quell’orrore. I sopravvissuti non trovano la forza di ricordare.


Sì, perché se il primo nemico che Liliana ha incontrato su quel sentiero è l’Odio criminale e razzista dei carnefici – un odio che sopravvive anch’esso, come un fiume carsico, e che emergerà di tanto in tanto, (“i magazzini dell’odio non sono mai svuotati dalla loro merce tossica” ha ricordato la senatrice, come dimostra la lapide sfregiata pochi giorni or sono che era stata apposta in ricordo di quel tragico cammino della speranza), un odio che ci porta diritti al pogrom del 7 ottobre scorso in Israele, un altro nemico si è presentato per quasi quarant’anni.

Il Silenzio. Di chi non sapeva, di chi sapeva e taceva, di chi non voleva saperne, di chi non ci credeva. “Esperienza interessante” fu il commento di una docente liceale quando la studentessa Segre era tornata sui banchi di scuola e aveva cercato di raccontare l’indicibile (e ancora: “Ma tu Segre, dove sei andata a finire, che non ti abbiamo più visto?”, le chiedeva una compagna che non vedeva dal 1938).

Alla fine, quel silenzio è stato interrotto da Liliana, che dal 1990 ha proseguito il percorso – uscendo da quella “sommersione” di cui parlata Primo Levi – con la sua voce, con il suo ricordo. Con una testimonianza che, come ha ricordato Ferruccio De Bortoli, è “un vaccino prezioso, un atto di giustizia postumo ma soprattutto un’orazione civile senza la quale si perde la direzione della Storia”.

Da allora, il suo sentiero si è trasformato in un impegno che, partendo dalla mera testimonianza, è ora un difficile, faticoso, pericoloso (e i militari della sua scorta qui presenti lo testimoniano…) lavoro didattico rivolto principalmente alle nuove generazioni.
Al contempo, lungo il cammino ha incontrato un altro avversario, forse la cifra di riferimento principale di tutto il suo percorso: la lotta all’Indifferenza. La stessa indifferenza che aveva visto nelle sue compagne di classe nel 1938; l’indifferenza che albergava nei vacui occhi del militare svizzero che la respinse, l’indifferenza dei milanesi che mantenevano ben chiuse le finestre di casa, mentre passava la lunga teoria di autocarri destinati al binario 21; quella dei carnefici e dei loro volonterosi collaboratori fascisti, mentre compivano il genocidio. L’indifferenza delle popolazioni che voltavano la testa al passaggio di esseri umani che umani non erano più. Quella di chi definiva interessante quel viaggio all’inferno e quella di chi non ne voleva sentire parlare.

L’indifferenza: la più efficace alleata dello sterminio, senza la quale lo sterminio non avrebbe potuto essere. Indifferenza: la parola scolpita all’ingresso del Memoriale della Shoah, il Binario 21 di Milano, per volontà di Liliana.

Ma c’è di più. La senatrice Segre si è battuta contro tutte le indifferenze che ci dominano, e rischiano di dominare in particolar modo i più giovani: indifferenza verso un antisemitismo che sta crescendo tanto nel nostro Paese quanto in tutta Europa, come dimostrano i più recenti sondaggi (anche nelle nostre Università); indifferenza dinanzi agli orrori dell’età presente, indifferenza verso la violenza di ogni genere e verso ogni genere, indifferenza verso una democrazia traballante e in pericolo, come ha ricordato dal più alto scranno del Senato della Repubblica nel discorso inaugurale del 13 ottobre 2022.

L’orazione civile è questa, e su quel sentiero questa straordinaria donna di un’altra epoca si è mossa con l’energia di una ragazza di tredici anni.
Persecuzione, silenzio, indifferenza. Manca il quarto cavaliere che Liliana Segre teme di incontrare su quel sentiero. È lontano, ma lei dice che si stia avvicinando, silenzioso e inesorabile, avvolto da una coltre di nebbia: l’Oblio. Dimenticare tutto.

L’Oblio: la riduzione del Magnum Crimen a poche righe sulle pagine dei futuri libri di scuola, e poi più nulla. L’Oblio, la doppia morte. L’Oblio, quel sonno della ragione che potrebbe far risorgere i mostri del passato. “Quando saremo morti tutti” ha detto di recente la nostra laureanda “ci sarà solo una riga di un libro di storia. E poi, neanche quella”.

No, cara Senatrice Segre. Non è così. Immanuel Kant diceva: “Agisci in modo che ogni tuo atto sia degno di diventare un ricordo”. E così sarà. Anche perché la memoria è legata in modo imprescindibile alla ricerca.

Ce lo spiega Ezio Mottinelli in un saggio di pochi giorni fa: la ricerca storica deve andare in supporto del ricordo, della testimonianza.

Gli storici, i giovani storici soprattutto, sapranno strappare la testimonianza tanto alla cristallizzazione meramente celebrativa quanto all’oblio.
Magari utilizzando anche l’occhio critico, laddove la memoria si dimostri labile o incerta, come suggeriva già Primo Levi.

Non è un caso se la stessa senatrice Segre nel suo lungo peregrinare sul sentiero della didattica, della docetica, dell’educazione civica ed emozionale, mi viene da dire della maieutica, ha riscontrato una differenza tra quei giovani ascoltatori preparati dallo studio storico e quelli ignari di tutto. Stia tranquilla, senatrice Segre: gli storici sono da sempre i nemici più efficaci dell’Oblio, contro di noi quel nebbioso cavaliere si troverà con la lancia spezzata.

Noi storici, e quindi da oggi anche lei cara senatrice, non temiamo l’oblio: è l’Oblio che dovrà temere noi.
E allora, se come narravano gli antichi greci, Clio, la nona musa, quella più importante, quella della Storia, era figlia di Mnemosine, la dea della memoria, ecco che il cammino di quella ragazza di tredici anni non si interromperà mai.

Perché, come ci ricordava il grande direttore d’orchestra Ezio Bosso:

“Non esiste mai l’ultima nota, non esiste mai l’ultimo movimento”

Le note, il movimento, saranno prodotti dall’incrocio tra testimonianze e ricerca, in una sinergia perfetta, continua e imbattibile. Dal legame tra Mnemosine e Clio.

Contro ogni odio, antico o recente. Contro ogni silenzio, ogni indifferenza, ogni oblio.

L’Università degli Studi di Milano e il Magnifico Rettore Elio Franzini, il suo Dipartimento di Studi Storici – impegnato per questo obiettivo attraverso il lavoro dei nostri ultimi direttori, Antonio De Francesco e Andrea Gamberini -, sono qui quest’oggi per consegnare alla senatrice Segre il giusto riconoscimento a questo immane sforzo per aiutare gli storici di oggi e di domani a proseguire in quel cammino.

A proseguire tutti insieme, viventi e non, il percorso su quel sentiero.

Dunque, visto che siamo nell’Accademia del Sapere, concludiamo celebrando la dottoressa magistrale Liliana Segre.

E ci aggiungiamo, dedicato a lei, dedicato a tutti quelli che oggi soffrono ogni forma di ingiustizia, lo stesso grido che quella ragazza lanciava dall’inferno sulla terra:

“La vita! La vita! La vita!”: in ebraico, L’CHAIM! Alla Vita!


Laurea honoris causa a Liliana Segre alla Statale di Milano:

«Si batte contro tutte le indifferenze. Da 80 anni su un sentiero terribile»

L’università conferisce la laurea in Scienze storiche alla senatrice a vita sopravvissuta ad Auschwitz

La laudatio: 

«Memoria e storia antidoto all’oblio, un sentiero che percorre da 80 anni: la vita riemerge da un pozzo mostruoso»

Sabato 27 gennaio l’Università Statale di Milano conferisce la laurea magistrale honoris causa in Scienze storiche a Liliana Segre

Di seguito, il testo della laudatio letta da Marco Cuzzi, docente di Storia contemporanea all’università Statale di Milano

C’è un sentiero nella lunga vita della senatrice a vita Liliana Segre. È un sentiero che lei sta percorrendo da ottant’anni.
Da principio, si è trattato di un sentiero di montagna di media difficoltà, lungo quattro chilometri, tra Viggiù e Saltrio, in provincia di Varese, diretto verso il valico di frontiera di Arzo.

Lo percorre una ragazzina di tredici anni, insieme al suo papà e a due anziani cugini. Siamo nel dicembre 1943. Quella bambina sta cercando di abbandonare il suo Paese: uno Stato programmaticamente antisemita alleato alla barbarie nazista; una Nazione nel migliore dei casi indifferente (ci torneremo su questo concetto), nel peggiore complice consapevole.
Quella ragazzina e il suo papà, su quel sentiero si sono incamminati già cinque anni prima, quando improvvisamente gli ebrei italiani sono diventati “gli altri”, i perseguitati: la loro sola colpa, “essere ebrei”. E lei, lo ricorda, è diventata una dei tanti “bambini invisibili”.

Ma il 1943 non è il 1938. Ora inizia la persecuzione della loro vita. E quel sentiero immaginario è diventato reale, un percorso montano verso la Svizzera, terra di libertà, approdo di salvezza.

Non è così. Li fermano dei soldati del Canton Friburgo, di stanza sul confine italiano: capiscono poco la lingua, ancora meno la situazione. L’ufficiale in comando, con disprezzo e indifferenza, li respinge (“Io so cosa vuole dire essere respinti” ha ricordato di recente la senatrice, a buon intenditore).
Ora il sentiero si trasforma di nuovo. Porterà Liliana e suo padre nelle carceri di Varese, Como e infine Milano. San Vittore, il lager di transito milanese. E da lì, il sentiero diventa una strada cittadina, percorsa nel buio dell’alba (perché gli assassini per agire prediligono sempre il buio) da autocarri tedeschi, in una Milano deserta e – di nuovo! – indifferente.

E poi, complici zelanti italiani, i nazisti trasformano il sentiero in una strada ferrata che porterà quella ragazzina, suo padre e gli altri disperati –ancora ignari- nell’inferno indicibile di Auschwitz-Birkenau, il

“vuoto dell’umanità”

Il sentiero diventerà per Liliana, non per suo padre, non per i suoi nonni e i suoi cugini, non per tantissimi altri, sentiero di sopravvivenza: «La vita! La vita! La vita!», ricorda Liliana. E la vita, riemerge da quel pozzo di mostri (mostruosi gli assassini, trasformate in creature inumane anche le vittime).
Ed ecco un nuovo sentiero. Quella ragazzina è diventata donna, in pochi mesi. E ora riprende a camminare immersa nel silenzio. La nuova Italia non ne vuole sentire parlare di quell’orrore. I sopravvissuti non trovano la forza di ricordare.

Sì, perché se il primo nemico che Liliana ha incontrato su quel sentiero è l’Odio criminale e razzista dei carnefici – un odio che sopravvive anch’esso, come un fiume carsico, e che emergerà di tanto in tanto, (“i magazzini dell’odio non sono mai svuotati dalla loro merce tossica” ha ricordato la senatrice, come dimostra la lapide sfregiata pochi giorni or sono che era stata apposta in ricordo di quel tragico cammino della speranza), un odio che ci porta diritti al pogrom del 7 ottobre scorso in Israele- , un altro nemico si è presentato per quasi quarant’anni.

Il Silenzio, di chi non sapeva, di chi sapeva e taceva, di chi non voleva saperne, di chi non ci credeva.

“Esperienza interessante” fu il commento di una docente liceale quando la studentessa Segre era tornata sui banchi di scuola e aveva cercato di raccontare l’indicibile (e ancora: “Ma tu Segre, dove sei andata a finire, che non ti abbiamo più visto?”, le chiedeva una compagna che non vedeva dal 1938).

Alla fine, quel silenzio è stato interrotto da Liliana, che dal 1990 ha proseguito il percorso- uscendo da quella “sommersione” di cui parlava Primo Levi – con la sua voce, con il suo ricordo. Con una testimonianza che, come ha ricordato Ferruccio de Bortoli, è “un vaccino prezioso, un atto di giustizia postumo ma soprattutto un’orazione civile senza la quale si perde la direzione della Storia”.   

Da allora, il suo sentiero si è trasformato in un impegno che, partendo dalla mera testimonianza, è ora un difficile, faticoso, pericoloso (e i militari della sua scorta qui presenti lo testimoniano…) lavoro didattico rivolto principalmente alle nuove generazioni.

Al contempo, lungo il cammino ha incontrato un altro avversario, forse la cifra di riferimento principale di tutto il suo percorso: la lotta all’Indifferenza. La stessa indifferenza che aveva visto nelle sue compagne di classe nel 1938; l’indifferenza che albergava nei vacui occhi del militare svizzero che la respinse, l’indifferenza dei milanesi che mantenevano ben chiuse le finestre di casa, mentre passava la lunga teoria di autocarri destinati al binario 21; quella dei carnefici e dei loro volonterosi collaboratori fascisti, mentre compivano il genocidio. L’indifferenza delle popolazioni che voltavano la testa al passaggio di esseri umani che umani non erano più.  

Quella di chi definiva interessante quel viaggio all’inferno e quella di chi non ne voleva sentire parlare. L’indifferenza: la più efficace alleata dello sterminio, senza la quale lo sterminio non avrebbe potuto essere. Indifferenza: la parola scolpita all’ingresso del Memoriale della Shoah, il Binario 21 di Milano, per volontà di Liliana.

Ma c’è di più. La senatrice Segre si è battuta contro tutte le indifferenze che ci dominano, e rischiano di dominare in particolar modo i più giovani: indifferenza verso un antisemitismo che sta crescendo tanto nel nostro Paese quanto in tutta Europa, come dimostrano i più recenti sondaggi (anche nelle nostre Università); indifferenza dinanzi agli orrori dell’età presente, indifferenza verso la violenza di ogni genere e verso ogni genere, indifferenza verso una democrazia traballante e in pericolo, come ha ricordato dal più alto scranno del Senato della Repubblica nel discorso inaugurale del 13 ottobre 2022.

L’orazione civile è questa, e su quel sentiero questa straordinaria donna di un’altra epoca si è mossa con l’energia di una ragazza di tredici anni.
Persecuzione, silenzio, indifferenza. Manca il quarto cavaliere che Liliana Segre teme di incontrare su quel sentiero. È lontano, ma lei dice che si stia avvicinando, silenzioso e inesorabile, avvolto da una coltre di nebbia: l’Oblio. Dimenticare tutto.

L’Oblio: la riduzione del Magnum Crimen a poche righe sulle pagine dei futuri libri di scuola, e poi più nulla. L’Oblio, la doppia morte. L’Oblio, quel sonno della ragione che potrebbe far risorgere i mostri del passato. “Quando saremo morti tutti” ha detto di recente la nostra laureanda “ci sarà solo una riga di un libro di storia. E poi, neanche quella”.

No, cara Senatrice Segre. Non è così. Immanuel Kant diceva: “Agisci in modo che ogni tuo atto sia degno di diventare un ricordo”. E così sarà. Anche perché la memoria è legata in modo imprescindibile alla ricerca. Ce lo spiega Ezio Mottinelli in un saggio di pochi giorni fa: la ricerca storica deve andare in supporto del ricordo, della testimonianza. Gli storici, i giovani storici soprattutto, sapranno strappare la testimonianza tanto alla cristallizzazione meramente celebrativa quanto all’oblio. Magari utilizzando anche l’occhio critico, laddove la memoria si dimostri  labile o incerta, come suggeriva già Primo Levi.

Non è un caso se la stessa senatrice Segre nel suo lungo peregrinare sul sentiero della didattica, della docetica, dell’educazione civica ed emozionale, mi viene da dire della maieutica, ha riscontrato una differenza tra quei giovani ascoltatori preparati dallo studio storico e quelli ignari di tutto. Stia tranquilla, senatrice Segre: gli storici sono da sempre i nemici più efficaci dell’Oblio, contro di noi quel nebbioso cavaliere si troverà con la lancia spezzata. Noi storici, e quindi da oggi anche lei cara senatrice, non temiamo l’oblio: è l’Oblio che dovrà temere noi.

E allora, se come narravano gli antichi greci, Clio, la nona musa, quella più importante, quella della Storia, era figlia di Mnemosine, la dea della memoria, ecco che il cammino di quella ragazza di tredici anni non si interromperà mai.
Perché, come ci ricordava il grande direttore d’orchestra Ezio Bosso “Non esiste mai l’ultima nota, non esiste mai l’ultimo movimento”.

Le note, il movimento saranno prodotti dall’incrocio tra testimonianze e ricerca, in una sinergia perfetta, continua e imbattibile. Dal legame tra Mnemosine e Clio.

Contro ogni odio, antico o recente. Contro ogni silenzio, ogni indifferenza, ogni oblio. L’Università degli Studi di Milano e il Magnifico Rettore Elio Franzini, il suo Dipartimento di Studi Storici -impegnato per questo obiettivo attraverso il lavoro del nostri ultimi direttori, Antonio De Francesco e Andrea Gamberini -,  sono qui quest’oggi per consegnare alla senatrice Segre il giusto riconoscimento a questo immane sforzo per aiutare gli storici di oggi e di domani a proseguire in quel cammino. A proseguire tutti insieme, viventi e non, il percorso su quel sentiero.

Dunque, visto che siamo nell’Accademia del Sapere, concludiamo celebrando la dottoressa magistrale Liliana Segre con l’inno universitario del Gaudeamus Igitur. E ci aggiungiamo, dedicato a lei, dedicato a tutti quelli che oggi soffrono ogni forma di ingiustizia, lo stesso grido che quella ragazza lanciava dall’inferno sulla terra: “La vita! La vita! La vita!”: in ebraico, L’CHAIM! Alla Vita!        


Liliana Segre a Milano:

“Sono una nonna disperata per tutti quelli che muoiono per colpa dell’odio degli adulti”

Meloni: “Le leggi razziali una vergogna”

L’intervento della senatrice a vita alla Statale

Gli applausi scroscianti e il manifesto Pro-Palestina che la cita.

Gli studenti: «Contenti per l’onorificenza ma non si può negare il genocidio a Gaza»

«Ho incontrato diverse persone che per la loro coscienza hanno chiesto personalmente a me scusa, ma in maniera ufficiale mai»

Liliana Segre, che oggi ha ricevuto la laurea honoris causa in Scienza storiche all’università Statale di Milano, risponde così alla domanda sulle scuse ufficiali dell’Italia per le leggi razziali e la sua deportazione, nel 1944.

«Io non credo»

aggiunge Segre, che ci siano state.

Solo «italiani brava gente…», dice sarcastica

«Non sono adatta a parlare del 27 gennaio perché chi ha passato quello che ho passato io non aspetta quella data per ricordarsi di una vita fa. Lo fa 365 giorni all’anno»

dice Segre arrivando all’Università accompagnata dal figlio Luciano Belli Paci

Nel suo lungo intervento nell’Aula Magna dell’Ateneo milanese, intervistata dal direttore del TgLa7 Enrico Mentana, la senatrice a vita ribadisce la sua condanna all’indifferenza

«che nasce dal buio delle menti»

e ricorda la battaglia affinché, all’ingresso del Memoriale della Shoah di Milano, ci fosse proprio quella parola,

«indifferenza»

ad accogliere i visitatori in un luogo di memoria e ricordo dell’Olocausto.

«Viviamo un tempo in cui mi è difficile far parte degli ottimisti, c’è qualcosa di già sentito, di già sofferto. Persone che mi vogliono bene mi dicono di stare a casa in questo momento, di forte alla recrudescenza dell’antisemitismo. Ma io dico di no»

racconta Segre, ricordando che da bambina sentiva dire

«meglio non uscire, non farsi notare, ed io chiedevo «perché». Io quel «perché» dopo così tanti anni… Quel sentire di nuovo «non farti vedere, quel perché intimo, tragico di tempi che credevo perduti, lo urlo sempre dentro di me»

Laurea honoris causa a Liliana Segre nel Giorno della Memoria:

“Italiani brava gente, non hanno mai chiesto scusa”

Segre si sofferma anche sulla situazione in Medio Oriente:

«Quello che sta succedendo e quello che è successo il 7 di ottobre mi ha messo in una condizione che non avevo mai vissuto prima. Ho una passione per i bambini e nella spirale dell’odio più crudele dal 7 di ottobre in poi sono i bambini di tutti i colori, religioni, appartenenze quelli che mi trovano una nonna disperata»

dice quasi commuovendosi

«Che questi bambini vengano uccisi dall’odio degli adulti che non si ferma mai, loro che sarebbero il futuro di popoli fratelli, questo mi ha dato una forma di disperazione. Non c’è notte da allora che questo pensiero non mi tenga sveglia. Mi ha sempre fatto soffrire l’odio tra le parti, la vendetta che non concepisco. È la notte dei tempi, la notte dell’indifferenza generale»

Poi il messaggio politico, quello più incisivo di tutti:

«Il 40% degli italiani non vota, ma perché così tante persone delegano a quel gruppo che vota la loro interna democrazia? Sono queste le cose che non faranno mai chiudere il ciclo»

Gli applausi per la senatrice a vita non si contano:

la gente resta in piedi fino alla sua discesa dal palco.

Fuori dall’Ateneo, intanto, uno striscione da parte di un collettivo studentesco:

«L’indifferenza è peggiore della violenza»

che cita proprio una frase di Segre

spiegano in un comunicato gli studenti che hanno affisso il manifesto, e che si dicono «contenti» della decisione :

«Non possiamo che concordare con la scelta della Laurea honoris causa in virtù dell’importanza del ricordo della Shoah»

aggiungono e concludono :

«ma non possiamo non evidenziare l’ipocrisia di un’istituzione accademica che ricorda gli orrori del passato e si volta dall’altra parte di fronte agli orrori del presente. Anzi, fa di più: collabora alla ricerca bellica su nuovi strumenti con cui uccidere in tutto il mondo e nega il genocidio in Palestina»

«L’indifferenza uccide, rendendo possibile l’orrore dei genocidi.

Giorgia Meloni nella giornata della Memoria invita a non dimenticare e afferma che il Museo della Shoah

«è un’istituzione che si occuperà di tramandare la memoria della Shoah e che siamo certi darà un contributo determinante affinché la malvagità del disegno criminale nazifascista e la vergogna delle leggi razziali del 1938 non cadano nell’oblio»

Shoah, Liliana Segre e l’aneddoto sul ministro:

“Mi ha trattato da vecchia signora rincretinita” 

Laurea honoris causa a Liliana Segre, alla Statale di Milano …RaiNews · TGR RaiNews

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