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ROSARIO GIGLIOTTI : LETTERA APERTA AI FEDELI DELLA CHIESA DELLA S.S. TRINITÀ

“Ma se la Chiesa è innanzitutto la comunità dei fedeli, mi permetto di chiedere alle donne e agli uomini che intendono fare di quella chiesa il luogo delle loro preghiere e delle loro celebrazioni, un gesto forte di riconciliazione”

CHIESA DELLA S.S. TRINITÀ 

Dott. ROSARIO GIGLIOTTI :

LETTERA APERTA AI FEDELI DELLA CHIESA DELLA S.S. TRINITÀ

C’ero anch’io tra le tante persone che domenica mattina hanno ritenuto di affiancare la famiglia di Elisa in una manifestazione di dissenso rispetto al modo con cui si è deciso di riaprire al culto la chiesa della SS. Trinità, a Potenza.

In realtà, l’idea promossa da Libera era quella di celebrare la memoria di Elisa fuori dalla chiesa, in “religioso silenzio”

Così non è stato. Quel silenzio è stato riempito da parole di bellezza e da canti. Più o meno come in una messa. Perché lì si celebrava la vita.

Poi ci sono stati i fischi e le urla all’indirizzo delle donne e degli uomini che hanno deciso di partecipare alla messa presieduta dall’arcivescovo, mons. Ligorio.
Ad onore del vero, tali proteste sono arrivate da una sparuta minoranza delle persone presenti.

Sinceramente mi dispiace che questo sia accaduto. Mi sento anche in colpa per non aver suggerito agli organizzatori di chiedere in maniera perentoria il silenzio. Lo avrebbero fatto certamente.

Ma in quel momento alcune reazioni istintive hanno preso il sopravvento.
Chiedo scusa a tutte le persone che in buona fede erano entrate in quella chiesa per pregare.
Chiedo scusa a quei sacerdoti che in buona fede hanno ritenuto che su quell’altare si dovesse celebrare il mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù.
Chiedo scusa anche a quelle donne e a quegli uomini che, presi dal loro fervore religioso, hanno dimenticato la compassione e il rispetto.
Quel rispetto che sarebbe dovuto alla famiglia Claps, condannata da silenzi complici e menzogne a diciassette anni di sofferenza fino al ritrovamento. La famiglia di Elisa, che ha continuato a chiedere verità e giustizia anche dopo il ritrovamento, ha insegnato a tutti noi il coraggio e la dignità.

Come non vedere, dietro la tragedia, il bene che proviene dal riscatto rispetto a un modello sociale all’interno del quale sono maturati, perché possibili, silenzi, coperture e complicità?

Ieri, probabilmente, in quella chiesa non c’era nemmeno quel potere che per anni ha pervaso questa città, con i toni suadenti di una messa domenicale, di un centro culturale, all’ombra di una tonaca e di relazioni opache.

Quel potere cambia forma, nomi, volti, metodi, ma, incredibilmente ancora cerca il sostegno della Chiesa.
Nonostante le chiese siano sempre più desolatamente vuote.
Per questo non chiedo scusa a quanti hanno voluto, con arroganza e sfrontatezza, perseguire i propri disegni in ossequio a una fede cieca e lontana dal dolore e dalla verità.
Ma quanto è difficile distinguere gli uni dagli altri. E chi può arrogarsi questo diritto, anche in nome di una causa giusta? Ecco perché quei fischi e quelle urla sono apparse fuori luogo. E lo erano certamente.
Non posso fare a meno di chiedermi, però, quanta violenza ci sia nel non rispetto e nella negazione della verità.

Voglio essere sincero. Non credo alla riconciliazione senza verità. E non credo neanche che questa città abbia bisogno di ritrovare quel falso quieto vivere, che facilmente sconfina nell’indifferenza e nei silenzi complici. Non credo che questa sia la lezione da trarre da questa vicenda.
Credo che sia importante e anche responsabile il saper prendere posizione, ma credo fortemente nella riconciliazione come presupposto per ricostruire il senso della comunità.

La Curia potentina dice nel suo comunicato che avrebbe voluto e ancora vorrebbe questa riconciliazione con la famiglia Claps e con quella parte della città che ne condivide l’indignazione, affiancandola, finalmente numerosa e consapevole, nella lotta per la giustizia e la verità.


A me sembra che mentre si invoca Dio si sia perso l’umano. La famiglia Claps ha interrotto il dialogo. Qualcuno si è chiesto perché? Che cosa c’era di inaccettabile nella proposta di dialogo avanzata dalla Chiesa potentina? Forse delle scuse non scuse, scritte in un linguaggio troppo lontano dalla carne viva del dolore?
Mi chiedo anche, ma se la famiglia Claps avesse accettato quella proposta, se la chiesa della S.S. Trinità fosse stata riaperta in piena condivisione e non come ladri, di nascosto, che cosa sarebbe successo?

Che cosa sarebbe successo quando, a chiesa riaperta, si sarebbe scoperta la lapide che esalta le virtù di educatore di don Mimì Sabia?
Quanta violenza sarebbe stata fatta ancora una volta alla famiglia di Elisa?
Qualcuno ci ha pensato?

Ecco, dunque, che manca l’umano.
E come si può parlare allora di riconciliazione?
Manca l’umano perché nessuno, nella Chiesa, si è degnato di dire una parola a quell’uomo, che dopo quarant’anni si è liberato del macigno che gli opprimeva il cuore. Era un ragazzo di diciassette anni ed è stato abusato nella sacrestia di quella chiesa da quel prete di cui si esaltano le virtù. Questo ha raccontato quest’uomo e nessuno, nessuno si è degnato di mettersi in ginocchio di fronte al dolore e alla verità.

Ma si può dubitare, certo. E non sarebbe forse dovere della chiesa di indagare su ciò che è accaduto, non ad una sola persona, a quanto pare?

Come non capire che mantenere quella targa, in quella chiesa, è un atto violento e disumano?

È troppo chiedere di restare umani?

È troppo pretendere quelle scuse che non sono mai arrivate alla famiglia di Elisa?

Chiediamo scusa tutti. Don Marcello Cozzi lo ha fatto per primo, già due mesi fa, lui che ha camminato a fianco della famiglia. Ma le sue scuse sono state travisate perfino da alcuni suoi confratelli. Libera lo ha fatto.

Basilicata, Potenza, don Marcello Cozzi

Alcuni hanno chiesto scusa in questi giorni per non esserci stati negli anni passati, per non aver capito quello che accadeva.

Chiedo scusa anch’io, anche per le urla non mie.

Chiedo scusa per non aver saputo dare il mio contributo nel rendere quella piazza ancora più bella e spirituale di quanto già non fosse, provando a contenere la pur comprensibile rabbia.

E allora, se chiedere scusa è l’atto indispensabile per una riconciliazione, l’auspicio è che la Chiesa potentina avvii al più presto la sua attività di indagine su quanto accaduto nella chiesa della Trinità e che sappia parlare al cuore delle vittime (le eventuali vittime scriverebbero loro), mettendosi in ginocchio.

Ma se la Chiesa è innanzitutto la comunità dei fedeli, mi permetto di chiedere alle donne e agli uomini che intendono fare di quella chiesa il luogo delle loro preghiere e delle loro celebrazioni, un gesto forte di riconciliazione.

Lo chiedo a voi, fedeli della chiesa della S.S. Trinità, questo gesto di riconcilazione.
Molti di voi sanno quanta menzogna è ancora nascosta sotto la polvere, molti di voi sanno che una certa Potenza bene sapeva e proteggeva i propri figli dal male oscuro di quella chiesa.
Lo sanno in tanti a Potenza.


E allora, in attesa che il processo nella Chiesa faccia il suo corso (ma lo avvieranno mai?), perché non siete voi a chiedere la rimozione di quella targa falsa, per restituire a quella chiesa un po’ di luce e un po’ di verità?

Chiedetelo voi al vescovo.

È la vostra chiesa (è la nostra chiesa) e potete renderla bella, nuova ed accogliente.


Fatelo e ve ne saremo grati.

Ed Elisa da lassù ci manderà un sorriso

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