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IL PROFESSIONISTA DI MAFIA INESISTENTE

Ennesimo flop di una delle tante inchieste dell’allora Dda sui Basilischi: non era associazione mafiosa. Cossidente, il pentito che accusa e si autoaccusa assolto ancora una volta: «Il fatto non sussiste»

Antonio Cossidente, il pentito potentino classe ‘65 che accusa e si autoaccusa ma che, ancora una volta, non viene creduto: in sintesi, il professionista della mafia che non c’era. Criminalità sì, ma mafia no. Caduta l’accusa principale, «associazione mafiosa», crollato, dopo anni e anni di dibattimento, i fatti più recenti risalgono al 2005, anche il processo al Tribunale di Potenza: per un lungo elenco di imputati, l’originario ne conteneva oltre 50, qualche assoluzione e pioggia di non doversi procedere poichè i reati estinti per intervenuta prescrizione. In più di un caso, nella sentenza emessa dal Tribunale del capoluogo riunito in composizione collegiale presieduta dal presidente Rosario Baglioni, anche la presa d’atto del- la «morte del reo». Tra gli imputati, per esempio, c’era anche il deceduto collaboratore di giustizia Alessio Telesca. L’altro “big” anche lui deceduto, Cosentino. Ciò che maggiormente colpisce della sentenza, l’elemento dirimente che ha inevitabilmente condizionato il verdetto, è l’assoluzione di Antonio Cossidente, Saverio Riviezzi, ed altri ancora, dall’accusa di associazione per delinquere di tipo mafioso , con la formula «perché il fatto non sussiste». Nel corso degli ultimi anni, ogni volta che la bollata mafia lucana arrivava a Roma al “palazzaccio” di via Cavour, puntualmente i giudici della Cassazione trovavano nuove formule per lo stesso concetto già ribadito: criminalità sì, ma mafia no. Gli “ermellini” lo hanno fatto con frasi dal tenore della seguente: «Unicamente provato che Cosentino avesse ideato il progetto confederativo, e lo avesse promosso, ma non provato, viceversa, che detta fase progettuale si fosse realmente tradotta nella costituzione di una vera e propria organizzazione, che avesse il carattere dell’autonomia rispetto agli organismi malavitosi di originaria appartenenza dei pretesi affiliati». In un’altra sentenza, in riferimento ai “Basilischi” e alle “cellule” poi prodottesi, ribadito come, sempre ammesso, ma non concesso che già l’associazione madre, per l’appunto i “Basilischi”, fosse di stampo mafioso, non fosse possibile considerare automaticamente mafiose le organizzazioni in seguito sorte per gemmazione o scissione: «La caratura mafiosa di un’associazione, non può desumersi dalla «fama criminale» dei gruppi di provenienza, trattandosi di attributo non trasmissibile per via ereditaria». La “mafiosità” deve, invece, risaltare a sè stante dagli elementi di prova raccolti dagli inquirenti, data la «impossibilità di immaginare una successione nella mafiosità per via ereditaria». Nell’inchiesta dell’allora Procura di Potenza, la principale venne denominata “Double face”, Cossidente e Riviezzi erano, per l’accusa, i capi promotori ed organizzatori dell’associazione mafiosa, «con poteri di direzione strategica della stessa mutuati dal “detronizzato” Giovanni Luigi Cosentino», che però da ex capo, continuava ad essere «partecipe» del sodalizio che operava, come da provenienza geografica dei suoi promotori, principalmente a Potenza e a Pignola, data la direzione di Cossidente e Riviezzi. Oltre al business del traffico illecito di stupefacenti, per lo più cocaina e hashish, per l’allora Procura, il sodalizio bicellulare aveva come obiettivo l’accumulo di ingenti ed illegali profitti tramite, la lista dei reati fine, estorsioni, furti e truffe, traffico di armi e traffico di tabacchi lavorati esteri. Per l’associazione di stampo mafioso, assolti «perché il fatto non sussiste» Antonio Cossidente, Saverio Riviezzi, Carmine Campanella, indicato come «il dirigente con funzioni decisionali», Pasquale Marino, Maurizio Pesce, Raffaele Franco Rufrano, Nicola Sarli, indicato come «partecipe con funzione di luogotenente del Riviezzi», Rocco Braidich, Giuseppe Latronico, Vincenzo Perales, Vincenzo Sangregorio, Numida Leonardo Stolfi, Giovanni Lottino, Alessio Telesca e Donato Tricarico.

Ferdinando Moliterni

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