AttualitàBasilicataBlog

CASA DEL POPOLO, NÈ L’UNA NÈ L’ALTRO

Il caso sfratto a Venosa emblematico della trasformazione storica del Partito democratico

La parola “Casa del Popolo”, per noi più anziani, porta alla mente il ricordo del tempo in cui la politica era una cosa seria. Un tempo in cui Socialisti, Repubblicani e Cattolici si radicavano sui territori e costruivano luoghi di ritrovo e di approfondimento politico. Un tempo in cui la politica era delle masse e le masse guidavano e si facevano guidare dalla politica. Un tempo in cui il Partito Politico era una seconda Chiesa. Le “Case del Popolo” sorgevano ovunque, erano state costruire con sottoscrizioni popolari fatte da persone che, in nome di un’idea, avevano accettato e voluto mettere da parte e togliere al proprio già magro bilancio familiare, qualcosa in nome di un’idea. Una cosa che, nel tempo della politica di plastica, dei leader che vanno e vengono come il vento e si sciolgono come neve al sole con i loro partiti, che è anche difficile da spiegare ai Millennials. Nessuna persona nata in questo millennio potrebbe mai né capire né concepire l’alto concetto di passione civile che alimentava queste azioni.

A VENOSA C’ERA UNA “CASA DEL POPOLO”

Anche a Venosa c’era una “Casa del Popolo”. Per molti Venosa è la città di Orazio ma è anche stata la città del terzo stato dei contadini, dei braccianti e degli operai. Braccianti, contadini ed operai che, dovendo trovare un luogo dove riunirsi per parlare di loro stessi e confrontarsi sulla loro situazione, decisero di fare una sottoscrizione. Ciascuno di loro si privò di qualcosa per creare quella “Casa del Popolo”. Il tempo, però, passa inesorabilmente e non cambia soltanto le cose ma anche le persone. La sinistra che ha smesso di occuparsi di quello che un tempo veniva chiamato “proletariato” oggi cerca salotti da frequentare e opinion leader da ingaggiare, prova ad arruolare la borghesia bene. Questa nuova classe di militanti, però, non conosce né il sacrificio economico né l’impegno militante né la passione civile. Furono i braccianti con il loro magro salario a costruire pietra su pietra la “Casa del Popolo” di Venosa. Sono i nuovi salottieri che costituiscono la nuova classe dirigente del Partito Democratico a non riuscire neanche a mettere insieme i soldi per pagare l’affitto di quella sede che, nel frattempo, è diventata di proprietà della fondazione Basilicata Futuro. Uno strano percorso in cui i figli ricchi non riescono a mantenere ciò che i genitori poveri avevano costruito. Del resto, la storia ci insegna, che non sono le risorse economiche a fare grandi i movimenti politici ma le grandi passioni che sono capaci di muovere il mondo.

IL POPOLO NON HA PIÙ CASA NEL PARTITO DEMOCRATICO

Tra mille storie la “Casa del Popolo” è stata venduta ad un privato. Il privato non ha ricevuto il pagamento dei canoni e ha sfrattato il Partito Democratico che, nel frattempo, si era là collocato. Ci verrebbe da dire: giusto così. Nel Pd della ZTL non c’è più niente di popolare, il Partito Democratico non è da tempo la “Casa del Popolo”. Il Popolo non abita più da quelle parti. Come in un vecchio palazzo di una nobiltà decaduta restano soltanto i quadri di antenati i cui eredi non hanno imparato nulla, parimenti di quella aristocrazia operaia nelle sedi del Pd sono rimaste solo le foto sbiadite di Berlinguer e qualche ricordo di un passato che non è più neanche ispirazione del presente. Non è uno sfratto quello di Venosa, è una presa d’atto della storia. Non è solo una azione legale è una nemesi storica. Il Popolo se ne va dal Pd e il Pd ne lascia la casa.

LE PAROLE DELLA CGIL

«Ci chiediamo a chi giova una tale furia iconoclasta e il totale disprezzo per la storia gloriosa di un popolo e del Partito Comunista Italiano (…) Soltanto qualche anno fa, alla presenza dello stesso Casaletto, nella “Casa del Popolo” di Venosa, veniva apposta una targa in memoria di Rocco Girasole. Rocco giovane bracciante, morì a venti anni con la bandiera rossa in mano, sognando un lavoro, ucciso dalla polizia in un inverno freddissimo come quello del 1956, durante uno sciopero alla rovescia per rivendicare giustizia, pace e lavoro. I figli di quei braccianti, che scioperavano nel ‘56, con i loro risparmi, hanno poi comprato la Casa del Popolo di Venosa, punto di riferimento politico e culturale per tutta la città e in particolare per i comunisti e i sindacalisti della zona che in quella sede hanno sempre trovato accoglienza», a scrivere queste parole è la Spi Cgil, la sigla che raccoglie i pensionati del sindacato che fu di Giuseppe Di Vittorio. Anche a noi non può non venirci il magone a pensare che debbano essere i pensionati del sindacato a ricordare le lotte operaie che hanno portato alla nascita della “Casa del Popolo”. È il tempo che passa inesorabile, cancella le energie che non esistono più e lascia soltanto il ricordo di ciò che è stato. Il tempo si procurerà le forze per cancellare anche il ricordo. Ci sentiamo di solidarizzare con i pensionati della Cgil e con il loro afflato affettivo verso il ricordo delle bandiere rosse e del Partito Comunista Italiano. Lo facciamo perché siamo vecchi anche noi e questo ricordo del bel tempo che fu ci fa ricordare la nostra gioventù, così come ai pensionati della Cgil fa riaffiorare i ricordi della loro. «Nessun uomo può bagnarsi nello stesso fiume per due volte, perché né l’uomo né le acque del fiume saranno gli stessi», scriveva Eraclito circa 2500 anni fa. Quel fiume popolare che bagnò la sinistra italiana non la tocca più. C’è stato un mutamento di costume.

Di Massimo Dellapenna

Social Media Auto Publish Powered By : XYZScripts.com
error: Contentuti protetti