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IL PRESIDENTE SERGIO MATTARELLA A TORRE PELLICE

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inaugurato, a Torre Pellice, una targa per ricordare la figura di Altiero Spinelli, nel luogo dove tenne il primo comizio europeista nell’agosto del 1943

SERGIO MATTARELLA 

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inaugurato, a Torre Pellice, una targa per ricordare la figura di Altiero Spinelli, nel luogo dove tenne il primo comizio europeista nell’agosto del 1943.

Mattarella ha partecipato al convegno dal titolo

«Il sogno europeista è nato qui. Una sfida da completare»

al Teatro del Forte, aperto da un minuto di silenzio in ricordo delle vittime della tregedia ferroviaria di Brandizzo.

Hanno preso la parola Marco Cogno, Sindaco di Torre Pellice, Filippo Maria Giordano, professore associato di storia contemporanea e Valdo Spini, Presidente della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli. 

È quindi intervenuto il Presidente Mattarella.

Al termine, il Capo dello Stato ha incontrato i rappresentanti della comunità valdese presso la Casa Valdese.

Torre Pellice, 31/08/2023 (II mandato)

INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SERGIO MATTARELLA IN OCCASIONE DEL CONVEGNO DAL TITOLO “IL SOGNO EUROPEISTA È NATO QUA. UNA SFIDA DA COMPLETARE” 

Torre Pellice, 31/08/2023 (II mandato)

Desidero innanzitutto ringraziare il Sindaco per avere esortato tutti noi presenti a un minuto di raccoglimento per il dolore per la morte di questi cinque laboratori di questa notte. Tutti quanti – come il Presidente della Regione, il Sindaco di Torino che si sono recati questa mattina sul luogo, come tutti i Sindaci presenti, tutti i presenti – abbiamo pensato come morire sul lavoro sia un oltraggio ai valori della convivenza.

Grazie Sindaco per questa iniziativa, che richiama quanto sia importante la tutela del lavoro e della sua sicurezza.

Rivolgo un saluto molto cordiale a tutti i presenti.

E vorrei sottolineare quanto sia lieto, questa mattina, di rendere omaggio a una delle piccole Patrie che arricchiscono l’identità del nostro Paese e alle comunità che le abitano. Ciascuna di esse essenziale per definirne i caratteri.

Lo ha ricordato poc’anzi il Sindaco Cogno, citando la targa appena scoperta, particolarmente felice: “passa dai piccoli luoghi la grande storia e la speranza di pace che nutre l’Unione Europea”.

Torre Pellice non è, certamente, un luogo remoto della Repubblica e non soltanto per il contributo dato alla causa della libertà e a quella dell’Europa.

Tra i tanti aspetti, assume significato che da qui provengono le origini dello stemma della Repubblica Italiana, disegnato da Paolo Paschetto, nato a Torre Pellice, e qui morto sessanta anni fa.

Non fu un compito facile quello dell’artista valdese, sino al momento in cui l’Assemblea Costituente approvò, nella seduta del 31 gennaio 1948, la versione definitiva che unisce la stella, la ruota dentata, i rami di ulivo e di quercia, simboli della volontà di pace della nazione, della forza e dignità del popolo italiano, del valore del lavoro nella vita della nostra democrazia. Mentre la stella rappresenta la continuità con il Risorgimento e, ancora oggi, indica l’appartenenza alle Forze Armate e quindi il loro legame di lealtà alla Repubblica.

La Repubblica volle già essere presente qui con il Presidente Cossiga e con il Presidente Scalfaro, a testimoniare l’apprezzamento per le virtù civiche espresse in queste contrade sul terreno delle libertà e dei diritti.

Perché fra le contrade in cui si è fatta la storia d’Italia, si inseriscono, a pieno titolo, queste vallate.

Luoghi anche simbolici, in cui è possibile rintracciare i valori che la Repubblica ha saputo fare propri.

Idealmente un filo lega fra posti apparentemente così lontani come l’isola di Ventotene e le Alpi. Lì un carcere dove vennero rinchiusi patrioti e qui gli spazi aperti della libertà. Il filo che li unisce è appunto la libertà.

A ricordarcelo sono due nomi che qui evochiamo con riconoscenza.

Mario Alberto Rollier e Altiero Spinelli.

A Spinelli, con il manifesto di Ventotene “Per un’Europa libera e unita”, dobbiamo quello che, severamente, definì non un sogno ma “un invito a operare”.

A Rollier, nella cui casa di Milano prese forma, a fine agosto del 1943, il Movimento Federalista Europeo, dobbiamo la proposta di uno “schema di costituzione dell’Unione Federale europea”. Un contributo ispiratore di riflessioni per la Assemblea Costituente. In Piemonte, un altro ne venne recato da Duccio Galimberti e Antonio Repaci.

Piemonte, una Regione decisiva per la Liberazione dell’Italia e aperta alla causa dell’integrazione europea: e penso anche alle attività promosse dalla Consulta europea voluta dal Consiglio regionale.

Vorrei ricordare, ancora, a questo riguardo, la Carta di Chivasso, del dicembre 1943, Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine, luogo di incontro tra i partigiani di queste vallate e quelli della Val d’Aosta, manifesto dell’autonomia e del pluralismo.

Dopo la liberazione dal carcere di Ventotene e l’incontro di Milano, sulla strada verso la Svizzera, Spinelli è ospite della famiglia Rollier qui a Torre Pellice e pronuncia quello che viene cicordato come il suo primo discorso pubblico, come ha ricordato il Prof. Giordano, definendolo “Seme di una coscienza europea”.

Da quel giorno partirà il percorso che, di lì a poco, porterà queste contrade alla scelta della Resistenza, quella contro l’invasore nazista e contro la reincarnazione del regime fascista che ne era al servizio.

Sono anche i giorni, in quel settembre 1943, della conclusione dei lavori del Sinodo valdese, che coincise con l’annuncio dell’avvenuto armistizio con le potenze Alleate.

Siamo cioè, nel pieno di quella fase di transizione, convulsa e ambigua, che portò tante sciagure alla nostra popolazione.

Fu una rottura nella storia dell’Italia, anche della stessa unità del Paese, con il Regno del Sud, da una parte, e il regime collaborazionista di Salò al Nord.

L’8 settembre 1943 fu, però, anche l’ora del riscatto.

Dei militari italiani che si batterono, a Porta San Paolo, a Roma, così come nelle isole del Mediterraneo, nei Balcani, pagando a caro prezzo la loro fedeltà alla Patria.

Dei cittadini che da tempo avevano abbandonato ogni fiducia nei confronti degli stentorei e vacui proclami della dittatura di Mussolini.

Si fece strada, nel Paese, la coscienza di un nuovo inizio.

La lotta di Liberazione, poi la Repubblica e la Costituzione, corroborano la riconquistata unità nazionale, la libertà e la piena partecipazione democratica, con il voto finalmente riconosciuto alle donne.

Dopo la contraffazione operata dal fascismo, si comprese come il valore della Patria, non si esaurisce nella aspirazione a una storia comune ma come rilevi la capacità di costruire il futuro del nostro popolo, di una comunità responsabile, espressione autentica dei valori dei cittadini del nostro Paese.

Da qui, da Torre Pellice, accanto al “Pioniere”, furono stampati periodici come “La baita” e “La forgia” e i nuovi Quaderni di Giustizia e Libertà. E desidero anch’io salutare Giulio Giordano, giovanissimo partigiano di quegli anni e protagonista di quelle imprese.

Il 1944 è anche l’anno della prima edizione di “Stati Uniti d’Europa” di Mario Alberto Rollier.

Alla sua figura ho fatto riferimento a proposito dello “Schema di Costituzione dell’Unione federale europea”, da lui proposta con l’idea di convocare un’apposita Convenzione per dotare l’Europa federale di un proprio Statuto.

Un’iniziativa ripresa, all’inizio di questo millennio, con il tentativo – purtroppo fallito a causa dell’opposizione dei referendum francese e olandese – di dar vita a una vera e propria Costituzione d’Europa.

Quanta lungimiranza in quegli anni della lunga vigilia che doveva portare alla conquista della pace in Europa!

Consideriamo anzitutto il preambolo che, secondo Rollier, avrebbe dovuto caratterizzarla.

Leggiamo: “garantire a ogni uomo e donna i benefici di un’uguale libertà”; “perpetuare il governo del popolo, per il popolo, attraverso il popolo, nel nome dell’uguale diritto di ogni uomo di contribuire al governo di tutti”…

Ancora, con una sensibilità acuta, interprete anche della storia di queste valli, all’art.1 “la libertà di coscienza e di culto, la libertà di opinione, la libertà di parola e la libertà di stampa sono garantite”.

Con ulteriore visione preveggente e concreta, l’art.11: “Tutti i cittadini nati o naturalizzati negli Stati autogovernantesi dell’Unione sono contemporaneamente cittadini dell’Unione e dello Stato in cui risiedono e possono circolare liberamente in tutto il territorio dell’Unione federale”.

Da cosa nasceva questa spinta?

Ricordiamo – dalla raccolta rieditata dalla citata Consulta europea – la frase posta sotto la testata del primo numero di quella che sarà poi, a lungo, voce del Movimento Federalista Europeo, pubblicato clandestinamente in Piemonte nel maggio del 1943. Ben prima, dunque, del Gran Consiglio che sfiduciò Mussolini e del successivo armistizio.

Quel foglio, “L’Unità europea”, scriveva”: “alla fine di questa guerra l’unificazione d’Europa rappresenterà un compito possibile ed essenziale. La divisione in Stati nazionali dell’Europa è oggi il nemico più grave della impostazione e soluzione umana dei nostri problemi: la minaccia esterna, fantastica o reale, turba tutti i processi e apre la via a tutte le forze reazionarie, all’assurda marcia verso l’assurdo, verso la guerra, degli ultimi settant’anni”.

Una causa promossa con vocazione di ampia trasversalità, come ci conferma la pluralità delle personalità che parteciparono alla fondazione del Movimento Federalista Europeo.

Ebbene, oggi parliamo – vivendole concretamente – di cittadinanza “europea”, di libera circolazione delle persone negli Stati di quella che, nel frattempo, è divenuta “L’Unione”.

Parliamo dei valori di libertà e democrazia che contraddistinguono i suoi membri.

Sembra di rileggere quanto veniva scritto allora.

Un primo segno fu il Trattato di Londra del 1949 che diede vita al Consiglio d’Europa con sede a Strasburgo. Seguirono poi le iniziative dell’accidentato percorso di integrazione europea, evidenziate poc’anzi dall’on. Valdo Spini.

Un cantiere permanente quello che caratterizza il percorso verso una “unione sempre più stretta” tra i popoli europei, come recita il preambolo della Carta dei diritti fondamentale della Unione europea.

Veniamo da una stagione che ha visto l’Unione fortemente sollecitata a saper proporre soluzione politiche a questioni centrali per il futuro.

Guardiamo per un momento alle crisi attraversate o a quelle in corso: la pandemia, la crisi finanziaria, la guerra.

Si ritiene forse possibile affrontarle fuori dall’Unione Europea o con una Unione debole?

È noto come nel processo di unificazione europea si sia, a lungo, dibattuto fra due prospettive o meglio, forse, fra due percorsi con la medesima prospettiva: la piena integrazione d’Europa. Quella federalista di Spinelli e quella funzionalista di Jean Monnet, messa in campo dal Ministro degli esteri francese, Robert Schuman.

Certo, si è sovente presentata anche l’interpretazione, riduttiva, di una mera cornice di collaborazione economica, tuttora fatta propria da alcuni Stati membri.          

La battaglia di Spinelli si sviluppò poi nel Parlamento Europeo, verso una vera e propria Costituzione europea.

La sfida di fronte alla quale ci si è sempre trovati è quella della capacità di passare, coerentemente, dalle politiche adottate in sede comunitaria, alla loro traduzione in istituzioni.

Si colgono qui sia i limiti dell’approccio funzionalista sia i passi concreti che ha permesso di fare.

Nel tempo presente, si pensi al ruolo fondamentale e prezioso espresso dall’Unione su temi come quelli della salute durante il Covid (che pure non appartengono, strettamente, alla competenza comunitaria) e del rilancio delle economie, con i programmi del NGEU e del SURE, che permettono, anche al nostro Paese, di promuovere, fra gli altri, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Contemporaneamente va osservato che passi avanti sul terreno federalista si riscontrano sin dal sorgere della prima importante tappa che apre al cammino europeo: la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio, lanciata da Schuman in cui, con grande significato, si dà vita a un’autorità internazionale “indipendente dai governi”.

Credo che sia evidente a tutti – o quantomeno a molti – come l’espressione di Spinelli “l’Europa sogno o invito a operare” si sia trasformata oggi in un dovere.

Ho ricordato la questione della guerra portata dalla Federazione Russa all’Ucraina come la sfida di fronte alla quale si trovano oggi i popoli europei.

Spesso la drammatica sofferenza delle guerre ha spinto verso nuovi equilibri e ordini internazionali.

Per restare al Novecento, è stato così con il Primo conflitto mondiale e la nascita della Società delle Nazioni.

Così con il Secondo conflitto, con le Nazioni Unite e l’avvio del processo di integrazione europea.

In entrambi i casi, l’aspirazione era porre fine alla guerra come strumento di risoluzione delle controversie, come recita la nostra Costituzione.

E, a lungo, prima sul crinale della “guerra fredda”, poi della caduta della “cortina di ferro”, la stabilità è prevalsa.

La nostra Costituzione, agli art. 10 e, soprattutto, 11, impegna l’Italia a promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare pace e giustizia fra le Nazioni.

La pretesa che siano le guerre a disegnare gli equilibri corrisponde alla logica del prevalere del più forte sul più debole.

La logica che ha condotto alle nefandezze del Novecento.

Per uscire dalle quali sono state necessarie tenacia e risolutezza.         

Alcide De Gasperi, ritenuto, a ragione, uno di Padri fondatori oltre che della nostra Repubblica anche del processo di integrazione europea, forte della sua esperienza di uomo di frontiera, osservava che “la principale virtù della democrazia è la pazienza. Bisogna attendere alle cose con tenacia e vigilanza, con la coscienza che le cose debbano sempre maturarsi”.

La pazienza “di fronte alle lentezze dell’uomo”.

L’unità europea è un’impresa in salita, dove alle difficoltà e alle visioni anguste si devono contrapporre fattori ideali e politici.

L’unità europea è l’ambizione di completare uno storico percorso di innegabile successo.

Sprovvista delle sue autentiche ambizioni l’Europa non avrebbe ragione di esistere. Non potrebbe esistere.

L’ambizione, in tempi di guerra, di conseguire presto la pace per un ordine internazionale rispettoso delle persone e dei popoli.

L’ambizione, in tempi di pace, di preparare la pace del futuro, il suo consolidamento per la giustizia tra le nazioni e fra i popoli.

È questa la permanente attualità dell’invito a operare di Spinelli.

Da raccogliere; in ogni stagione.

INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SERGIO MATTARELLA IN OCCASIONE DELL’INCONTRO CON LA COMUNITÀ VALDESE

Torre Pellice, 31/08/2023 (II mandato)

Sono particolarmente lieto di questa opportunità di incontro in occasione dell’80° anniversario di un Sinodo che rappresentò una riflessione alta nel modo di porsi della vostra Chiesa e delle religioni nei confronti dello Stato.

Erano i giorni dell’incertezza che faceva seguito alla caduta del fascismo e, in contemporanea, dell’armistizio fra potenze alleate. Il vostro dibattito si svolse esattamente in quei giorni e si trovò a confronto con alternative difficili.

Molti fra i presenti scelsero la strada della lotta per la libertà, unendosi alla Resistenza.

Da quel Sinodo emerse la orgogliosa affermazione per cui la Chiesa valdese “fondata sui principi dell’Evangelo, si regge da sé in modo indipendente, nell’osservanza della sua confessione di fede e del suo ordinamento senza pretendere alcuna condizione di privilegio nell’ordine temporale, né consentire nel proprio ordine ad ingerenze o restrizioni da parte della società civile”.

Troviamo traccia di questa posizione nelle previsioni della nostra Costituzione che superò la normativa fascista sui “culti ammessi” e le limitazioni derivanti dal regio decreto febbraio 1930 sull’apertura di templi non cattolici.

Ringrazio quindi per l’invito, e per le sue parole, la Moderatora, Alessandra Trotta, e saluto tutti i presenti, i rappresentanti delle istituzioni e degli organismi che animano l’attività delle vostre Chiese e i giovani presenti.

La vostra esperienza è legata, per molti aspetti, alla causa della libertà. Naturalmente, in particolare a quella della libertà di culto.

Il diritto alla espressione delle proprie convinzioni è stato accompagnato, nel vostro caso, da vicissitudini che, nella storia, talvolta tendono a riproporsi.

La vostra comunità, infatti, ha acquisito a caro prezzo diretta cognizione di cosa significhino parole come “esiliati”, “rifugiati”, “accolti”, “ritornati”. Di cosa significhino “esilio” e “ritorno”.

Recate le stigmate di chi aspira a vivere orgogliosamente nella propria Patria anche quando questa respinge.

Di cosa significhi trovare solidarietà – al di là delle Alpi in questo caso – in quelle montagne che Braudel ha definito il “rifugio – nel Mediterraneo – delle minoranze eretiche”.

Di chi, con sofferenza, ha ottenuto riconoscimento delle proprie ragioni.

Oggi, nella Repubblica, le montagne non sono più un rifugio per perseguitati e, soprattutto, non esiste più la categoria abusiva degli “eretici”.

Al contrario, la nostra Costituzione, riconosce e valorizza le peculiarità di persone e comunità, quelle che- come ricordava l’insigne teologo valdese Giovanni Miegge – il “fascismo combatteva sistematicamente”. Fossero “originalità regionali di lingua o tradizione”.

Si tratta dell’applicazione di quel principio fondamentale per il quale insidiare la libertà di uno dei componenti della società equivale a porre in discussione la libertà di tutti.

Del resto, è noto come non vi possa essere piena libertà civile e politica senza libertà religiosa.

Lo attesta la stessa vicenda delle patenti della cosiddetta “emancipazione” della comunità valdese firmate da Carlo Alberto nel 1848, significativamente a pochi giorni dalla promulgazione dello Statuto che introdusse le libertà costituzionali nel regno di Sardegna.

Nel famoso discorso detto delle Quattro libertà, il presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, ebbe a collocare la libertà di culto appena dopo quella di parola e di espressione. Perché è “essenziale” – disse – che “ogni persona (possa) rivolgersi a Dio a suo modo – ovunque nel mondo”.

Un sacerdote cattolico, don Primo Mazzolari – antesignano delle tesi che saranno fatte proprie dal Concilio Vaticano II della Chiesa cattolica – amava ricordare che “la libertà è l’aria della religione”.

Fedi che non respirassero l’aria della libertà sarebbero prigioniere di un’angusta interpretazione di sé stesse; frenate, imprigionate, subordinate, inoltre, a interessi temporali, limitate nella capacità di rendere quella testimonianza nello spazio pubblico che, per definizione, è uno spazio plurale.

“Luogo di incontro e dialogo” lo ha opportunamente definito la Moderatora Trotta.

Alla Costituente il dibattito su questi temi fu intenso e appassionato.

Venne affermato il principio di uno Stato non confessionale, venne resa esplicita la consapevolezza che libertà di culto e libertà di coscienza rappresentano due facce della stessa medaglia.

Ne troviamo puntuale conferma all’art.8 che stabilisce l’eguaglianza di “tutte le confessioni religiose” davanti alla legge e, all’art.19 ove si afferma che “tutti hanno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma, individuale o associata”.

Quando i Costituenti approvarono l’art.19, Meuccio Ruini, Presidente della Commissione dei 75, ebbe a definire quel testo “un’affermazione rigorosa della libertà di coscienza e di fede”.

Il Presidente Cossiga volle intervenire qui a Torre Pellice, in occasione del bicentenario del “glorioso rimpatrio”.

Il Presidente Scalfaro fu qui nel 150° anniversario della “emancipazione”.

Oggi, possiamo constatare che i due temi della libertà di culto e del rapporto con la Repubblica delle confessioni organizzate hanno trovato una felice composizione che valorizza, anzi, l’apporto di queste ultime alla vita della nostra società.

Libertà e pluralismo sono l’ambiente nel quale le religioni si muovono e partecipano alla edificazione di una società più giusta, progredita, rispettosa dei diritti.

L’odissea dei Valdesi, il loro contributo – da credenti – al bene comune della Repubblica, testimonia il valore della presenza che assicurano alla storia d’Italia.

Ed è paradigmatica della libertà, fondamento della nostra Costituzione.

Grazie di questa accoglienza.

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