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L’IMPEGNO POLITICO DI VESCOVI E CATTOLICI

L’intervento di Antonio Rubino

Di recente i Vescovi lucani hanno diramato una nota stampa con la quale hanno dovuto chiarire che «non esiste né esisterà un’entità politica che si definisca “lista dei vescovi” o che rappresenti direttamente la Conferenza Episcopale di Basilicata». La nota è stata letta tra qualche sbadiglio, alcuni sorrisi alteri e qualche dissapore. In realtà, quella frase dei Vescovi di Basilicata è fondamentale, aggiunta a un altro passaggio della nota nella quale si ricorda che la Conferenza Episcopale è intenta «a servire la comunità lucana con un “servizio profetico ecclesiale”». Con questa dichiarazione i Vescovi hanno ribadito che non può essere utilizzata la Chiesa come strumento per un posiziona- mento o una strategia. Né la Chiesa Cattolica può es- sere l’ombrello che serva ad unire ciò che unito non può essere. Se, come ricorda il Conci- lio Vaticano II, il laico non può esimersi dalla vita plitica, il suo impegno deve essere conforme alla visione valoriale che il cattolicesimo ha rispetto all’uomo, alla società, allo Stato. Il “non giudicate” evangelico è riferito alle coscienze, non alle idee, ai valori, alla storia. È riferito alle persone, non alle politiche. L’Italia è stata la Nazione dove maggiormente i cattolici impegnati in politica hanno svolto un ruolo centrale nelle scelte, nella visione e nel Governo della Nazione. La Basilicata, in particolar modo, è stato uno dei territori dove maggiormente il cattolicesimo impegnato in politica ha raccolto per anni un gran- de consenso elettorale e sociale. Il cattolicesimo impegna- to in politica, però, ha avuto sempre ben salda da- vanti a sé la bussola dei valori ai quali il cattolico deve far riferimento nella sua azione politica, pur senza confondere il piano della morale individuale da quella dell’etica pubblica. Quando imperversavano gli ultimi strascichi della seconda guerra mondiale e l’Italia doveva immagina- re la ricostruzione dopo il disastroso esito del conflitto, furono i cattolici riuniti nell’eremo dei Camaldoli a sviluppare il primo documento che immagina- va una vita democratica in Italia, lontana dalla dittatura fascista senza la tentazione del totalitarismo sovietico. In quel documento, scritto da quelli che sarebbero stati i principali artefici della storia della cosiddetta Prima Repubblica da Ezio Vanini ad Aldo Moro, a Giorgio La Pira, era ben presente il cardine dottrinario come punto di riferimento per l’azione politica, basti pensare che ogni enunciato politico era supportato da una posizione espressa da un pontefice in una enciclica o in altri scritti dottrinari. In questo senso ed in questa direzione, ancora prima di immaginare la lista dei Vescovi è necessario pensare al ruolo dei cattolici in politica: «sarebbe un errore confondere la giusta autonomia che i cattolici in politica debbono assumere con la rivendica- zione di un principio che prescinde dall’insegna- mento morale e sociale della Chiesa» scriveva Joseph Ratzinger nel 2002 e da questo insegnamento non si può prescindere se non si vuole ridurre l’impegno dei cattolici a mera aggettivazione per una scelta assolutamente personale e non valoriale. Se si vuole tornare a parlare di impegno dei cattolici in politica non si può tirare la Chiesa da una parte piuttosto che da un’altra, ma si deve ricordare che il Vangelo non è una moda adattabile ai momenti. Servono scelte chiare, quelle che i Cattolici dei Camaldoli avevano ben presente nel loro documento politico-strategico. E, allora, chiediamoci come Cattolici impegnati in Politica, ancora prima di rivendicare una desueta e non più attuabile strategia di unità politica dei cattolici, dove può trovare collocazione e cittadinanza politica il messaggio Evangelico in merito ai cosiddetti valori non negoziabili: alla mercificazione del corpo umano trami- te utero in affitto, alla visione della famiglia come società naturale che preesiste allo Stato e che, co- me ci ricorda saggiamente la Costituzione, la Repubblica si limita a riconoscere per ciò che naturalmente è. “La sovranità statale non è illimitata; i suoi confini sono segnati dalla sua ragione di essere che è la pro- mozione del bene comune. Oltre quei limiti, i suoi at- ti sono illegittimi e perciò privi di forza obbligatoria in ordine ai sudditi” ricorda proprio il Codice dei Camaldoli, che ribadisce che il bene comune consiste nelle “esterne condizioni le quali sono necessarie all’insieme dei citta- dini per lo sviluppo della loro qualità e dei loro uffici, della loro vita mate- riale, intellettuale e religiosa, in quanto da un lato le forze e le energie della famiglia e di altri organismi, a cui spetta una naturale precedenza, non bastano, dall’altro la volontà salvifica di Dio non abbia determinato nella Chiesa un’alta universale società a servizio della persona umana e dell’attuazione dei suoi fini religiosi”. Uscire dalla perimetrazione del “bene comune”, co- sì come delineato dalla dottrina sociale della Chiesa e declinato nel principale e più importante documento del laicato cattolico impegnato in politica, significa dare all’aggettivo “cattolico” una qualificazione senza alcun significato concreto, quasi retorica riproduzione di un termine neutro. L’impegno politico dei cattolici, al contrario, se vuole essere vivo e vero, se vuole essere autentico e sostenuto da una corretta ragione, deve porsi do- mande antiche per interpretare tempi nuovi. L’Appello ai Liberi e Forti non può essere privo di significati coerenti se non vuole rimanere vuoto. E la risposta deve essere fondata sulla base di un impegno concreto con argomenti chiari non da semplici posizionamenti tattici. Alle ansie che bussano ogni giorno alle nostre porte non possiamo rispondere con modelli che esaltano l’individualismo, inseguono i sondaggi, tradiscono valori non negoziabili, dimenticano le idee. Proviamo a rispondere senza pregiudizi e preconcetti, chi scrive vede che tantissimi cittadini iniziano a rifletterci con equa distanza dai poli che non dialogano.

Di Antonio Rubino

Sindaco di Moliterno

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