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L’ANTIMAFIA DI LECCE NEL MATERANO

“Amici per la pelle” tonnellate di rifiuti smaltiti illegalmente e profitti illeciti: 5 agli arresti domiciliari. Non solo divani, indagati a piede libero gli imprenditori Nicoletti, Cammarota e Lamacchia

Per i reati di associazione per delinquere ed attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, gestione illecita di rifiuti speciali e discarica abusiva, nelle province di Taranto, Brindisi, Bari e Matera, i militari del Gruppo Carabinieri per la Tutela Ambientale e la Transizione Ecologica di Napoli e della Sezione di Polizia Giudiziaria di Taranto, con il supporto in fase esecutiva dei colleghi del- le Compagnie di Manduria, Francavilla Fontana, Castellaneta e Massafra, hanno dato esecuzione a 5 provvedimenti cautelari personali degli arresti domiciliari ed ulteriori 20 provvedimenti tra reali e patrimoniali, emessi dall’ufficio Gip presso il Tribunale di Lecce su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia.

I LUCANI

Ci sono anche tre imprenditori lucani nell’inchiesta della Dda di Lecce, che ha scoperto un presunto traffico illecito di rifiuti, nello specifico, scarti di lavorazione del pellame, tra Puglia e Basilicata. I lucani, che risultano indagati a piede libero, sono Gianni Cammarota, di Grottole, in qualità di amministratore di fatto della Genericam, Franco Lamacchia, di Matera, in qualità di amministratore della Rossini Made in Italy, e Pierpaolo Maria Nicoletti, anche lui di Matera, in qualità di amministratore unico della Divani Tre P.s.p. Stando alle indagini, lo smaltimento eseguito al di fuori delle regole avrebbe comportato un risparmio di 5.125 euro per Lamacchia, e di 36.500 euro per Nicoletti, entrambi accusati di concorso in traffico illecito di rifiuti aggravato. Cammarota, invece, è accusato di una violazione al Testo unico ambientale, che punisce la attività di gestione dei rifiuti non autorizzata. La genesi delle indagini veniva occasionata, nel mese di luglio 2019, dal rinvenimento ad opera della Sezione di Vigilanza Ambientale – Regione Puglia – Nucleo di Taranto – di rifiuti pericolosi costituiti da ritagli e cascami di lavorazioni della pelle, abbandonati su ter- reni siti in agro tarantino e da successivi ulteriori rinvenimenti della stessa tipologia di rifiuti in altre aree dello stesso territorio. Le successive attività investigative hanno permesso di ipotizzare quali fossero le aziende produttrici dei rifiuti, «tutte operanti nella produzione di divani ed insistenti nelle aree industriali di Matera, Altamura e Gravina di Puglia».

IL CAPO

Le prime informazioni testimoniali rese dai legali rappresentanti delle ditte interessate, hanno fatto subito emergere, secondo l’accusa, «chiaramente la figura del principale indagato per il quale emergevano elementi tali da poterlo ritenere leader e fautore del traffico illecito di rifiuti da almeno 30 anni, come da conversazione telefonica intercettata dalla Polizia Giudiziaria». Sua sarebbe stata la promozione e l’organizzazione dell’associazione, sua ogni decisione in capo agli altri sodali. Lui «tramite l’azienda individuale “Marpelle Snc”, si presentava alle società come titolare di un’azienda che avrebbe provveduto al recupero dei rifiuti speciali da loro prodotti, con un costo di smaltimento pari a 0,15 al kg». Lo stesso, dopo aver ritirato i rifiuti stoccati all’interno dei piazzali delle aziende, «si faceva pagare in contanti o anche tramite bonifico emettendo a loro carico, in questo caso, fatture con causali false di pulizia del verde o dei piazzali così da consentire alle aziende di contabilizzare, si ritiene illecitamente, un costo sostenuto di fatto di gran lunga inferiore rispetto a ciò che avrebbero pagato smaltendo lecitamente, 0,40 al kg».

IL SUCCESSORE

Alla sua morte, il ruolo primario sarebbe stato assunto da altro indagato il quale, sebbene incensurato, si ritiene essere colui che reclutava la manovalanza ed al quale i lavoratori si rivolgevano per essere pagati. La serie di accertamenti investigativi di natura tecnica, costituiti in prima battuta dai convenzionali servizi di osservazione, controllo e pedinamento, e le successive attività di intercettazione telefonica ed ambientale, per gli inquirenti, hanno permesso di ritenere individuati gli altri partecipanti l’associazione, delineandone la caratura criminale e l’apporto incontrovertibile al sodalizio. Numerosi sono i fotogrammi ed i video che immortalano le attività condotte e gli scambi di denaro tra i vari soggetti di volta in volta chiamati ad effettuare i trasporti ed i successivi sversamenti sui terreni o l’ammassamento dei rifiuti in capannoni nelle disponibilità del sodalizio.

LE TONNELLATE DI RIFIUTI E I PROFITTI ILLECITI

Circa 3mila tonnellate, 3 tre milioni di kg, sono state le quantità stimate di rifiuti «smaltiti mediante attività di abbruciamento, interramento e occultamento in area agricole e capannoni industriali e che avrebbe consentito agli indagati di trarne un ingiusto profitto complessivo stimato in circa 550mila euro, basti pensare che a fronte di un costo sostenuto complessivamente stimato in circa 420mila euro di fatto se le medesime quantità fossero state lecitamente smaltite il costo stimato sarebbe stato di 1milione e 150mila euro circa». Purtroppo documentalmente i dati sono inferiori. Oltre ad eseguire 5 ordinanze di custodia cautelare in regime di arresti domiciliari, sono stati sequestrati 5 capannoni industriali, 1 area agricola ove i rifiuti sarebbero stati illecitamente smaltiti, nonché 6 mezzi utilizzati per il trasporto degli stessi. Inoltre la Dda ha disposto il sequestro, finalizzato alla confisca obbligatoria, delle somme di denaro oggetto del presunto ingiusto profitto documentato in 100mila euro circa, da effettuarsi sui conti correnti delle ditte.

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