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14º ANNIVERSARIO SISMA DEL 6 APRILE 2009 OMELIA CARDINALE GIUSEPPE PETROCCHI

“Non rievochiamo la vittoria ‘della’ morte, scatenata dalla furia del sisma, ma celebriamo la vittoria ‘sulla’ morte”

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TERREMOTO L’AQUILA
Sisma 6 aprile 2009, Impariamo ad essere una società risorta: l’omelia del Cardinale Giuseppe Petrocchi

“Non rievochiamo la vittoria ‘della’ morte, scatenata dalla furia del sisma, ma celebriamo la vittoria ‘sulla’ morte”

L’omelia del cardinale Petrocchi durante la Messa in suffragio delle vittime del sisma del 6 aprile 2009.

14º ANNIVERSARIO SISMA DEL 6 APRILE 2009 OMELIA CARDINALE GIUSEPPE PETROCCHI 

L’omelia del cardinale Giuseppe Petrocchi, Vescovo metropolita dell’Aquila durante la messa alle Anime Sante in suffragio delle 309 vittime del sisma del 6 aprile 2009

Il cardinale Giuseppe Petrocchi è stato nominato Vescovo nel 2013; per lui questo è il decimo anniversario dal sisma del 6 aprile 2009.
Quella notte, nell’episcopio in Piazza Duomo c’era il suo predecessore, l’arcivescovo emerito don Giuseppe Molinari, che riuscì a sfuggire alla furia distruttrice del terremoto

Carissimi Fratelli e Sorelle,
stasera non solo siamo immessi in una “manifestazione” che rievoca la calamità del terremoto che ha devastato l’Aquila e il suo territorio nel 2009; ma stiamo partecipando ad un “evento”, che rende presenti e manifesta vicende, personali e collettive, che hanno scandito quei passaggi drammatici della nostra storia.

La “manifestazione”, infatti, poggia sul “ricordo”, che riporta alla mente il passato, mentre l’“evento” fa leva sulla “memoria” che custodisce ciò che si è vissuto e lo rende attuale “oggi”

La “manifestazione”, perciò, è occasionale o ricorrente, l’“evento” invece è “permanente”, perché continua a pulsare nella mente e nel cuore delle persone.

Lasciando che nell’anima scorrano “adesso” gli stessi sentimenti provati “allora”, possiamo, da credenti, guardare in faccia il dolore e la morte senza essere assaliti dall’angoscia. Sappiamo, infatti, che, nella Sua Pasqua, il Signore ha assunto “tutto” il dolore e “ogni” dolore, ma lo ha riscattato e trasformato in sorgente di amore, ricevuto e dato. Così come il Signore è entrato nella morte e risorgendo, l’ha vinta, trasformandola in canale di grazia.

Ecco perché sant’Agostino esclama: «Egli ha preso la morte e l’ha infissa alla croce e ne ha liberato i mortali (…). Nella morte di Cristo, la morte ha trovato la sua propria morte, poiché la Vita morendo ha ucciso la morte» 

In questa liturgia, dunque, non rievochiamo la vittoria “della” morte, scatenata dalla furia del sisma, ma celebriamo la vittoria “sulla” morte. Infatti, l’amore – che lega genitori e figli, parenti e amici – sfida la morte e la sconfigge: è un fuoco che continua ad ardere oltre ogni avversità e disperde l’oscurità del male. La morte non è un vortice ineluttabile che ingoia e dissolve ogni cosa nel nulla. Per chi ha fede, la morte non si chiama “fine di tutto”, ma “passaggio”: «la vita non è tolta ma trasformata», recita solennemente il Prefazio di questa eucaristia.

Tra quelli che, varcando la frontiera della morte, sono entrati nell’eternità e noi che camminiamo nel tempo resta aperto il grande “ponte” della comunione, che rende possibile lo scambio di pensieri, di aiuti e di affetti. Ecco perché nella commemorazione di stasera non parliamo “di” loro, ma parliamo “a” loro.

Tra i nostri cari che vivono “lassù” e noi che attraversiamo i nostri giorni “quaggiù” permane il vincolo della prossimità spirituale e fraterna.

Fra poco, saranno nominati, uno ad uno, quanti sono rimasti vittime del terremoto: non si tratta di un “elenco alfabetico” fissato su un registro, ma è una “convocazione”, cioè una “chiamata” comunionale fatta in famiglia, nel calore dell’incontro.

La sigla che la deve connotare è l’“eccoci”.

Nell’orizzonte della fede, della carità e della speranza, inaugurato dalla Pasqua di Gesù, l’“al-di-là” è ben collegato con l’“al-di-qua”: anzi, compare un “di più” rispetto alla pienezza raggiunta “prima”.

Lo sguardo del cristiano si posa sul volto di coloro che già abitano nel Giorno senza tramonto, sapendo che nulla è perduto di ciò che è segnato dall’amore, perché porta in sé il sigillo perenne della infinità di Dio.
C’è una pagina scritta da Papa Francesco che sembra fotografare passaggi eroici della storia aquilana, connotati dalla fortezza capace di reggere l’urto violento delle emergenze.
«La risurrezione non è una cosa del passato; contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È una forza senza uguali. (…)

Però è altrettanto certo che nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo, che presto o tardi produce un frutto. In un campo spianato torna ad apparire la vita, ostinata e invincibile.
Ci saranno molte cose brutte, tuttavia il bene tende sempre a ritornare a sbocciare ed a diffondersi.
Ogni giorno nel mondo rinasce la bellezza, che risuscita trasformata attraverso i drammi della storia.
I valori tendono sempre a riapparire in nuove forme, e di fatto l’essere umano è rinato molte volte da situazioni che sembravano irreversibili.
Questa è la forza della risurrezione e ogni evangelizzatore è uno strumento di tale dinamismo». (EG n. 276).

Il tema del suffragio, invocato per le vittime del terremoto di 14 anni fa, chiama inevitabilmente in campo il discorso sulla ricostruzione.

È un obbligo al quale le Istituzioni pubbliche sono tenute, non solo verso la popolazione, duramente provata da una immane tragedia, ma anche nei confronti di quanti, attraverso il loro sacrificio, sono diventati “sentinelle spirituali” per la rinascita sociale ed ecclesiale.

Va dato atto che molto è stato realizzato, con generosità e competenza, ma va pure rilevato che, nonostante la buona volontà di Soggetti pubblici e di Organismi locali, si sono sommati disguidi e ritardi, causati da alcuni “strabismi normativi” e “scompensi burocratici”

Gli approcci omissivi o inadeguati vanno, con onestà, riconosciuti per essere “riparati” e segnalati, per evitare che altri incorrano negli stessi incidenti di percorso.
Deve essere evidenziato tuttavia che importanti miglioramenti, strutturali e procedurali, sono già stati varati, con progressi incisivi e promettenti.
Bisogna sempre mantenere in primo piano la certezza che la ricostruzione non è solo opera ingegneristica e amministrativa, ma anche etica, culturale e sociale.

Non basta rifare le strutture architettoniche e murarie, ma si deve pure riedificare la Comunità: nella dimensione spirituale, economica e civica. Per restaurare bene le pareti delle abitazioni e le pubbliche pertinenze, occorre prima ricostruire le case nel cuore della gente: con i mattoni della fiducia e il cemento della concordia.

I protagonisti di questa avventura epocale debbono “ricostruirsi” per diventare efficienti “ri-costruttori”, dotati di intelligenza profetica e di abilità rinnovanti.

In questo orizzonte, ancora una volta rivolgo una accorata esortazione perché venga velocizzato il restauro delle chiese: luoghi di culto, ma anche centri identitari e aggregativi.

Perciò mi pare fondato parlare di “ricostruzioni” post-sismiche, come processi multidimensionali, e non solo di “ricostruzione” edilizia.

Bisogna avere orizzonti ampi, visioni lungimiranti e capacità di confronto “allargato”

Nelle comunicazioni progettuali e nei dibattiti civici è necessario adottare la sintassi dell’unità e il vocabolario dell’amicizia, promuovendo la fattiva testimonianza della convergenza, della corresponsabilità e della partecipazione.

È una missione da non tradire, come severamente ci ammonisce il Vangelo di questa liturgia (cfr. Mt 26, 14-25).

Si deve combattere, come patologia sociale, ogni forma di particolarismo corporativo e di egocentrismo elitario, per evitare il miope restringimento prospettico: ricordando che è legittimo sostenere “un punto di vista”, purché non si riduca solo alla “vista di un punto”

L’impresa della ricostruzione non investe solo gli Apparati dello Stato, a livello centrale e periferico, ma chiama in campo l’intera Comunità, urbana e territoriale.

Tutte le Polarità, istituzionali e sociali, debbono raccordarsi e operare in modo sinergico, costituendo un “Noi” integrale ed integrato.

In tale prospettiva può essere utile richiamare la distinzione tra “abitante” e “cittadino”: cioè, tra chi semplicemente si sente solo “residente” in un posto, ma non è coinvolto nella storia che viene tessuta in quel luogo; e colui che si pensa ed agisce come soggetto attivo della comunità di cui fa parte.

L’abitante alloggia in un contesto sociale, ma non si sente integrato nel vissuto comunitario.
Gli abitanti che non si trasformano in cittadini – così come una “popolazione” che non diventa “popolo” – non saranno autentici gestori nell’impostare e compiere una ricostruzione “adeguata”, che avanza con impianto globale.

Forte dei successi che ha guadagnato nella secolare “guerra al sisma”, l’Aquila ha da subito mobilitato il “senso di appartenenza” della sua gente. Infatti, se si scorrono gli annali della storia aquilana, si resta impressionati nel constatare che nell’arco di ottocento anni si sono succeduti più di sette terremoti, di cui quattro disastrosi 

Viene da chiedersi: perché gli abitanti, con straordinario coraggio, sono rimasti sul posto ed ogni volta hanno riedificato le loro abitazioni dove erano?

Mi viene spontanea la risposta: perché gli Aquilani sono Aquilani; cioè, gente tenace e motivata che, grazie alla radicata fede cristiana e a solidi valori umani (collaudati anche dalle asprezze dell’ambiente montano), ha maturato una robusta “resilienza”, che li ha “equipaggiati” per affrontare e vincere gli attacchi minacciosi del terremoto, senza mai indietreggiare. 

Sulle incursioni distruttive delle calamità hanno prevalso l’attaccamento al territorio, la fedeltà alle tradizioni e la volontà di ripartire, con la irremovibile convinzione di potercela fare.

Si tratta dell’atteggiamento paziente ed intrepido di un popolo che si riconosce nelle parole ascoltate dal profeta Isaia: «Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso» (Is 50, 7).

La lezione del terremoto va pensata con crescente profondità e resa motivo di saggezza, perché diventi risorsa per tutti.

Lo dobbiamo a noi stessi e alle Comunità sorelle, colpite da avversità catastrofiche simili alla nostra.

Maria, madre della Consolazione e Modello di umanità rinnovata dall’amore credente, ci insegni ad essere artefici di una “società risorta” e testimoni generosi della speranza creativa, che non delude.

Viviamo l’“Anno della misericordia”: ci insegna che il perdono è la via maestra verso la pace.

Mentre, con una unica voce, chiediamo all’Onnipotente il dono della riconciliazione e della concordia nel mondo, in particolare nella vicina Ucraina, a tutti e a ciascuno rivolgo auguri fraterni di una santa e serena Pasqua nel Signore.


interessante l’omelia del 2022

13º Anniversario sisma. Card. Petrocchi: “La luce delle torce è profezia della Resurrezione”

5 APRILE 2022
Stiamo celebrando questa solenne liturgia nella ricorrenza del 13° anniversario del terremoto, che devastò L’Aquila e il suo territorio.

Sappiamo che in ogni celebrazione eucaristica si rende presente la Pasqua di Gesù, cioè, la Sua morte e risurrezione.
Questa messa conclude la fiaccolata, che ha visto, ancora una volta, la partecipazione commossa e corale della nostra gente.
Non si tratta di una manifestazione solo evocativa e simbolica, ma di una testimonianza di fede, di amore e di speranza. Non si commemorano soltanto una tragedia sismica e le vittime che ha provocato, ma si testimonia la Vita che non soccombe e si erge indomita: sfida la morte e nel duello esce vittoriosa. 

L’amore, infatti, ha la meglio sulla morte: non viene meno, non diminuisce col passare degli anni, ma si rafforza ogni giorno di più. La vostra presenza, carissime Sorelle e Fratelli, attesta efficacemente questo prodigio: è l’amore che ha l’ultima parola…

#sapevatelo2023

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