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STORIE DI MIGRANTI: FUGGIRE PER “VIVERE”

Sono molteplici i motivi per i quali decidono di scappare e rischiare la vita pur di fuggire da una realtà inaccettabile

Ripetutamente violentata, per 7 mesi in Libia, nella carceri, come purtroppo spesso accade a chi viaggia da sola. È fuggita da impensabili ed indicibili abusi. Con i suoi soli 19 anni, ha dovuto affrontare lunghe e insostenibili giornate in carcere, solo perché ha tentato di scappare da un paese che non le permette di essere “libera”. Come lei tante le donne costrette a vivere situazioni simili, anche se questo non dovrebbe essere la “normalità”. Per scappare ha rischiato la sua vita, solo pochi giorni fa era su un’imbarcazione di 12 metri in avaria in acque internazionali al largo della Libia. Per la prima  si è sentita fortunata, la donna insieme ad altri 104 connazionali è stata tratta in salvo da Emergency, salvata da quella che poteva essere una tragedia, come quella consumatasi qualche giorno prima nelle acque della Calabria, dove diverse persone che come lei cercavano di fuggire da situazioni critiche non sono riusciti a salvarsi, perdendo la vita in quello che doveva essere il viaggio della speranza. Torturate, abusate, ricattare queste donne si trovano a dover far i conti con il più crudele essere che possa esistere sulla terra, un loro simile, l’uomo. Basti pensare che le torture vengono filmate e mandate ai parenti per chiedere soldi per la liberazione. Questa è solo una delle tante terribili storie di chi a costo della vita spera di non dover subire più simili orrori.
Ventitré anni incinta al settimo mese, vedova e sola, senza alcun diritto nel suo paese, ha deciso di salire su quell’imbarcazione per provare a dare una nuova vita a se stessa e a suo figlio che tra poco darà alla luce. Non sono solo le donne a subire torture, diversi gli uomini malmenati e umiliati, sul loro corpo tracce di quello che è ritenuto l’atto più vile che possa esistere. Diversi i minori non accompagnati a bordo della nave Life Support, il freddo, la paura, i traumi fisici e psicologici che questi bambini hanno dovuto sopportare pur di darsi una nuova opportunità, lontani dai loro cari, dai loro affetti da ciò che doveva essere il luogo più sicuro per loro, casa. Come quel ragazzo etiope che viveva in Sudan in un campo profughi, che ha tentato più volte la fuga dalla Libia ma la fortuna non è stata dalla sua parte, perché ripreso, riportato indietro e rinchiuso nelle carceri libiche.
Una mamma in cerca della sua bambina, arrivata un anno fa in Italia, a bordo di un’imbarcazione, che quella volta non aveva posto per questa donna che ha visto allontanare?sua figlia nelle buie acque, ma ha sperato di portele dare una nuova possibilità, oggi anche lei in Italia non vede l’ora di poterla riabbracciare grazie al progetto Restoring Family links, della Croce Rossa, servizio “Ricongiungimento dei legami familiari”. Sono storie di persone, esseri umani, che quando arrivano nel nostro paese  non hanno neanche la voglia e la forza di raccontare, momenti di vita che vorrebbero rimuovere dalle menti per poter ricominciare e dare un senso allo loro esistenza, gente che proviene da Paesi martoriati e sogna una vita migliore.

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