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BASILICATA DI GIUSTIZIA

TACCO&SPILLO

Che la Basilicata sia diventata ormai un vero e proprio laboratorio di giustizia lo si era già capito da quando l’innesco nazionale delle sue inchieste l’ha collocata sulla discussione pubblica del diritto fino a farne un paradigma esemplare in cui si è rubricata anche l’urgenza applicativa di nuovi reati. Non è un caso, infatti, che la prima Procura d’Italia a contestare l’art.346 bis del codice penale sia stata proprio quella di Potenza guidata all’epoca dalle mani esperte e sagge di Luigi Gay e del suo aggiunto Francesco Basentini e che invece l’incaponimento assunto dal ministro Nordio contro il traffico d’influenze illecite rischi d’alleggerire la lotta alla corruzione che qui in Basilicata vive di trame sconce e di malversazione pubblica e su cui ci auguriamo la mano della giustizia arriverà, almeno per toglierci quel puzzo insopportabile che disgustava Borsellino. Ora lasciamo stare l’allestimento della rèverie giudiziaria degli indagati che come nelle fiabe di Andersen li fa essere intenti  a tagliar nell’aria e con grosse forbici qualcosa d’inesistente, ma le parole di merito del procuratore generale Armando D’Alterio, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, servono a due cose essenziali. La prima è che rottamano l’iconografia della Basilicata felix su cui pure questo centrodestra filosofeggia a vanvera e la seconda è che riportano il tema delle intercettazioni sulla triangolazione virtuosa costi-efficienza-necessità che i magistrati lucani sono riusciti a realizzare senza fare sconti a nessuno perché come scrive Roberto Gervaso:“per trionfare la giustizia deve farsi temere”.

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