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CAPACITÀ PROFESSIONALE E COMPETENZA DELL’AVVOCATO ORLANDO NELLA PRESENTAZIONE DEL VOLUME “L’OFFESA”

«È una pedofila», in cella per una foto sbagliata. Prosciolta dopo 14 mesi

L’OFFESA

L’incubo vissuto a inizio anni Duemila da Anna Maria Manna, coinvolta in un’indagine a Taranto, diventa un libro, “L’Offesa”

scritto dal’avvocato ROSARIO ORLANDO legale della donna e patrocinato da Errorigiudiziari.com

La vicenda umana e processuale raccontata in questo libro raccoglie in sé la gran parte delle principali cause più ricorrenti in ogni
errore giudiziario.


C’è anzitutto la sciatteria degli investigatori, quella superficialità che talvolta sfocia in faciloneria, per cui gli inquirenti
procedono nel loro lavoro sulla base di un venefico mix tra luoghi comuni investigativi, convinzioni personali, piccoli e mal celati
pregiudizi, scarsa preparazione professionale.


Ci sono le false accuse, quelle che provengono da soggetti per i quali il buon senso, prima ancora che la competenza, dovrebbe indurre a contare fino a cento prima di prenderne per oro colato le
dichiarazioni: che si tratti di collaboratori di giustizia, di mogli o mariti incattiviti da gelosie o sentimenti di vendetta, oppure ancora di bambini facilmente influenzabili (com’è il caso appunto di questa storia), ogni parola dovrebbe essere sempre soppesata e riscontrata a dovere, prima di essere considerata un indizio investigativo.

Ci sono poi le testimonianze oculari e i riconoscimenti fotografici:
la scienza ne ha ormai ampiamente dimostrato la fallacia, eppure ancora oggi ci ritroviamo di fronte a sempre nuove storie di persone arrestate o condannate da innocenti perché qualcuno ha pensato di riconoscere in loro l’autore di un reato, semplicemente sulla base di un ricordo o di un’immagine. Esattamente quello che è accaduto appunto alla protagonista di queste pagine.
E c’è infine quel certo modo di ragionare di alcuni pubblici ministeri, che sembrano procedere col paraocchi, in omaggio a quella
che gli anglosassoni definiscono

“tunnel vision”

il fenomeno per cui lo sguardo inquirente si concentra solo sulla propria tesi iniziale,
eliminando a prescindere tutti gli elementi che possano metterla in discussione.
Ma in questo modo aumentando considerevolmente il rischio che un innocente finisca in manette o, peggio, con una
sentenza di condanna.
Ebbene tutto questo, per giunta in un colpo solo, si è concentrato nella vicenda che ha rischiato di travolgere per sempre la vita di una donna perbene.

Anna Maria Manna, la protagonista di questo libro, è una donna “normale“, lontana anni luce anche solo dall’immaginare le turpitudini di cui è stata accusata.

E alla luce di questo appare ancor
più provvidenziale il suo incontro con un professionista che ha saputo intuire con grande anticipo l’assurdità di quanto stava
accadendo, grazie a una sensibilità che si è dimostrata decisiva quasi quanto la preparazione professionale affinché
questa storia si risolvesse nel migliore dei modi.

Non sta certo a noi dare una valutazione tecnico-giuridica del Rosario Orlando avvocato, il legale che ha assistito la signora Manna nella sua odissea giudiziaria.

Pensiamo però di essere legittimati a
esprimere un parere sul Rosario Orlando scrittore, e non può che essere lusinghiero: per l’abilità con cui è riuscito a raccontare questa vicenda struggente, mantenendo un equilibrio tra la descrizione essenziale dei fatti e quella più toccante dei sentimenti con cui, inevitabilmente, si è trovato ad avere a che fare nonostante la sua lunga esperienza nelle aule di tribunale.

Il suo racconto va sempre dritto al punto, senza troppo indugiare sull’aspetto più emotivo del dramma che pure si sta consumando sotto l’occhio del lettore.

E il risultato è una scansione precisa e dettagliata di tutti i dolorosi passaggi umani e giudiziari a cui un innocente deve sottoporsi, prima che la sua non colpevolezza venga finalmente acclarata.

Da oltre venticinque anni raccogliamo e raccontiamo storie divita – e quella dei loro figli, dei loro genitori, dei loro cari – cambiare
per sempre, non certo per il meglio.

Un danno che niente potrà mai risarcire, tantomeno gli indennizzi sempre più risicati previsti dalla legge.

Quando, ormai diversi anni fa, incontrammo per la prima volta Anna Maria Manna, fummo colpiti subito dalla sua precisa
determinazione a rendersi utile affinché la tragedia vissuta servisse a evitare casi analoghi.

I segni del trauma erano evidenti (ancora oggi
non riesce neanche a pronunciare la parola che descrive il reato per cui l’accusarono), eppure era ben decisa a fare qualcosa.

Per questo accettò con entusiasmo il nostro invito a diventare una delle voci della nostra associazione, per portare la sua testimonianza ovunque arrivasse la nostra attività di sensibilizzazione sul tema degli innocenti in manette.

Anna Maria Manna è la vostra vicina di casa, la vostra amica d’infanzia, la vostra collega di lavoro.
La vostra vicina di ombrellone al mare, la commessa del vostro negozio preferito, la mamma di un compagno di scuola di vostro figlio. 

Anna Maria Manna siete voi stessi

Anna Maria Manna ~ Palagiano (Taranto)
Perché quello che è successo a lei, può succedere a chiunque
BUONA VISIONE E BUON ASCOLTO DIRETTA INTERVENTI 

VIDEO 1️⃣

https://youtu.be/TQvSRea-a-4 

VIDEO 2️⃣

https://youtu.be/6HKrXe17Mmg

Palangiano, un comune in provincia di Taranto, verso la fine del 1999 finisce sulle prime pagine dei giornali per una brutta storia di pedofilia: alcuni alunni della scuola elementare, tra i 10 e i 12 anni, hanno raccontato alle loro maestre di essere stati adescati per partecipare a festini porno e incontri a sfondo sessuale.

I carabinieri, incaricati di far luce sull’accaduto, sospettano il coinvolgimento di una trentina di persone: tra queste, Anastasia Montanariello e Anna Maria Manna, entrambe incensurate.

Manna, all’epoca trentenne, è originaria di Verbania e vive a Palagiano, dove il papà è il comandante dei vigili urbani. In quell’anno ha appena vinto un concorso come impiegata comunale a Torino.

Le indagini sono condotte in maniera alquanto “empirica”: i carabinieri, dopo aver ascoltato le testimonianze dei bambini, creano una sorta di album in cui vengono messe insieme diverse foto prelevate dall’ufficio anagrafe del Comune, da sottoporre alle piccole vittime per il riconoscimento. Anche la foto di Anna Maria Manna finisce nel fascicolo degli inquirenti: si tratta di uno scatto in cui la donna ha 17 anni ed è molto diversa da come appare all’epoca delle indagini, soprattutto per l’acconciatura.

I bambini, con una procedura confusa, la riconoscono come una delle donne coinvolte in quegli incontri. Ciò basta a farla ritenere colpevole.

Alle 5 del mattino del 25 maggio 2000 i carabinieri si presentano a casa di Anna Maria Manna a Torino. Cercano Anastasia Montanariello, un’amica di sua sorella, che lei conosce poco e che alloggia da quest’ultima. I militari le chiedono di salire in macchina per accompagnarli dalla Montanariello.

Arrivati sul posto, la donna comincia a intuire che qualcosa di molto grave stava accadendo: ad Anastasia Montanariello è stata appena consegnata un’ordinanza di custodia cautelare. E a quel punto, lo stesso documento viene dato anche a lei.

Una volta in caserma, la donna cerca di spiegare che si tratta di un errore, ma è inutile. Dopo qualche ora finisce nel carcere “Le Vallette” in isolamento.

Il primo interrogatorio davanti al gip, durante il quale spera di poter chiarire tutto, non sortisce effetto. Passa una settimana e viene trasferita nel carcere di Taranto, dove la detenzione si trasforma in un inferno: essendo considerata colpevole di un reato così infamante, viene emarginata e minacciata dalle altre detenute. Visto il clamore mediatico, il sindaco di Palagiano annuncia di volersi costituire parte civile.

La difesa si basa su due elementi fondamentali: Anna Maria Manna non conosce i bambini vittime, né i loro genitori né tantomeno gli altri indagati. E soprattutto, nel periodo in cui si sarebbero svolti i fatti non si trovava a Palagiano, ma a Torino per sostenere il concorso, poi vinto, da impiegata comunale.

Il legale della donna, l’avvocato Rosario Orlando, presenta una prima istanza di scarcerazione che il Tribunale di Taranto respinge, disponendo gli arresti domiciliari. Passeranno altri due mesi prima che della scarcerazione per motivi di salute: Anna è deperita, ha perso moltissimo peso e le sue condizioni continuano a peggiorare.

Dopo quattro mesi dall’arresto, si svolge l’incidente probatorio. La donna viene posta dietro un vetro insieme con altre, tra cui Anastasia Montanariello. Ai bambini viene chiesto di segnalare chi partecipava agli incontri sessuali, ma nessuno di loro la riconosce.

Il 13 luglio 2001, quattordici mesi dopo l’arresto, Anna Maria viene definitivamente riconosciuta innocente: è lo stesso pm a richiedere l’archiviazione al gip.

Durante il procedimento, per la cronaca, sono acquisite registrazioni da cui emerge che alcune risposte dei testimoni vennero travisate o addirittura trascritte male al solo scopo di aggravare la posizione delle indagate.

Per l’ingiusta detenzione Anna Maria ha ricevuto un risarcimento di circa 35 mila euro.

L’avvocato Orlando ha voluto raccontare questa terribile storia in un libro dal titolo “L’Offesa”, in vendita da questa settimana.

«Leggendolo, si ha modo di capire che cosa voglia dire finire vittima di un errore giudiziario nel nostro Paese. La vicenda mette insieme, in un colpo solo, tutte le cause più frequenti di ingiusta detenzione: dalla sciatteria investigativa alle false accuse di soggetti facilmente influenzabili, come i bambini al centro di questa storia; dai riconoscimenti fotografici ad alto rischio di errore da parte dei testimoni a quella visione col paraocchi che ancora oggi contraddistingue l’operato di certi pubblici ministeri», afferma l’avvocato tarantino.

Il libro ha avuto il patrocinio di Errorigiudiziari.com, l’associazione fondata dai giornalisti Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone che da anni si occupa di raccogliere storie di malagiustizia.

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