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LOMUTI: «NO, SERVE VISIONE ORGANICA» VALVANO: «SÌ, GIUSTIZIA INSOSPETTABILE»

Referendum al via su Cronache Tv la tribuna politica


Il 12 giugno, oltre alle amministrative lucane dove sono chiamati al voto ben 22 Comuni, si voterà anche per il Referendum sulla giustizia. Ospiti negli studi di “Cronache Tv”, nella tribuna politica per ascoltare le ragioni del “sì” e del “no”, con la viva voce dei protagonisti: il senatore del M5S Arnaldo Lomuti e il portavoce del Psi Basilicata Livio Valvano.

Sono 5 i quesiti referendari, promossi dai radicali e dalla Lega, su cui, ben oltre 50 milioni di elettori italiani sono chiamati ad esprimersi sulla legge Severino, le misure cautelari, la separazione delle carriere e le valutazioni dei magistrati, e le candidature per il Csm.

Per essere valida questa consultazione dovrà raggiungere il 50 per cento dei voti più uno degli aventi diritto. Ma vediamo nel dettaglio punto per punto le ragioni del no di Lomuti e quelle del sì professate da Valvano

INCANDIDABILITÀ E DECADENZA

Nota come legge Severino, nello specifico questa norma prevede l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza dalla carica per i politici – dai parlamentari agli amministratori locali – che sono stati condannati in via definitiva per una serie di reati contro la pubblica amministrazione, escluse le fattispecie colpose.

Particolarmente contestata è la parte della legge che prevede la sospensione per gli amministratori locali dopo la sola sentenza di primo grado. Se il referendum passasse, sarebbe l’intera legge ad essere cancellata. Sulla questione, Arnaldo Lumuti, senatore del Movimento pentastellato è a favore del “no”, proponendo così di abrogarne la legge perché «si tratta di una normativa affatto semplice che è stata approvata, circa nel 2013, quando c’era un forte sdegno da parte dei cittadini verso un Parlamento avente un numero consistente di elementi parlamentari condannati in via definitiva per reati gravi.

Questo è la ratio della normativa, già questo potrebbe essere una motivazione verso il nostro no. Per noi non c’è soltanto una visione distorta della Giustizia, ma c’è proprio una visione distorta della Politica di quella che dovrebbe essere una visione di un Parlamento “pulito”, in cui venga eliminato qualsiasi fonte di potenziale pericolo di conflitto di interessi di chi si trova unicamente lì per fare, invece, gli interessi dei cittadini». Di contro, a favore del votare il quesito con un “sì” è il segretario regionale Psi Basilicata, Livio Valvano, che è del parere che serva «un Parlamento e delle Istituzioni “pulite” e insospettabili», ma non sugli effetti avuti da questa normativa. A parere del segretario a tutela di quello ci dovrebbero già occuparsene «le nostre leggi ordinarie, quindi il Codice Penale che già consente al Giudice, nel momento in cui si giunge a una condanna definitiva per reati gravi come mafia e terrorismo, di inibire il condannato dai Pubblici Uffici.

Sicché questa storia dell’incandidabilità per mafia, che è già consentita per legge, salvo che ci sia una riserva, è già un argomento manifesto finalizzato a celare tutt’altro perché nella legge Severino c’è la sospensione dalla carica anche per tutti gli amministratori, consiglieri comunali e regionali, sindaci, assessori. 133mila persone in Italia che tutti i giorni lavorano per i cittadini. Il punto di questa norma è che ha messo in discussione una condizione democratica del Paese».

MISURE CAUTELARI

Con la formula del secondo quesito, ossia di limitare la custodia cautelare. si intende tutta una serie di misure che vengono applicate nel processo penale, dagli arresti domiciliari al carcere, passando per il divieto di espatrio al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, nel caso di stalking.

Si propone di togliere il “pericolo di reiterazione del medesimo reato” dai criteri sulla base dei quali disporre la misura cautelare che continuerebbero ad includere il pericolo di fuga, di inquinamento probatorio o i reati compiuti con l’uso delle armi o in un contesto di criminalità organizzata. E qui Livio Valvano si chiede retoricamente: «Qual è l’obiettivo del Referendum? Non è quello di cancellarla come formula, bensì di eliminare l’ipotesi della reiterazione del reato.

E ne abbiamo avuti tanti di esempi eclatanti: il presidente della Regione Calabria, il sindaco di Lodi, il sindaco di Riace, Mimmo Lucano la cui condanna vedremo che fine farà. Così come il nostro ex presidente della Regione Basilicata, Marcello Pittella, assolto per “non aver commesso il fatto” e che ha chiaramente inciso sul procedimento democratico.

Va, perciò, fermata questa condizione barbara di inciviltà tutta italiana per cui una persona finisce in custodia cautelare». Dal canto suo, il senatoreArnaldo Lomuti, applicando la filosofia del “prevenire è meglio che curare”, di contro, è a favore della custodia cautelare. Ché, di fatto, non è quello a rappresenta il grattacapo della questione: «Il problema è secondo noi lo strumento, ossia, quello referendario che è sì la forma più alta di democrazia partecipata, peccato, però, che interveniamo su un comparto, quello della Giustizia, che per essere modificato e riformato ha bisogno di una previsione organica. E questo non può farlo sicuramente un Referendum con un quesito abrogativo. E, ad oggi, le misure cautelari possono essere applicate ove vi è possibile pericolo di fuga, inquinamento prove o reiterazione del reato, ma quanti casi di errore conosciamo?».


SEPARAZIONE DELLE FUNZIONI DEI MAGISTRATI

Il terzo quesito, in cui anche qui la questione è tecnica, è quello forse più complesso.

Una volta superato il concorso in magistratura, è possibile intraprendere due carriere: quella di pubblico ministero, che ricopre le funzioni di accusa, e quella di giudice. L’obiettivo del referendum è aprire la strada alla separazione definitiva dei due percorsi: il magistrato sceglierebbe solo una strada all’inizio della sua carriera e seguirebbe sempre quella. La separazione tra magistrati giudicanti e requirenti sarebbe quello, almeno sulla carta, di garantire maggiore imparzialità.

Ma a parere del senatore Arnaldo Lomuti «non è il referendum lo strumento adatto per decidere la separazione di Carriere secondo cui, per noi, c’è il pericolo che si trasformi un Giudice, da giudicante a inquirente.

Attualmente è possibile farlo per 4 volte e se scegliamo di abolire del tutto secondo quesito referendario, dal nostro punto di vista, si ravvisa un altro pericolo molto serio che sarebbe quello di tornare un po’ indietro nel tempo a un Sistema quasi inquisitorio perché si andrebbe a separare la carriera di inquirente da quella giudicante creando una figura di quasi “super poliziotto di Stato” nominato da chi?». Secondo il portavoce del Psi Basilicata Livio Valvano «è da anni che il Parlamento prova a discutere su una riforma delicata, a cui non si dovrebbe fare ricorso ai cittadini per intervenire.

Nel momento in cui dovesse passare questo Referendum, rispetto alla separazione delle carriere qui c’è, di fondo, un’impostazione culturale: vogliamo uno Stato di Diritto o uno Stato di Polizia? Il nostro che cos’è? Ci siamo liberati di uno Stato dittatoriale precedente alla Repubblica o no? L’apparato inquirente è un potere autonomo e può incidere e sostituirsi anche agli altri poteri o ha una funzione ausiliaria del Sovrano che è il popolo e che è rappresentato dalla Istituzioni democratiche? Ma, possiamo continuare a dire ipocritamente che il potere legislativo e di governo devono avere pari dignità rispetto al potere giudiziario? », si domanda retoricamente il segretariao Valvano. «Il nostro, se è uno Stato di Diritto, il potere della giudiziaria deve avere una sua funzione autonoma certamente ma deve avere, anche, una sua limitazione. È inevitabile».

VALUTAZIONE DEI MAGISTRATI

Nel sistema giuridico italiano esistono i consigli giudiziari, organi che si occupano delle valutazioni dei magistrati poi sottoposte al Csm. Oltre ai magistrati ne fanno parte anche avvocati e professori universitari, solo i primi però firmano i giudizi di merito.

I promotori del referendum vorrebbero allargare a avvocati e professori universitari l’onere di partecipare a queste valutazioni. Ed è su questo che si basa il quarto quesito referendario.

Se dovesse vincere il sì, a questi organi potrebbero partecipare anche gli avvocati e i docenti universitari che, quindi, potranno a loro volta, valutare i magistrati. È giusto, quindi, valutarli e farlo fare anche dall’esterno? Livio Valvano è palesemente dell’opinione che a «discutere della carriera dei magistrati, ad oggi, possono farlo solo tra loro.

E mi sembra una cosa alquanto singolare che in Italia ci possa esserci una legge del genere e definendola come “l’arte del funambolismo dialettico” riuscire a sostenere per il no una tesi di questo genere perché tutti, tutte le professioni, le attività vengono giudicate, innanzitutto, per definizione, dai fruitori di quel servizio.

E che i magistrati non possano essere valutati dagli avvocati, dai professori universitari sarebbe come dire che per gli alunni, i genitori nel Consiglio docenti non possano esprimere una loro valutazione».

Arnaldo Lomuti, dal canto suo, in qualità anche di “addetto ai lavori” come avvocato e, «analizzando la questione nel pratico» riconosce «ai cosiddetti “laici” all’interno dei Consigli giudiziari che dovrebbero così decidere sulla carriera dei magistrati un problema che anche noi consideriamo: il magistrato non può giudicarsi da sé, ma si torni al Tavolo in cui si dovrebbe discutere e risolvere una riforma come questa.

Non un’abrogazione bensì la Commissione giustizia del Senato dove discuterne fattivamente sul tema di “diritto di tribuna” all’interno dei Consigli ma senza scatenare conflitti di interesse e minare il lavoro dei magistrati come quello degli avvocati».

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA (CSM)

Il quinto e ultimo quesito riguarda il Consiglio superiore della magistratura (Csm), l’organo che si occupa di assegnare gli incarichi ai magistrati, definire i loro trasferimenti, nominare i membri della Cassazione e gestire i procedimenti disciplinari a loro carico.

Verrà sottoposto agli elettori con una scheda di colore verde. Il Csm è composto da 27 membri ed è presieduto dal Presidente della Repubblica in carica.

Ci sono altri due membri che entrano di diritto, entrambi appartenenti alla Corte di Cassazione, ma gli altri 24 vengono eletti: 16 magistrati, detti membri togati, e 8 tra professori di materie giuridiche e avvocati con almeno 15 anni di professione, scelti dal Parlamento.

Al momento un magistrato che vuole essere eletto al Csm deve raccogliere almeno 25 firme di altri magistrati.

Questo sistema, secondo i promotori del referendum, lascia troppo potere alle correnti in cui è diviso il “sindacato” dei magistrati, l’Anm.

Nel referendum quindi viene proposto di eliminare il numero minimo di firme. Ebbene, a differenza deglia altri precedenti quesiti, questo, il senatore Arnaldo Lomuti: «non lo trovo pericoloso però credo sia un quesito inutile. Il problema è quello di evitare il “correntismo”.

Ma non credo che basti eliminare la propria candidabilità per evitarne il rischio. Per questo voteremo no, perché è una abrogazione inutile per la natura stessa per cui è nato, ossia non andrà ad eliminare comunque il problema grave del correntismo ».

Di contro, per il portavoce Psi Livio Valvano è necessario che il potere della magistratura venga ridotto, ma «non si tratta di ridimensionare il potere della magistratura, bensì di ricreare un equilibrio e un clima di cui l’Italia ha bisogno ».

«Non esiste una categoria di Santi infallibili: i Magistrati sono come gli avvocati, gli artigiani, i funzionari pubblici, i politici, gli amministratori, i parlamentari, i lavoratori, i sindacalisti, possono, quindi, anche loro essere corrotti e fallibili o essere onesti».

«Ciò detto bisogna pensare di selezionare le migliori persone possibili, sapendo di sistemi organizzativi fallaci e, al contrario, fissare le regole sapendo di avere persone corrotte o corruttibili o incapaci. Allora noi, dobbiamo fissare le regole prendendo a prestito questo monito ».


 

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