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CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE FARE RETE PER CONDANNARE STEREOTIPI E PREGIUDIZI

In ambito giudiziario frequente il fenomeno del ‘victim blanding’ con donne accusate di aver istigato i propri carnefici: il convegno a Potenza


Il 25 novembre 1960, le sorelle Mirabal vennero uccise dopo esser state seviziate e violentate. Da ventidue anni il 25 novembre è ricordata l’emblema contro la violenza di genere, i soprusi e gli abusi dell’uomo sulla donna. A sessant’anni di distanza da quell’efferato triplice delitto, poco o nulla e cambiato se non la nomenclatura delle violenze che in gergo moderno si chiamano stalking, molestie sessuali, violenza fisica, economica, psicologica e femminicidio.

A discutere i paradigmi di una società malata, la Consigliera di Parità della Regione Basilicata Ivana Pipponzi che ha riunito attorno allo stesso tavolo autorevoli relatori. La violenza di genere è un fenomeno strutturale della società che affonda le sue radici nel divario uomo e donna e nella sua perequazione economica. L’humus del divario di genere è costituito da pregiudizi che sono il basamento della discriminazione. Il fenomeno rispecchia i canoni del sommerso e dell’endemicità ma i nomi delle donne uccise scorrono in una società distratta che viene scossa da tragedie declinate solo e sempre al femminile.

I dati sono inquietanti: 111 donne uccise nel 2021. Il 64% non chiede aiuto e il 32% degli uomini si uccide dopo aver commesso un femminicidio. Per la Consigliera di Parità «nella violenza di genere spesso salta il passaggio normativo sulla Convenzione di Istambul misconosciuta agli stessi operatori del diritto e che crea un vulnus processuale penale e civile ponendo la donna in una posizione di ‘victim blanding’, arrivando all’assoluzione del carnefice».

Le donne vittime di violenza scontano ancora problemi in ambito giudiziario per i tanti ostacoli da superare: un esempio è il ‘codice rosso’ che ha meccanismi perfettibili. Per Morena Rapolla, della Cpo dell’Ordine degli Avvocati, «quelle poche donne che arrivano a denunciare le violenze devono affrontare un percorso solitario in cui non sono ritenute sufficientemente credibili e finiscono per ritirare spesso le denunce sentendosi addirittura colpevoli di aver tentato di difendersi affidandosi alla legge». Il sistema giudiziario va epurato dai pregiudizi che ne marcano il destino e anche la politica deve muovere passi concreti.

Cinzia Marroccoli, Psicologa e Presidente di Telefono Donna ricorda come «solo qualche giorno fa sia stato presentato il Piano Nazionale Antiviolenza ma con soli otto deputati su seicento evidenziando che la politica ha scarso interesse verso un piano che si attendeva da tempo. Vanno stabiliti criteri minimi sui centri antiviolenza e sui fondi spettanti alle strutture che tutelano le vittime ».

Quando si parla di violenza di genere si fa riferimento anche a quella consumata in ambito lavorativo: a pagarne le maggiori conseguenze le donne impiegate nel settore agricolo, vittime di caporali che abusano della loro posizione per ottenere anche mortificanti prestazioni sessuali. Per il Sostituto Procuratore Distrettuale Gerardo Salvia, «lo sfruttamento in ambito lavorativo vede la donna ‘vittima sacrificale privilegiata’ con abusi e sfruttamento sessuale che spesso sfociano in induzione alla prostituzione ». Sulla Convenzione di Istambul, l’Italia non è nuova a sanzioni da parte della Corte Europea dei Diritti Umani. Causa, una sentenza recente con violazione dell’art.8 della Convenzione.

Nella violenza di genere trova spazio il fenomeno della vittimizzazione secondaria che porta la donna ad essere vittima anche in ambito giudiziario dove non viene creduta, viene quasi sempre ritenuta colpevole di aver provocato il suo aggressore. Quasi una colpa l’aver indossato un abbigliamento poco consono o di aver dato più confidenza del dovuto al suo aguzzino. A proposito, la senza J.L. contro Italia: sul punto, il Presidente della Corte d’Appello del Tribunale Potenza Pasquale Materi sottolinea che in essa «ci sarebbe l’argomentazione colpevolizzante e moraleggiante legata a stereotipi lesivi della dignità della vittima e che interferisce con la credibilità soggettiva e l’attendibilità oggettiva della persona offesa.

La censura su quella sentenza deve servire a memoria futura per chi deve valutare tali reati». Debilitante quindi il risvolto giuridico che, attraverso gli stereotipi cuce addosso alle vittime di violenza lettere scarlatte che segnano un destino sociale scritto a priori da uomini che credono di poter asservire le donne al proprio potere relegandole a ruoli di subalternità perenne.


 

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