BasilicataBlog

LAVORO SI, MA QUALE?

Taccuino del sabato a cura di Enzo Santochirico

Tarda notte d’estate. Valerio, più pallido che mai, provato da una dura giornata di lavoro alla guida di una delle trattoria-ristorante che meglio conservano la tradizione culinaria materana, si lascia andare a quello che mi sembrò uno sfogo: “Non si può andare avanti così, è uno stillicidio, due – tre giorni e poi vanno via”. Il riferimento era al personale e alle difficoltà di reclutarlo e conservarlo. Qualche settimana dopo, però, Gianni, a capo di una delle migliori pizzerie della città, dal nome evocativo di trascorse avventure corsare, prima di salutarci a fine serata, riprende il leit motiv: “Non si può fare di più, anche a volerlo“.
Non solo manca la programmazione; anche lui lamenta la carenza di personale. “Prima – aggiunge – c’era una combinazione rodata, sei mesi di assunzione e sei mesi di disoccupazione. Ora, invece…”. E sul banco degli imputati, esplicitamente o indirettamente, finisce anche il reddito di cittadinanza, che falserebbe il mercato del lavoro, almeno nel suo settore.
Le grida di dolore non sono appannaggio indigeno. Pochi giorni fa, sul principale quotidiano nazionale, uno chef di fama (televisiva), come Alessandro Borghese, denunciava la fuga del personale dai ristoranti.
Ma non è solo la cronaca.
Risale a circa un mese fa un Focus Confcooperative – Censis su “Mismatch, il grande gap da sanare. La ripresa c’è, i lavoratori no”, secondo cui nel terzo trimestre 2021 il numero dei posti vacanti nell’industria e nei servizi supera la soglia di 233.500 persone (profili professionali mancanti all’appello delle imprese che ne avrebbero bisogno e sarebbero disponibili ad assumere) e la causa è individuata nel disallineamento tra domanda e offerta di lavoro. Secondo tale focus, il gap vale l’1,2% del PIL, per un valore di 21 miliardi. Se le imprese avessero potuto trovare e occupare le competenze e i profili da esse reclamati, l’incremento del PIL del 2021 sarebbe andato oltre il 7%.Il tasso di posti vacanti nell’economia italiana, secondo i dati ISTAT del 2° trimestre di quest’anno, segnala un valore dell’1,8%, che tuttavia nell’ambito delle attività di alloggio e ristorazione raggiunge il 2,3% (con un incremento di 0,4 punti rispetto al primo trimestre), pari a quello medio europeo del job vacancy rate. Paradossalmente, secondo l’outlook sull’occupazione realizzato da Manpower Group, le previsioni nette più alte per il 4° trimestre si registrano nei ristoranti e alberghi, i quali sono fra i più colpiti dalle restrizioni dovute alla pandemia.
E anche l’Istat nelle note mensili di settembre (su andamento dell’economia e rilevazione sulle forze di lavoro) avverte segnali di mismatch fra domanda e offerta di lavoro, sebbene si registri un aumento dell’occupazione e una diminuzione di disoccupati e inattivi.
Altra incongruenza: diminuisce il numero degli occupati a causa Covid (un milione di posti di lavoro persi nel primo anno di pandemia, in quest’anno recuperati circa per la metà) e si verifica una consistente ripresa dell’economia e della domanda di lavoro da parte delle imprese, mal contempo si manifesta sorprendentemente un consistente abbandono del lavoro da parte degli occupati. Corrisponde alla cd. “Great Resignation” (dimissioni di massa) già emersa negli USA.
Diverse le possibili cause della contraddittoria coesistenza di riduzione dell’occupazione causa Covid, imprese che non trovano profili richiesti e abbandono del lavoro: salari bloccati, sud-diti statali e maggiore liquidità disponibile, minori spese per lockdown, burn-out (esaurimento da stress), epifania pandemica (riscoperta della vita familiare e degli hobbies), ricollocazione sul mercato del lavoro. E, in particolare, nei ristoranti: lavoro precario e/o malpagato, ambienti poco sani, clienti sgarbati o aggressivi per mascherine, green pass, ecc… Né è ancora certo se sia un fenomeno temporaneo o permamente.Il fenomeno locale ha perciò una dimensione generale e forse si attenuerà per la prevedibile caduta della domanda turistica nei prossimi mesi, ma è destinato a ripresentarsi in primavera. E allora vale la pena di riflettere, ragionare e prepararsi.
Molte varianti non dipendono dal livello locale, come le politiche attive del lavoro, ancora marginali e deboli (si vedranno il programma GOL e le alte misure del governo) o la questione salariale che, in un paese in cui da 40 anni le retribuzioni non crescono in termini reali, è sicuramente centrale e ineludibile.
Ma anche in ambito territoriale si può e si deve agire.
Una prima presa d’atto riguarda il modo con cui i lavoratori (soprattutto i giovani) si affacciano sul mercato del lavoro. Fotografa correttamente la situazione Alessandro Borghese quando dice: “La mia generazione è cresciuta lavorando a ritmi pazzeschi, oggi è cambiata la mentalità: chi si affaccia a questa professione (cuochi inclusi) vuole garanzie, stipendi più alti, turni regolamentati, percorsi di crescita”.
Antonella, che con Emanuele ha recuperato nel Sasso Caveoso un delizioso spazio conviviale, dal nome materano di un vecchio attrezzo per pozzi, mentre mi fa gustare una birra artigianale prodotta a Irsina, mi dice che ha dovuto limi-tarsi all’apertura serale per assicurare condizioni di lavoro sostenibili e accettabili per i dipen-denti.
E per i lavoratori certezze e gratificazioni si col-locano sicuramente al primo posto. I datori di la-voro devono prenderne atto e attrezzarsi. As-sociazioni imprenditoriali e sindacati possono contribuire a questa presa di coscienza e adeguamento.
La formazione è l’altro elemento che deve essere considerato, sia con il raccordo con le scuole sia con processi di aggiornamento.
In terzo luogo, aiutando i processi di destagionalizzazione turistica che consentono un utilizzo più facile e diffuso dei contratti a tempo indeterminato.
Infine la qualificazione del turismo, che si ot-tiene sia con una politica di marketing che eleva il target e mira ad una domanda più “alta”, sia con il miglioramento degli standard dell’offerta di servizi (ricettività, ristorazione, attrazioni, percorsi, guide, accoglienza, supporti, ecc…). Il turismo è il settore che ha ricevuto maggiore impulso e incremento dal percorso di crescita e riqualificazione che la città ha vissuto negli ultimi trent’anni ed è – allo stato attuale – l’unico che rimane dopo il 2019, in attesa che altri emergano e si affermino. Non può tollerare precarietà, basse qualifiche, scarse e incerte retribuzioni.
Né può essere lasciato alla pur preziosa opera di formazione e informazione che fanno le associazioni di categoria, anche se ultimamente la Camera di Commercio è tornata a segnare una presenza importante.
Ma è forse necessario che tutte le istituzioni (CCIAA, Comune, Regione, ecc.), associazioni imprenditoriali, sindacali e professionali, mondo della formazione si coordinino e producano linee, misure, obiettivi.
Altrimenti, di qui a breve, torneremo a lamentarci di un’ulteriore occasione perduta. E i nostri ragazzi continueranno ad andare via. Ma questa è un’altra e ancora più intricata storia. Buon fine settimana

Social Media Auto Publish Powered By : XYZScripts.com
error: Contentuti protetti