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L’ETICA ANIMALISTA IN UNA TERRA DI ALLEVATORI

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Mio padre ha sempre allevato animali, e tante volte, quando vivevo stabilmente in Basilicata, mi è capitato di macellare insieme a lui. Dunque sì, ho ucciso degli animali; e li ho uccisi, sia pure con profondo dispiacere, per non essere ipocrita. Poiché sono carnivoro, mi dicevo, non posso fare l’anima bella delegando ad altri – che stanno ben nascosti nei mattatoi – il difficile compito di ammazzare le bestie. Provate a proporre a un produttore televisivo di fare un documentario che testimoni senza censura ciò che avviene in un mattatoio. Vi dirà che non è possibile. Invece è socialmente accettato che in ogni supermercato siano esposte tutte le parti del corpo macellato delle bestie. Per questo motivo, sin da ragazzo, mi sono sforzato di non essere ipocrita. Ma mi faceva male osservare la paura, la disperazione, la rivolta all’avvicinarsi della morte di galline, tacchini, conigli e maiali. Respiravano affannosamente, i loro occhi diventavano sempre più rossi, infine gridavano con sempre maggiore spavento, proprio come noi esseri umani. Io sono sicuro che un giorno – chissà quanto lontano – tutto questo dolore degli animali sarà ricordato come noi oggi ricordiamo i genocidi, le guerre, le grandi violenze della storia. Personalmente sono ancora carnivoro, ma sempre di più sento il peso e la vergogna del dolore di tutte le creature, benché non mi sfuggano tanti temi antropologici ed etici sul rapporto tra noi e gli animali. Ovviamente se anche diventassimo tutti animalisti ugualmente si porrebbero problemi di convivenza e di difesa, perché gli animali sono anche distruttivi e pericolosi. Altro tema importante è la gerarchizzazione dell’animalismo. A chi importa davvero del dolore e dei diritti delle zanzare, delle mosche e delle formiche? Qualcuno ha scritto che se ammazzi uno scarafaggio fai una cosa utile, se invece ammazzi una farfalla sei un mostro.

diconsoli@lecronache.info

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