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50 ANNI FA I MORTI DI AVOLA

L’ennesimo atto di brutalità compiuto dalla polizia durante uno sciopero rilancia la richiesta da parte delle organizzazioni sindacali e dei partiti di sinistra di disarmare la polizia durante i conflitti di lavoro.
Il fatto che la polizia spari su dei braccianti che rivendicano un aumento salariale minimo e, soprattutto, un trattamento egualitario nell’ambito della stessa provincia, viene interpretato come dimostrazione della non riformabilità dello stato e della sua intrinseca “ferocia di classe”

L’ECCIDIO DI AVOLA

Lunedì 2 dicembre 1968, Avola, sciopero generale. Uffici, banche, negozi, scuole, poste, cantieri, bar, circoli, è tutto fermo a causa dello sciopero a sostegno della lotta dei braccianti per il rinnovo del contratto di lavoro.


Gli studenti in corteo raggiungono la statale 115, dove i braccianti hanno organizzato blocchi stradali. Il prefetto, D’Urso, comunica al sindaco socialista di Avola, Giuseppe Denaro, l’imminente intervento della polizia da Catania, per rimuovere i blocchi, e verso le 11 il contingente della Celere catanese giunge nei pressi del bivio Lido di Avola. La situazione precipita: inutile la mediazione del sindaco con il prefetto.
Ore 14, i commissari di polizia, con indosso la sciarpa tricolore, ordinano la carica: tre squilli di tromba e inizia il lancio dei lacrimogeni. I braccianti cercano riparo; alcuni lanciano sassi. Il vento spinge il fumo dei lacrimogeni contro la stessa polizia: è allora che gli agenti aprono il fuoco contro i braccianti. Un inferno che durerà circa mezz’ora. Alla fine, Piscitello, deputato comunista, raccoglierà sull’asfalto più di due chili di bossoli.
Due braccianti, Giuseppe Scibilia, 47 anni, e Angelo Sigona, 25 anni, vengono uccisi.

Scibilia, soccorso dai suoi compagni, dirà: “Lasciatemi riposare un po’ perché sto soffocando”.

Verrà trasportato in ospedale su una 500 ma per lui non ci sarà niente da fare. Oltre ai due morti, si conteranno tra i braccianti 48 feriti, tra cui alcuni gravi. Il ’68, anno della contestazione e della presa di parola, termina nel sangue.

Per la prima volta, dopo l’avvio della stagione dei governi di centro-sinistra, la polizia uccide dei lavoratori durante uno sciopero.

Dicembre 1968, Avola: 2 morti; aprile 1969, Battipaglia: 2 morti. È un segnale inquietante lanciato da una parte della classe dirigente: la scelta di rispondere al conflitto sociale con la violenza. Un anno dopo, a Milano, la bomba nella Banca dell’Agricoltura aprirà la drammatica stagione della strategia della tensione.

La provincia di Siracusa era divisa in due zone agricole: la prima, denominata A, che comprendeva i comuni della zona nord, quelli più ricchi; la seconda, B, comprendeva i comuni dell’area meridionale della provincia, quelli più poveri.

Nelle due zone erano applicati differenti orari di lavoro (7 ore e 30 contro 8 ore) e differenti salari (3.480 lire al giorno contro 3.110). La lotta dei braccianti poneva, quindi, una elementare rivendicazione egualitaria.

Ugualmente, per quanto riguardava la questione delle commissioni paritetiche di controllo, si trattava di chiedere l’attuazione dell’accordo, sottoscritto in precedenza dalle parti sociali e rimasto lettera morta per le resistenze e l’arrogante rifiuto degli agrari.

La battaglia per il rinnovo contrattuale inizia a settembre del 1968 e raggiunge il suo apice alla metà di novembre. Il 24 novembre viene dichiarato lo sciopero generale dei lavoratori agricoli della provincia.

Le trattative si arenano per la rigidità degli agrari; conseguentemente la tensione sale e i braccianti decidono di ricorrere ai blocchi stradali, come strumento di pressione.

Il prefetto convoca le parti per il 30, ma gli agrari non si presenteranno. Il 1 dicembre lo sciopero prosegue, anche per sollecitare la prefettura a una condotta più energica nei confronti dell’associazione degli agrari. Di fronte alle ulteriori esitazioni del prefetto, che accetta di convocare un nuovo incontro solamente per il 3 dicembre, viene proclamato lo sciopero generale ad Avola. Siamo alla vigilia del drammatico scontro.

Le organizzazioni sindacali proclamano uno sciopero generale di 6 ore in tutta la Sicilia per il 3 dicembre; nelle altre regioni, invece, gli operai e i lavoratori sospendono spontaneamente il lavoro per manifestare la propria rabbia e indignazione.

Numerose manifestazioni di studenti e operai occupano le piazze delle principali città d’Italia: a Milano una manifestazione si conclude con duri scontri tra studenti e la polizia. I cartelli portati dagli operai e dai braccianti nelle manifestazioni di protesta sono amari e indignati: “il sangue e la morte non sfamano i lavoratori”, “i contratti non si firmano con il sangue”.

La tensione nel paese è altissima. L’uccisione di due braccianti in lotta per rivendicazioni elementari si rivela immediatamente ingestibile da parte della destra e dei partiti di governo. L’eccidio di Avola cade, tra l’altro, in una situazione politicamente delicata.

Il governo “balneare”, guidato dal democristiano Giovanni Leone, è appena caduto lasciando il paese nel pieno dell’ennesima crisi politica. Alcuni giornali e commentatori politici cercheranno di mettere in relazione l’eccidio con il “vuoto” di potere politico determinato dalla crisi di governo. Pochi giorni dopo nascerà un nuovo governo di centro-sinistra guidato dal democristiano Mariano Rumor.

L’ennesimo atto di brutalità compiuto dalla polizia durante uno sciopero rilancia la richiesta da parte delle organizzazioni sindacali e dei partiti di sinistra di disarmare la polizia durante i conflitti di lavoro.
Il fatto che la polizia spari su dei braccianti che rivendicano un aumento salariale minimo e, soprattutto, un trattamento egualitario nell’ambito della stessa provincia, viene interpretato come dimostrazione della non riformabilità dello stato e della sua intrinseca “ferocia di classe”.

Il salto di qualità dalle cariche della polizia e dalle inchieste della magistratura contro gli studenti all’uso delle armi da fuoco contro gli scioperanti, viene percepito dal movimento come una scelta di chiusura drastica da parte del governo e dei poteri costituiti: un richiamo all’ordine, la scelta di arrestare quel fiume in piena della contestazione che aveva, ormai, ampiamente superato i cancelli delle università per diffondersi nei posti di lavoro, nelle scuole, nell’intera società.

Avola è, però, anche un oltraggio alla miseria.

Nella società italiana, trasformata radicalmente dal miracolo economico, nella quale il livello di vita è significativamente cambiato per molti, nella quale ormai i consumi crescono mentre va affermandosi uno stile di vita lontano dalle privazioni e dalla parsimonia postbellica, la polizia spara contro i braccianti.
Il movimento studentesco, già attraversato da un ideologia anticonsumistica, legge l’eccidio di Avola anche come un arrogante risposta dei ricchi contro i poveri.

Dopo Avola, si radicalizza la protesta studentesca contro il lusso e la sua ostentazione.


Il 7 dicembre 1968, a Milano, gli studenti guidati da Mario Capanna, contestano la prima della Scala, storica vetrina della ricca borghesia meneghina; alla fine del mese, a Viareggio, la notte di Capodanno, la contestazione si rivolge contro i frequentatori del lussuoso locale notturno “La Bussola”. La polizia torna a sparare, questa volta contro gli studenti, e un ragazzo, Soriano Ceccanti, rimane paralizzato in seguito alle ferite riportate.

(Ansa)

Il 2 dicembre 1968, cinquant’anni fa, il governo del futuro presidente della Repubblica Giovanni Leone stava per cadere, e stava per tornare al potere la corrente cosiddetta “dorotea” della Democrazia Cristiana, con Mariano Rumor, che avrebbe di nuovo spostato verso il centrosinistra gli equilibri del partito. Ma l’Italia arrivava da una stagione di intense proteste studentesche, che sarebbe stata seguita l’anno successivo dal culmine delle lotte operaie e dal famoso “autunno caldo” delle proteste sindacali. Quel giorno ad Avola, in Sicilia, fu organizzato un grande sciopero generale, in sostegno delle rivendicazioni dei braccianti agricoli: alla fine di quella giornata, due manifestanti sarebbero morti, uccisi dalla polizia.
La battaglia sindacale dei braccianti di Avola e della provincia di Siracusa era cominciata una settimana prima: chiedevano di aumentare la paga giornaliera, eliminare le gabbie salariali (cioè quei meccanismi per cui la paga per lo stesso lavoro viene modificata e proporzionata in base ad altri parametri, come il costo della vita) e introdurre una commissione che controllasse il trattamento dei braccianti. Dopo diversi giorni di sciopero e blocchi stradali, il sindaco socialista di Avola provò a mediare con il prefetto perché venissero organizzate delle trattative sindacali, a cui però i braccianti non parteciparono polemicamente.

Il 2 dicembre venne così indetto lo sciopero generale, e i braccianti occuparono la statale per Noto fin dalla notte. Nel primo pomeriggio arrivarono sul posto furgoni e camionette della celere, il reparto della polizia che si occupa di ordine pubblico, che al rifiuto dei manifestanti di sgomberare la strada cominciò a lanciare lacrimogeni. Ma il vento spinse il gas verso gli agenti, mentre i manifestanti iniziarono a lanciare sui poliziotti e sulla strada i sassi raccolti dai muretti lungo la strada. A quel punto la polizia cominciò a sparare a ripetizione ad altezza d’uomo: Giuseppe Scibilia, 47 anni, e Angelo Sigona, 25 anni, furono uccisi. Altri dieci vennero feriti gravemente. Secondo le testimonianze, furono raccolti due chili e mezzo di bossoli, portati il giorno successivo alla Camera dal deputato comunista siciliano Nino Piscitello.

Per il giorno successivo venne dichiarato uno sciopero dei braccianti in tutta Italia, mentre già la sera del giorno della sparatoria il Partito Comunista e quello Socialista fecero grandi pressioni sulla DC, tanto che nella notte il ministro dell’Interno Franco Restivo convocò braccianti e sindacalisti per firmare un contratto collettivo che accogliesse le loro richieste. I fatti di Avola generarono proteste e scioperi in tutta Italia, e portarono in molti a chiedere allo Stato di disarmare la polizia durante le proteste operaie. Scibilia e Sigona furono gli ultimi due operai uccisi dalla polizia durante un conflitto sindacale

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