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Regionali, Meloni chiede 3 candidati governatori: oltre a Marsilio (Abruzzo), la leader vuole decidere su Sardegna e Basilicata

Bardi è inamovibile per FI che ne rivendica il gran lavoro. Ma da via della Scrofa ritengono la vittoria determinata dai voti di FDI

Bardi è inamovibile per FI che ne rivendica il gran lavoro. Ma da via della Scrofa ritengono la vittoria determinata dai voti di FDI

«Siamo il primo partito della coalizione, com’è possibile che governiamo solo tre Regioni?». A poco più di centoventi giorni dal ritorno alle urne per le Regionali e ad un passo dalla definizione dei candidati, il ragionamento è tra quelli più in voga a via della Scrofa. «Guidiamo solo Lazio, Marche e Abruzzo» spiega uno dei colonnelli meloniani, mentre Lega e Forza Italia si spartiscono ben undici Regioni. Un po’ come avvenuto per i ministeri o per le nomine a capo delle partecipate, secondo FdI le proporzioni andrebbero tarate in maniera diversa. Anche perché – sono convinti – il voto europeo di giugno offrirà conferme in tal senso a Giorgia Meloni. È quanto fatto trapelare da una fonte autorevole de “Il Mesaaggero”.
E quindi ecco che, pur rinunciando all’asso pigliatutto, su cinque poltrone in ballo il prossimo anno almeno tre vengono reclamate per esponenti del primo partito del centrodestra. Se in Abruzzo (le urne si apriranno il 10 marzo) non c’è partita e il candidato della coalizione sarà senza dubbio l’uscente Marco Marsilio, e se – a bocce ferme – la continuità pare essere la strada scelta anche per Piemonte e Umbria (gli uscenti sono rispettivamente l’azzurro Cirio e la leghista Tesei) è un po’ più ingarbugliata la situazione per le poltrone di presidente della Regione Sardegna e, soprattutto, della Basilicata.

LA SARDEGNA

Sull’isola il governatore è stato fino ad oggi quel Christian Solinas del Partito sardo d’azione, considerato vicinissimo alla Lega, ma mai parte integrante del Carroccio.

Difeso dalla Lega («Anche in Sardegna il centrodestra è compatto ed è pronto a continuare il buon governo con Solinas nell’interesse dei cittadini» il messaggio), il governatore è figlio di una stagione difficilmente replicabile per Matteo Salvini. Tant’è che per sfidare l’ex sottosegretaria M5S Alessandra Todde, sui cui ha deciso di convergere anche il Pd, crescono quindi le quotazioni del meloniano della prima ora e sindaco di Cagliari Paolo Truzzu.

LA BASILICATA

Situazione differente in Basilicata. L’intera prima linea di Forza Italia ha già provato a blindare il governatore Vito Bardi, chiedendone a gran voce un secondo mandato, considerato quanto bene ha fatto (vedi bonus gas e gli altri che bollono in pentola). Meloni e i suoi però, non ne sono molto convinti. In primis perché, in base ai sondaggi riservati che passano di mano in mano a via della Scrofa, Bardi garantirebbe sì una vittoria netta sul centrosinistra (il suo consenso personale è altissimo) ma contando molto sui voti di FdI. Nel dettaglio se il peso di Forza Italia nella rielezione con poco più del 40% sarebbe di quasi il 10% (più un 4-5% della lista personale di Bardi), quello dei voti meloniani sarebbe circa il doppio. «E allora perché non sostenere un nostro candidato?» ci si chiede tra i collonnelli di Fratelli d’Italia. O, almeno, perché non utilizzare questa “concessione” agli azzurri per smuovere altre pedine. Vale a dire che per FI – come per la Lega – la coperta è corta. E quindi a qualcosa dovranno rinunciare. Agli osservatori ad esempio non è sfuggito che un mese fa Meloni, in un intervento a Torino, non ha confermato la ricandidatura di Cirio, pur evidenziando la sua “stima” per il presidente uscente. Tradotto ulteriormente: Forza Italia potrebbe essere messa in condizione di dover scegliere su quale Regione preferisce puntare. Sta agli azzurri guidati da Antonio Tajani decidere se vale la pena mischiare le carte, facendo crollare anche il castello leghista. L’alternativa infatti, vedrebbe schierato in Umbria un candidato di FdI, con la Lega pronta a reclamare il Piemonte (con Cirio diretto a Bruxelles al voto di giugno). Le possibili combinazioni, a questo punto, sarebbero però diverse.

I TEMPI

Ciò che è certo è che il tempo gioca a favore del partito di Meloni. Praticamente tutte le elezioni, non a caso, si terranno in date differenti tra primavera e autunno del prossimo anno. Una posizione difesa con forza durante le riunioni di maggioranza proprio da FdI. Lo “schema” 3-1-1 è infatti considerato più digeribile per gli alleati se diluito. Per di più esporrebbe meno il governo a fibrillazioni che già con il voto europeo si intensificheranno. Secondo la premier il 2024 è un anno cardine per completare la trasformazione del suo partito. Regionali, Europee e primi passi verso il premierato sono facce della stessa medaglia, tutte necessarie ad accrescere un progetto che ha come ambizione minima la riconferma nel 2027. Questo secondo la ricostruzione de “Il Mesaaggero”.

 

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