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L’ATTO RIPARATORE PER ELISA: CANONIZZARLA

L’intervento di Anna R.G. Rivelli

La riapertura della Chiesa della Trinità a Potenza, avvenuta alla chetichella, nel fragoroso studiato-distratto silenzio di un giorno di fine agosto, ha riaperto una ferita in realtà mai davvero rimarginata. A pochi giorni dal trentesimo anniversario della scomparsa della giovane Elisa, infatti, l’unico atto “riparatore” della Chiesa lucana è stato quello di provare ancora una volta a manipolare la storia, a riaprire un edificio che a detta di esperti non è neanche più sacro per quanto ivi accaduto e a sbattere in faccia alla famiglia Claps e a una città intera la targa marmorea in quel bel “latinorum” con cui da secoli la Chiesa esercita il suo potere su credenti veri e creduloni sprovveduti. La targa, per chi non l’avesse letta, è posta a perpetua memoria di Don Mimì Sabia (ribattezzato in città dopo la vicenda Claps con il nome di Don Mimì Sapìa) e di costui vanta l’operato anche (e questo è un vero schiaffo alla storia) in rapporto all’educazione degli adolescenti, cosicché viene da chiedersi se la targa si riferisca all’adolescente Elisa uscita morta dalla sua chiesa o all’adolescente Danilo con cui l’arciprete festeggiò i 18 anni, salvo poi a negare di averlo mai conosciuto. La dettagliata ricostruzione dell’intera vicenda Claps fatta per Sky da Pablo Trincia si ascolta con raccapriccio perché mette in fila, anche per chi la storia tutta l’ha seguita e la conosce bene, una serie di particolari che evidenziano senza ombra di dubbio che l’unico colpevole alla fine individuato è forse il più “incolpevole” (perché andava curato fin da bambino) e di sicuro non veramente l’unico. Papa Francesco, scrivendo alla mamma di Elisa, le dona il conforto delle sue parole che però, benché di un Papa, restano, ahimé, soltanto parole, che poco o nulla possono di fronte all’eterno supplizio a cui mamma Filomena è stata condannata. A Papa Francesco, però, una richiesta può essere fatta e, con lui, anche a quella parte della Chiesa lucana che si sente ferita dal giudizio sommario che molti in seguito a questa vicenda hanno maturato. Una riconciliazione ci vuole, ma nessuna riconciliazione può esserci (e la Chiesa ce lo insegna con il sacramento della confessione) se non c’è pentimento ed espiazione. Se la Chiesa non ha da restituire alla famiglia e alla città la verità, può però prendere atto che la chiesa della Trinità di Potenza non è più la chiesa del potentissimo Don Mimì (praticamente signore e sovrano di quel luogo dai primi anni ’60 del Nove- cento), ma è ormai la Chiesa di Elisa Claps, la fanciulla che per pietà di quello che sarebbe diventato il suo carnefice, non lo aveva allontanato del tutto, pur avendone paura; la fanciulla che rimproverava i suoi amici se escludevano o canzonavano Danilo. Ebbene, Elisa non è stata da meno di Santa Maria Goretti, anzi è stata moto di più. Maria Goretti fu uccisa in casa sua da un giovane squilibrato che voleva stuprarla; di lei si dice che preferì la morte per difendere la propria virtù e che per questo fu santificata; si legge anche che dopo 27 anni dal suo omicidio, il suo assassino chiese perdono alla mamma Assunta e che i due si riconciliarono. E questo è stato motivo bastevole per proclamarla santa nel giugno del 1950. Elisa, devota come non sempre lo sono gli adolescenti, nutriva sentimenti di amore per il prossimo e di pietà; nella chiesa, laddove aveva avuto fede di trovare la protezione del Padre Celeste, ha incontrato il suo assassino e lì (o di certo a partire da lì) è stata aggredita, si è difesa, forse è stata abbandonata agonizzante ed ha subito il martirio dell’insulto (perché certe parole che sono state dette sul suo conto non si possono dimenticare) nel quale sono stati travolti i fratelli, il padre e quella piccola grande madre vilipesa più e più volte da chi doveva aiutarla. Abbandonata tra la chiesa e il cielo per 17 anni (con qualcuno che pure le aveva le chiavi di quel sottotetto e le aveva così care da averle portate con sé alle terme quel maledetto 12 settembre 1993), Elisa ha dato la forza ai suoi di vivere senza smettere mai di cercarla e di cercare la verità; Elisa ha già fatto il miracolo di non aver fatto spegnere la fede nel cuore di sua madre, ha già fatto il miracolo di aver mostrato a una tranquilla città di provincia il suo lato più oscuro e di averle mostrato che Dio è in ogni luogo, ma a volte non do- ve ci si aspetta che sia. Elisa è morta sotto i colpi del suo assassino, ma anche, se Dio esiste, tra quelle sue braccia in cui aveva cercato protezione. Elisa è come e di più di Santa Maria Goretti. Se la Chiesa vuole la riparazione, avvii subito il processo di canonizzazione e faccia in modo che la Trinità diventi definitivamente la Chiesa di Elisa e che lo diventi non più per la macabra curiosità che ne sta facendo varcare la soglia a molti; in questo mondo, in cui tutti pure preferiremmo che non ci fosse bisogno di santi e di eroi, ma in cui tante donne vengono aggredite ed uccise, Elisa diventi la santa che possa vegliare su tutte e resti come monito per la Chiesa stessa a non abbassare mai la guardia nell’esaminarsi al suo interno. Magari Santa Elisa Claps farà il miracolo di molti pentimenti e saprà abbracciare chi per trent’anni ha continuato ad ucciderla. E la città sarà riconciliata nel suo nome. La Chiesa non può smentire se stessa. Se è Santa Maria Goretti, Santa sia Elisa Claps.

Di Anna R.G. Rivelli

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