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BARDI COME LA SIBILLA CUMANA

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Eravamo già tristemente abituati ai pistolotti topici che il settantenne Vito Bardi era solito utilizzare soprattutto quand’era vittima predestinata del suo sconforto politico, ma chi l’avrebbe detto che ci sarebbe toccata anche la versione governativa della Sibilla cumana, tanto per stare al genius loci campano che più di altro gli piace e per amore del quale, ormai da tre anni a questa parte, fa il pendolare con al seguito autista ed auto blu. Ora le dimissioni di Antonio Tisci dall’ARBAP gli danno finalmente modo di sbizzarrirsi a più non posso e sperticarsi in vaticini, omissis, avvertimenti e quant’altro possa offrire all’occorrenza l’arte enigmatica, soprattutto quand’è propagandata sulla scena istituzionale e non nell’antro nascosto e solitario della Sibilla. Eppure, tanto per dirla tutta, non s’è mai visto un presidente di Regione macinare accuse rotonde ed a forma d’indovinelli come fosse l’ultima comparsa lucana invece di far nomi e cognomi di “coloro” che scelgono il “nemico di turno da abbattere” e chiarire, soprattutto, quali siano le “situazioni, sicuramente più gravi” che “riguardano amici o compagni di partito”. Canta Eugenio Bennato: “O riesto è na tammorra ca vene da luntano. è o figlia d’o vesuvio e d’a sibilla cumana”.

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