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IMMAGINI DI GUERRA

I nostri video inediti dall’Ucraina

Se l’11 settembre 2001 ha segnato la fine dell’innocenza americana, il 24 febbraio 2022 ha segnato la fine del sonno (o sogno) europeo che, dal 1945, ha voluto dimenticare l’orrore della guerra sul proprio territorio. È sembrato di rivivere quel primo settembre del 1939 quando, sempre nel cuore dell’Europa Orientale, una potenza autocratica invadeva il paese confinante rivendicandola per sè e non è un caso che Valdimir Putin faccia riferimento proprio a quella potenza, quella nazista, per giustificare la propria invasione dell’Ucraina.

Si è tornato a parlare di Unione Sovietica (uno scivolone freudiano in cui cadono anche i giornalisti che raccontano le operazioni di guerra), di Lenin, di cui tra due anni ricorre il centenario della morte, quale autore dell’attuale regalo territoriale all’Ucraina. E poi, ancora più dietro, una regressione al Congresso di Vienna quando venne coniata la locuzione “espressione geografica” per riferirsi ad una Nazione che non si voleva riconoscere. L’Italia del 1814 come l’Ucraina del 2022, Putin come Metternich, come Lenin, come Hitler. L’uso distorto della storia del secolo IX e XX che l’autocrate del Cremlino sta mettendo in atto per giustificare le sue mire espansionistiche da Zar di tutte le Russie evidenzia la brusca involuzione che l’invasione dell’Ucraina ha fatto fare a tutta la comunità internazionale e segna il brusco risveglio dalla “pax europea” soprattutto per il vecchio continente.

L’Europa si ritrova di nuovo, inaspettatamente, a dover risolvere un conflitto non meramente intestino, come accadde in Jugoslavia, ma un’invasione che potrebbe non limitarsi all’Ucraina, esattamente come fu per la Polonia del 1939. Tuttavia, se la dinamica è simile, sono cambiati gli attori, con la presenza delle istituzioni europee, dalla incerta capacità decisionale unitaria, sono cambiate le armi, potenzialmente catastrofiche, sono cambiate le comunicazioni, consentendo a tutti di vivere la guerra istante per istante attraverso i media e i social. Una guerra 2.0 che, nonostante lo straordinario sviluppo tecnologico, ci trova fatalmente del tutto impreparati.

Questa generazionale di europei non è più abituata alla guerra. Noi siamo i figli, i nipoti dei soldati che combatterono l’ultimo conflitto, siamo le generazioni cresciute “viziate” dalla pace e infiacchiti dall’opulenza che questa ha creato dopo la fine della Guerra. La guerra, per noi, è solo quella combattuta negli angoli oscuri del mondo da folli estremisti, è un racconto televisivo, che lo schermo rende fatalmente verosimile ma non vero, lontano e, soprattutto, estraneo. Non ci tocca, non ci riguarda, non ci minaccia realmente, solo virtualmente.

I nostri nonni, invece, loro sì che erano abituati alla guerra. Nessuna delle generazioni precedenti aveva potuto evitarla, dalle guerre mondiali, a quelle coloniali a quelle risorgimentali e via sempre più indietro.

Non si fa più caso a quanti uomini risultano nati nei primi giorni dell’anno, bambini che venivano segnati dai genitori in ritardo alle anagrafi per far sí che rientrassero in una classe, quella di leva, più giovane, e, magari, che questo consentisse loro di evitare la chiamata alle armi. I genitori adoperavano espedienti del genere per i loro figli perché sempre c’era stata una chiamata alle armi. Oggi tutto questo è un anacronismo, c’é al contrario, la corsa a rientrare nell’anno precedente, per recuperare tempo.

E ben può accadere che gli anacronismi non siano affatto tali, sono tutt’altro che superati, sono reali e piombano addosso inaspettatamente e, fatalmente, avendoli reputati suparati. Non siamo più preparati, non solo materialmente, ma mentalmente a fronteggiare qualcosa che avevamo riposto nei libri di scuola, in quelle parti di programma che non si faceva mai in tempo a finire prima della maturità.

Ma la Storia ti viene a cercare, ti stana e ti costringe ad affrontarla. Questa generazione che non ha mai visto sui libri di geografia o sulle cartine a scuola la parola URSS o le Germanie divise, che ha vissuto con insofferenza la pandemia e le restrizioni, che ha mostrato, con le follie delle manifestazioni violente no vax o le guerriglie urbane per le partite di calcio, di conservare un’aggressività repressa infantilmente gestita e di avere un’idea confusa del concetto di libertà, sarà capace di fronteggiare una guerra vera? La guerra reale, non quella farcita di metafore e modi di dire, non quella vissuta nello schermo dei videogiochi o dei giochi di ruolo, ma quella fatta di bombardamenti, di case distrutte, di fame, di resistenza.

E non guardiamo l’Ucraina e Kiev sotto assedio per consolarci che sì, ce la faremo. Tutti gli ucraini dichiarano che sono in guerra da otto anni, hanno i bunker sotto le case, non si aspettavano l’invasione ma vivevano uno stato di guerra a bassa tensione da molto tempo. Per loro la guerra non è stato quel brusco risveglio che é stato per il resto dell’Europa e stanno reagendo e resistendo con la prontezza che, forse, proprio per questo, non era stata esattamente prevista e calcolata dagli invasori.

Ma il resto dell’Europa che avrebbe fatto o, peggio, visto che l’idillio è terminato, che farebbe se l’invasione dovesse dilagare oltre i confini ucraini? Siamo pronti anche noi a resistere, a rinunciare alla nostra grassa sicura opulenza? Siamo disposti a perdere tutto, noi che abbiamo protestato anche quando ci hanno chiesto di combattere la guerra al virus rimanendo in salotto a guardare serie tv o infornare dolci?

I nostri nonni ci hanno regalato, per la prima volta, un’Europa di pace in cui ci siamo illusi di aver deposto definitivamente la conflittualità che da sempre ha fatto scontrare i suoi popoli. Quella pace ci ha rammollito e la mattina del 24 febbraio, quando abbiamo visto calare i missili sull’Ucraina, ma poteva essere anche la nostra città, ci siamo resi conto che il sogno è finito e che, ahimè, forse non siamo pronti ad affrontare l’incubo della realtà.

E magari, anche adesso, c’è qualcuno che negherà che sia tutto vero e che l’invasione dall’Ucraina sia solo la proiezione sullo schermo di questa terra piatta del sogno del “Grande Dittatore”.

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