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5 STELLE, RITORNO AL PASSATO

Nonostante in Basilicata superino a fatica la doppia cifra, continuano a guardare con disprezzo al Csx

DI MASSIMO DELLAPENNA


I 5 stelle scelgono di nuovo la via solitaria della protesta e dei veti ma senza il consenso dei tempi del “vaffaday” e delle istituzioni «da aprire come scatolette». Perchè, lo vogliano ammettere o no, nei Palazzi ci si sono messi comodi con una inevitabile borghesizzazione che non li rende più così “veraci” come all’inizio.

Perchè in fondo in pochissimi anni tante sono state le giravolte; si sono presentati alle elezioni provinciali, hanno messo nel cassetto le magliette «mai con il partito di Bibbiano», dilatato i limiti dei mandati, dimenticato l’impeachment a Mattarella e sconfessato tanti slogan e impegni. E cosi è accaduto che a metà legislatura regionale, e un poco di più, la scelta dei tre delegati lucani per l’elezione del Presidente della Repubblica ha fatto registrare scenari non affatto scontati fino a qualche mese fa. Se era chiaro che nel centrodestra il tappeto ormai è diventato troppo piccolo per mantenere ancora nascosta la cenere che cova, quello che non ci si aspettava erano le nuove scomposizioni all’interno dell’opposizione.

Che poi più che di nuove dinamiche si tratta di un ritorno alle origini con buona pace di tutti i “flirt” avvenuti più a livello romano che a livello locale. In sintesi si è ricomposto il gruppo dei consiglieri eletti nel centrosinistra nel 2019 e si è polverizzato quell’asse Pd-M5s che invece sembrava essere diventata la panacea per tutti i mali. Quell’asse nato a Roma sul “o Conte o morte” circa 12 mesi fa in Parlamento e poi spalmato sui territori in maniera alchemica senza una reale corrispondenza identitaria, culturale e politica; senza un vero rapporto di collaborazione tra i vari protagonisti.

La verità è che la teoria e la pratica sono due cose diversissime quando gli obiettivi confliggono. Più facile che la teoria venga applicata nei libri o nelle questioni estetiche e meno nei corridoi e nelle scelte apicali soprattutto quando chi deve mettere in pratica una idea ha dei curriculum e delle sensibilità profondamente diverse. Insomma, stando alla traslazione numerica del “campo largo” (professato a parole), il delegato lucano della minoranza avrebbe dovuto essere eletto con almeno 8 voti e cioè quelli di M5s più i 5 consiglieri eletti nella lista del centrosinistra (Pd, Iv e Trerotola).

E il profilo ideale era quello del dem materano Roberto Cifarelli che di suo poteva contare sui voti dei suoi colleghi di candidatura. Ma vallo a spiegare a Gianni Perrino che già si vedeva nel Transatlantico a prendere magari il caffè con Conte, Di Maio e la Taverna e contribuire all’elezione niente di meno che del successore di Mattarella e magari fare un tour di pellegrinaggio al balcone dove fu abolita la povertà.

E così tra un veto a Italia Viva e a chi non è più puro dei puri e la rivendicazione di essere sempre pronti a indossare le vesti dei veri salvatori della patria distanti e distinti sia dal centrosinistra che ha governato la regione nel passato e sia dal centrodestra che la governa, i 5 stelle si sono arenati nel più classico dei “vorrei ma non posso”. Ma al netto delle strategie, che fanno difetto sempre, il risultato è che Italia Viva resta il più affidabile degli interlocutori per il Pd.

Nonostante i tanti garanti per il mantenimento di quel progetto tanto caro a Letta e Conte, Bersani, Di Maio e D’Alema. Ma questo è, con Perrino, Leggieri e Carlucci che ora dovranno subito dimostrare, al netto dei facili blitz alla Grillo prima maniera, di poter ritrovare un minimo di sagacia strategica. Le elezioni regionali non sono cosi lontane e i 5 stelle in Basilicata a livello amministrativo, come raccontano le urne recenti, a fatica superano la doppia cifra.


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