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STATO SEMPRE PIÙ FORTE, REGIONI SEMPRE PIÙ DEBOLI

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Non appena terminerà questa emergenza sanitaria – e mi auguro che a nessuno venga in mente di procrastinarla arbitrariamente, visto che qualche vantaggio in materia di controllo sociale lo procura – sarà necessario fare una profonda riflessione sul regionalismo italiano. Io non ho opinioni granitiche sull’argomento, ma sento che una stagione si è chiusa, e che il ruolo delle Regioni va perlomeno ridiscusso. Le grandi crisi globali rafforzano gli Stati, ai quali i cittadini chiedono maggiore rapidità nelle scelte, incremento della spesa per il welfare e la statalizzazione delle imprese strategiche sull’orlo del fallimento. Che ruolo hanno, in un simile contesto di ritrovata centralità delle nazioni e degli Stati, le Regioni? In questi giorni sono in tanti a lamentarsi per il fatto che il Governo ha decretato la zona rossa per la Basilicata. Il paradosso è evidente: il regionalismo, che si sostanzia principalmente nella gestione della Sanità, è ormai sistematicamente scavalcato dal centralismo statale. E allora a cosa si è ridotto il regionalismo sanitario? All’esecuzione di direttive nazionali? E cosa accadrebbe se la “colorazione” delle Regioni spettasse alle giunte regionali e non al Governo? Se la Sanità è gestita dalle Regioni, allora deve esserlo anche in emergenza, altrimenti l’esperienza empirica dimostra l’inefficacia dell’impianto regionalistico. Ma sopratutto: che senso ha un autonomismo che permette l’assorbimento di circa il 75% dell’intero budget dalla gestione della Sanità? E che senso ha regionalizzare principalmente la Sanità, visto che di fatto per gli altri comparti le risorse sono pochissime? Non voglio assolutamente alimentare sentimenti anti-casta – benché il ceto politico regionale sia eccessivamente remunerato – ma una riflessione sulle Regioni sarà davvero necessaria, una volta terminata questa maledetta pandemia.

diconsoli@lecronache.info

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