BasilicataCronaca

IL “VIZIO” DELL’ATTORE: PESCE CONDANNATO

Risarcimento al Ministero dell’Istruzione per 61mila €: guai pure col fisco


È costato caro il “vizio” dell’attore al professore lucano Ulderico Pesce: è stato condannato a risarcire il Ministero dell’Istruzione per 61mila e 879 euro. Così ha deciso la Corte dei Conti di Basilicata. Alla base delle approfondite indagini della Procura contabile, la segnalazione, datata 29 ottobre 2018, da parte della Guardia di Finanza. Non soltanto calcando le assi di legno di palcoscenici teatrali italiani, Pesce ha, e continua a farlo, interpretato più ruoli attoriali, lo stesso ha fatto anche nella vita reale. Nel suo caso i guai col fisco e la Corte dei Conti sono collegati a «una sovrapposizione tra l’attività di docente della scuola pubblica e le attività professionali nel campo artistico culturale» Conosciuto ai più per i suoi spettacoli, da “L’innaffiatore del cervello di Passannante”, a “Petrolio”, “Asso di monnezza: il traffico illecito di rifiuti”, per citarne alcune, Biagio Ulderico Pesce è un dipendente pubblico: docente di istruzione secondaria a tempo indeterminato presso l’istituto scolastico San Giovanni Bosco di Palazzo San Gervasio. L’accusa: ha percepito «illegittimamente», emolumenti in conseguenza di attività extra istituzionali irregolarmente svolta. Il professor Pesce, è risultato legale rappresentante e amministratore dell’associazione culturale “Centro Mediterraneo delle arti” che pur non avendo scopo di lucro, in quanto “onlus”, è associazione «legittimata a svolgere attività commerciale». La Guardia di Finanza ha accertato che il «professor Pesce» ha svolto per l’Associazione citata, attività di lavoro dipendente nel campo della recitazione, percependo redditi dall’aprile del 2004 al maggio 2017. E dal marzo del 2013, Pesce risultava, inoltre, titolare di partita Iva. La sovrapposizione tra dipendente pubblico e attore, si riferisce al periodo che va dal 2008 al 2015, durante il quale Pesce aveva un contratto a tempo determinato con l’istituzione pubblica scolastica, e dal settembre del 2015 fino al maggio del 2017. Arco temporale, quest’ultimo, durante il quale Pesce è risultato titolare di contratto a tempo indeterminato con la scuola pubblica. Proprio in quest’ultimo lasso di tempo, la magistratura contabile ha collocato l’accusa: danno erariale per 61mila e 879 euro. Connotazione giuridica l’«indiscutibile carattere di esclusività del rapporto di pubblico impiego al quale consegue un regime di incompatibilità assoluta con altre attività lavorative». I giudici hanno dato ragione in toto all’accusa: Pesce condannato. Smontata la linea difensiva dell’attore-regista, nonchè direttore artistico, che ha prodotto documentazione attestante l’autorizzazione del dirigente scolasti alle attività artistiche citate. Documenti non scagionanti in quanto «omessa» la menzione al rapporto di lavoro a tempo indeterminato e nella seconda autorizzazione, Pesce si assumeva la responsabilità dichiarandosi a conoscenza della legge in materia, da lui violata. Giudicato privo di pregio anche il fatto, rimarcato da Pesce, che i suoi spettacoli sono stati svolti in «maniera pubblica e furono ampiamente pubblicizzate». Come a dire, riguardo all’elemento psicologico, che se avesse voluto “fregare” il Ministero, lo avrebbe fatto di nascosto. Così come non meritevole la tesi per cui «l’istituzione scolastica abbia tratto giovamento dall’apporto di esperienza derivante dall’attività extrascolastica di Ulderico Pesce». Per il noto attore lucano, i guai economici non sono finiti. Negli atti del processo contabile anche l’azione di recupero di 36mila euro, emessa nell’aprile dell’anno scorso da parte dell’Agenzia delle Entrate. Il risarcimento del danno erariale al Ministero dell’Istruzione, nè esclude, nè si sovrappone alla sanzione irrogata dall’Agenzie delle Entrate, sia perchè, come hanno spiegato i giudici, «di diversa natura» sia perchè rivolta, con obbligo solidale, al Centro Mediterraneo delle arti ed al professor Pesce. L’impiegato pubblico Pesce, reo, per il collegio giudicante, di non aver adottato neanche «una minimale diligenza in ordine al rispetto dei propri doveri fondamentali».

Ferdinando Moliterni

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