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IL FUTURO DI GENOVA NON È SOLO PONTE MORANDI

Il ponte Morandi, come la strada Sopraelevata, erano per la Genova degli anni Sessanta, simbolo di modernità e di “progresso”, emblema di istituzioni efficaci e capaci di progettare un futuro, condivisibile o meno. Oggi questa capacità sembra mancare da parte di molti attori istituzionali.

7 GENNAIO 2019 BLOG di Francesco Gastaldi*

Il 14 agosto 2018 Genova è rimasta più sola, isolata e divisa; il crollo di una parte del viadotto autostradale sul Polcevera (detto comunemente ponte Morandi) ha evidenziato una serie di criticità e di interrogativi molto pregnanti sul futuro della città. L’opera infrastrutturale considerata un simbolo dello sviluppo e del boom economico degli anni Sessanta, ma anche il ponte delle vacanze al mare, percorso per recarsi nelle località balneari della riviera ligure, era anche un emblema di un altro periodo storico del capoluogo ligure, dove le cose andavano bene, c’erano prospettive e dinamiche che si supponevano illimitate, c’era una idea di società e di modello di sviluppo. Non so se si potesse definirlo bello, però era ormai familiare pur essendo un malato che forse non stava molto bene e per cui i medici avevano sbagliato diagnosi e sottovalutato il pericolo di vita.Il lotto comprendeva, oltre al viadotto, gli svincoli finali d’interconnessione con l’A7, la Camionale verso Milano degli anni Trenta, e il tratto fino all’attuale casello di Genova Aeroporto. Questo lotto fu tra i più imponenti e complessi, reso difficile dalle difficoltà orografiche, con una galleria a doppia canna, il viadotto (entrambi di un chilometro d’estensione) e l’interconnessione con gli altri tratti autostradali: basti notare la complessità delle rampe di raccordo provenienti dal ponte, soprattutto quella in direzione verso Milano e verso Livorno con un tratto ellittico in salita. Il progetto risale alla prima metà degli anni Sessanta mentre la costruzione spazia dal 1964 al 1967. Il lotto era ancora di competenza e in gestione all’ANAS che affidò l’incarico dei lavori della costruzione del viadotto alla Società Italiana per Condotte d’Acqua, vincitrice del concorso bandito nel 1961.

Il parziale crollo ha forse decretato per Genova la fine definitiva di un’epoca, ora il Novecento è davvero finito, si è conclusa la lunga stagione delle Partecipazioni Statali (se si eccettua Fincantieri) e dell’industria pesante, delle periferie operaie e del pesante ruolo delle organizzazioni sindacali. La tragedia del Ponte Morandi (che ha causato 43 vittime) è un evento simbolico che dovrà necessariamente avviare un grosso percorso di riflessione su strategie e percorsi di sviluppo della città. Il mondo del porto spinge per una visione della città, dove le valutazioni avvengono principalmente sul numero di container in transito, tralasciando tutte le implicazioni in termini di impatti ambientali e di effettive ricadute in termini di valore aggiunto per il territorio ligure. Esiste una questione rilevante e problematica: come conciliare lo sviluppo del porto con la qualità urbana, soprattutto delle zone di Ponente della città strette fra le montagne e il mare, con poco spazio e aree densamente abitate. La realizzazione del polo tecnologico di Erzelli alle spalle dell’aeroporto su cui la classe politica e dirigente genovese, da circa 15 anni scommette per il futuro, va avanti fra molte inerzialità e sarà occupato da un nuovo nosocomio e dalla facoltà di ingegneria che dovrebbero poi fare da traino all’insediamento di altre attività private.

A partire dai primi anni Novanta, turismo, cultura e tempo libero hanno giocato un ruolo rilevante in molte scelte di politiche pubbliche che hanno cercato di porre molta attenzione sulla valorizzazione attiva dell’area del Porto Antico e della dotazione patrimoniale (palazzi, musei, tessuto edilizio) del Centro Storico. Il nuovo Acquario è stato un motore importante di questa trasformazione, la Genova delle tute blu e dei “camalli” del porto è oggi una realtà turistica importante, la rigenerazione urbana di alcune aree centrali un dato di fatto, ma negli ultimi anni si nota un probabile rallentamento della spinta propulsiva, anche istituzionale, in questa direzione.

Il ponte Morandi, come la strada Sopraelevata, erano per la Genova degli anni Sessanta, simbolo di modernità e di “progresso”, emblema di istituzioni efficaci e capaci di progettare un futuro, condivisibile o meno. Oggi questa capacità sembra mancare da parte di molti attori istituzionali.

* Professore associato di Urbanistica, Università IUAV di Venezia gastaldi@iuav.it

Affermazione espressa in https://www.urbanit.it/il-futuro-di-genova-non-e-solo-ponte-morandi/?fbclid=IwAR0jXJnHoCWFKo0bK-Q5zY8dboKBxi3I0B4dxSWQ-og2MOwHQ5jqfqZwTVY

Il Commento di Luciano Belli Laura : Dopo aver condiviso con queste parole: “da Genova, finalmente, un’analisi ineccepibile d’un fatto incredibile” il presente ottimo post di Enrico Pietra, intendo precisare solo che oltre all’informazione “mainstream” ci sarebbe molto da dire anche sulla “intelligentia” altrettanto convenzionale. Soprattutto genovese o comunque veicolata dal professor (allo IUAV) Francesco Gastaldi. Che conclude il suo “Ponte Morandi: c’è anche un dibattito culturale” con un assurdo e banale “… il dado è tratto”. Mentre, non ha risposto all’e-mail in cui chiedo semplicemente spiegazione del suo ritenere che “il dibattito sulla città non si può concentrare sul solo ponte Morandi”. Ovvero senza dare spiegazione dell’affermazione <<Il nuovo Acquario è stato un motore importante di questa trasformazione, la Genova delle tute blu e dei “camalli” del porto è oggi una realtà turistica importante, la rigenerazione urbana di alcune aree centrali un dato di fatto, ma negli ultimi anni si nota un probabile rallentamento della spinta propulsiva, anche istituzionale, in questa direzione.>>

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