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MASINI: L’ENERGIA DELL’ARTE

Intervista a Gianfranco Blasi, tra gli ultimi a averci un contato diretto

di Leonardo Pisani
Gianfranco Blasi  scrittore e giornalista potentino, che spesso ospitiamo nelle nostre pagine culturali, è stato fra gli ultimi ad avere un contatto diretto con il maestro Antonio Masini.
Gianfranco, in questi mesi, tu e Antonio Masini stavate realizzando un progetto editoriale insieme.
«Sì. Ho lavorato con lui da agosto a fine ottobre. Lui ha realizzato delle opere sulle poesie di un poeta lucano emergente, Alberto Barra. Io stavo (sto) curando un libro. Dentro il quale vi è una lunga intervista ad Antonio. La notizia della sua morte mi ha fulminato, questa mattina. Ho scritto a Nadia, la sua terza figlia, con la quale mi sono sentito spessissimo in questi ultimi tempi. Sono addolorato. Sai Leonardo, una delle cose di cui ho parlato con lui è proprio di questo rapporto ostinato fra l’energia della vita e quello che lui definiva “lo spazio vuoto” della morte. L’assenza, il nulla come precipizio nel buio, faceva fatica persino a pensarci. Si era definito un credente, in un tempo lontano, ora si percepiva agnostico. Ma la sua spiritualità laica resterà. E’ dentro la sua vita e le sue opere. Una persona, un artista di assoluto spessore umano. Mi è piaciuto molto stare con lui e parlare di tutto. Arte, politica, amore, figli, il suo Volturino, Calvello, il luogo dell’anima, e poi, il mondo, anche quello lontanissimo, che ha conosciuto bene, i suoi viaggi. La lucanità come stella cometa».
Dunque, hai frequentato il suo studio. Hai avuto modo di conoscerlo da vicino.
«Ho dieci ore di pellicola, di digitale, centinaia di foto grazie all’amico fotografo Vito Ferrara, che ha registrato tutto. Il suo eremo più che uno studio, in cima a Bucaletto. Una villetta su delle palafitte. Piena zeppa di sculture e di tutte le sue ultime opere. Sarà la famiglia a decidere se e come utilizzare questo materiale. Lo farà Nadia con suo fratello e sua sorella. Come giusto che sia. A me restano quelle atmosfere, le ore passate con lui a conversare, le cene, il mondo di Masini è stato un dono prezioso, uno scrigno di ricordi che mi appartiene. Una lunga esperienza sentimentale»
Mi hai spesso raccontato della sua simpatia umana. Della sua generosità.«Il 17 settembre è l’anniversario del mio matrimonio. Io quest’anno ero da lui. Abbiamo iniziato a bere e mangiare, a raccontare. Ad un certo punto è arrivata la telefonata di mia moglie che mi ricordava della data. Ero imbarazzato. Antonio mi ha fatto dono di un suo schizzo con le scuse autografare per Annamaria. Così sono tornato a casa non con i fiori ma con un regalo di Antonio Masini. Praticamente mi ha salvato…» 

-Gianfranco Blasi con il maestro Masini e Alberto Barra-

Sembri più colpito dall’uomo che dall’artista.
«Forse, sì. Ho dovuto esplorare l’uomo per arrivare alla sua arte. Alla scultura e alla pittura. Penso alle sue straordinarie amicizie con Leonardo Sinisgalli, Mario Trufelli, Josè Ortega. Le contaminazioni pittoriche con Ernesto Treccani. I rapporti fitti con Guerricchio, Masi. Le sue sculture disseminate nei continenti a celebrare i lucani nel mondo».
Parlami proprio di questo. Del suo rapporto con i lucani nel mondo.
«È questo un aspetto della sua vita di fondamentale rilevanza. Antonio ne parlava con orgoglio. Il suo amore per la vita lo ha spinto a guardare oltre il monte Volturino. Lo diceva spesso. Le radici lo tenevano saldo alla lucanità. Ma l’esplorazione di quello che c’è oltre lo ha portato nel mondo ad essere testimone privilegiato della nostra terra. Le sue opere sono nelle Americhe, in Australia, in tanti paesi europei. Segnano la cifra dell’arte di Masini, ma disegnano i lucani nella loro straordinaria capacità di soffrire, resistere e reinventarsi la vita. Qui e lontanissimo. Cittadini del mondo. E lui, il maestro, ambasciatore di tutti questi sentimenti».
La pittura di Masini…
«Troverà posto, ce l’ha gia, fra i più grandi pittori contemporanei italiani. Un visionario. Il rosso, che esplode nel contrasto con i bianchi e i neri, rappresenta le stimmate della sua cifra pittorica. I cavalli, i suoi adorati cavalli, l’energia elastica della sua pittura. La potenza che si lascia contaminare nei primi tratti dagli schizzi, dalle forme geometriche che vengono assorbite dai colori come un secchio di vernice che lascia scie, una perfezione non stilistica ma istintuale».
Dicevi della politica…
«È stato anche sindaco di Calvello. Ma non si cibava di divisioni. Una delle personali che più ha amato è stata quella dedicata ai fratelli Rosselli a Milano, inaugurata dall’allora sindaco Pillitteri con la presenza di Spadolini e Craxi. Non era di sinistra in senso letterale. Con i socialisti del suo paese ha combattuto battaglie leali. Fu sindaco democristiano. Un uomo aperto al mondo, inclusivo».
Un ultimo tuo pensiero.
«Masini è nato l’anno della presa del potere da parte di Hitler. Ti faccio dono di una sua risposta alla mia domanda su che ricordi avesse lui del fascismo. Questa la risposta:
“Ho un ricordo preciso del giorno in cui Mussolini decise di farci entrare in guerra. Ero a scuola. Le elementari. Ci fecero uscire in un lungo corridoio per ascoltare la radio. Era tutto ordinato, preciso, eravamo in fila, quasi dovessimo marciare anche noi. Credo fosse una delle precondizioni culturali del fascismo. Un modello organizzativo formidabile, surreale. Ascoltammo questa voce poderosa che proveniva da grandi megafoni. Quando concluse partirono grida di giubilo, applausi. “Guerra, guerra, viva l’Italia, viva il fascismo!” Io, così piccolo, ti dico quello che pensai. Pensai che la guerra è fatta di lotta, persone che muoiono. Uomo contro uomo. Non ti meravigliare. Non ero contento».

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