«Mio figlio ha bisogno di sostegno. Siamo partiti con 20 ore settimanali, poi 16, oggi ne sono rimaste solo 4.
E in 4 ore non si costruisce né un apprendimento né un’inclusione vera».
A parlare è un papà, uno dei tanti, che ogni mattina accompagna suo figlio alla scuola elementare “Leonardo Sinisgalli” di Potenza con una speranza negli occhi e un peso nel cuore.
Il figlio frequenta la quinta elementare e soffre di un disturbo comportamentale che richiede un supporto continuo, sia a livello didattico che relazionale. S
enza un affiancamento costante, il bambino fatica a seguire le lezioni, si distrae facilmente e finisce per es- sere isolato dal gruppo classe. «La scuola gli ha assegnato le uniche 4 ore di sostegno su materie come religione.
Non solo sono insufficienti, ma sono anche distribuite male: così è stato indebolito anche sul piano della socializzazione», racconta il padre, visibilmente provato.
La storia di questo bambino è purtroppo emblematica di una situazione che riguarda molti alunni con bisogni educativi speciali (BES): l’assistenza scolastica, prevista per legge, viene progressivamente ridotta per “carenze di risorse”, fino a diventare simbolica.
«Ad oggi mio figlio ha solo 4 ore di assistenza.
E non per una valutazione oggettiva dei suoi progressi – precisa il padre – ma perché il Comune ha deciso di dirottare le ore ai casi ritenuti più gravi.
Peccato però che ci siano bambini che hanno sia l’assistente che l’insegnante di sostegno nello stesso orario, mentre mio figlio non ha più nulla».
Nonostante tutto, questo padre non si è arreso.
Ha iscritto suo figlio anche ad un centro di servizi educativi per imparare un metodo di studio.
«Va al Centro App Start, lì cerca di recuperare il tempo perso.
Poi fa terapia tre volte a settimana.
Va anche all’Aias ed è sotto costante controllo del Policlinico Gemelli di Roma che monitora i suoi progressi.
Tutto questo a spese nostre. Non mi pesa, ma penso a chi non può permetterselo.
C’è chi conta solo sulle ore concesse dalla scuola pubblica e quelle ore diminuiscono anno dopo anno».
Nel frattempo, il bambino, pur migliorando nelle terapie esterne, si sente sempre più escluso nel contesto scolastico.
«Soffre. Lo vedo quando esce da scuola: è nervoso, frustrato.
Vuole partecipare, vuole imparare, ma non ci riesce.
Non per colpa sua, ma perché non ha chi lo richiama, chi lo riporta al centro.
Senza assistente, si perde.
E ogni volta è più difficile riportarlo indietro».
Quel che fa più male a questa famiglia, e a molte altre, è “l’indifferenza delle istituzioni”.
«Ho parlato con l’assessore, con la preside, ma non ho risolto nulla.
E allora io chiedo: perché mio figlio deve essere lasciato indietro solo perché la sua patologia non è “abbastanza grave”?».
Il padre insiste sul fatto che il problema non è solo individuale.
«Ci sono tanti altri bambini nella stessa situazione.
Non voglio fare da portavoce per tutti, ma se la mia voce può servire a smuovere qualcosa, io ci provo. Anche solo per ottenere qualche ora in più.
Basta poco per cambiare il percorso di questi bambini.
Ma quel poco oggi manca.
E in silenzio stiamo mettendo fuori dal mondo dei piccoli che vorrebbero solo farne parte».
La richiesta è semplice e accorata: più ore di sostegno, un criterio di distribuzione più equo, e soprattutto la volontà di ascoltare le famiglie.
«Se il Comune non può dare tutto a tutti, almeno ascolti.
E se davvero ci sono casi di doppia assegnazione inutile, si abbia il coraggio di riequilibrare.
Perché mio figlio, come tutti, ha diritto a imparare, a stare con i suoi compagni, a sentirsi parte di una classe. Non un peso da spostare in base alle disponibilità del bilancio».

