È GIUSTO INFORMARE

LA FILOSOFIA APPLICATA A CASI DI CRONACA VI RIPORTO 2 CONCETTI DELLA DOTTORESSA V.M. SUL CASO GARLASCO
Quando i fatti si capovolgono: il caso Garlasco e il rischio del processo mediatico
Negli ultimi mesi, il caso Garlasco è tornato al centro dell’attenzione pubblica, ma in una forma che solleva interrogativi.
Si assiste a un rovesciamento: fatti accertati vengono trattati come ipotesi, mentre narrazioni suggestive prendono il posto delle verità giudiziarie.
Si confondono i piani tra chi è stato condannato con sentenza definitiva e chi, fino a oggi, non ha mai affrontato alcun giudizio.
Il processo che ha portato alla condanna di Alberto Stasi è stato un lungo e articolato percorso processuale, che ha attraversato due gradi di merito e più passaggi in Cassazione, ed è stato esaminato complessivamente da circa quaranta magistrati, come riportano fonti quali Rainews e Fanpage.
La sentenza definitiva si è fondata su un quadro probatorio preciso: impronte di scarpe insanguinate compatibili con quelle di Stasi e incompatibili con altri soggetti; una dinamica della scena del crimine che escludeva ingressi estranei; una modalità di movimento che presupponeva conoscenza esatta dei luoghi e delle condizioni;
DNA di Chiara Poggi sui pedali della bicicletta usata da Stasi quel giorno.
Il quadro si è ulteriormente consolidato alla luce delle dichiarazioni rese da Stasi stesso nel corso del tempo, che hanno mostrato omissioni e contraddizioni su elementi centrali, come risulta dagli atti processuali.
Nonostante ciò, l’attuale narrazione mediatica tende a rimuovere o a diluire questi elementi.
Ipotesi ancora prive persino di un incidente probatorio preliminare vengono presentate come se fossero fatti acquisiti.
Testimonianze di terza mano, consulenze di parte e dicerie si caricano di un peso che non corrisponde alla loro reale consistenza giuridica.
Allo stesso tempo si suggerisce, più o meno apertamente, la colpevolezza di Andrea Sempio, che non ha mai affrontato un processo e che è oggetto di una nuova indagine.
Va ricordato che sono ormai diversi anni che la difesa di Stasi cerca di accreditare questa pista alternativa, e già in sede processuale (come risulta dagli atti) i giudici hanno valutato e motivato l’estraneità di Sempio rispetto ai fatti.
Anche nelle sentenze di assoluzione iniziali, la difesa di Stasi aveva riconosciuto come entrambe le impronte rinvenute sulla scena fossero di numero 42, e dunque non compatibili con calzature di Sempio.
È chiaro che, dal punto di vista della difesa di Stasi, l’emergere di nuove piste possa rappresentare una possibile leva per tentare la revisione.
Una dinamica comprensibile, che appartiene al legittimo campo della strategia difensiva. Proprio per questo motivo dovrebbe essere trattata con la necessaria cautela, senza che ipotesi ancora in fase embrionale vengano sovrapposte a verità processuali già accertate.
Gli elementi a carico di Sempio, valutati con il necessario rigore, restano ad oggi parte di un’indagine in corso.
L’impronta 33, anche qualora fosse confermata come sua, non dimostrerebbe la sua presenza il giorno dell’omicidio.
La frequentazione della casa era nota, essendo amico del fratello della vittima.
L’impronta non è databile e mancano altri elementi che possano comporre un quadro probatorio coerente: non vi sono impronte di scarpe insanguinate compatibili con quelle rilevate sulla scena, né tracce di sangue riferibili a lui, né un movente fondato né una ricostruzione della dinamica che lo collochi sul luogo del delitto in quel momento.
Nel frattempo, il racconto mediatico segue altre traiettorie
Le persone coinvolte, che non sono mai state giudicate, subiscono già ora le conseguenze di questa esposizione.
Andrea Sempio ha visto compromessa la propria vita professionale e personale prima ancora che un tribunale si sia pronunciato.
Allo stesso modo, insinuazioni sulla famiglia della vittima (come quelle che ipotizzano motivazioni economiche dietro la loro posizione) tendono a rimuovere il fatto che chi è stato condannato possa legittimamente avere interesse materiale e personale a cercare una riapertura del processo

Al di là dei singoli casi, il quadro che emerge interroga il modo in cui il nostro ecosistema mediatico tratta questi eventi
Le dinamiche che portano a questa spettacolarizzazione sono note
Quando la rappresentazione prevale sull’esperienza reale, la verosimiglianza delle narrazioni finisce per sostituire la ricerca della verità dei fatti.
E così accade che sui social si organizzino “serate Garlasco”, con spettatori che seguono la cronaca come fosse una serie, con toni da intrattenimento
Che un processo mediatico costruito su un omicidio diventi spettacolo pone interrogativi non soltanto di ordine etico
Non è un processo legittimo con garanzie costituzionali, ma un racconto che rischia di trasformarsi in un calvario per chi si trova travolto da questo meccanismo.
Resta una questione di fondo: se si sceglie di esercitare il dubbio, come è giusto, occorre farlo in modo coerente.
Se si ritiene lecito mettere in discussione l’esito di un percorso processuale così articolato, sarebbe quantomeno necessario applicare lo stesso rigore verso ipotesi che, allo stato attuale, non hanno ancora superato nemmeno il primo passaggio processuale.
Un percorso processuale così articolato, sarebbe quantomeno necessario applicare lo stesso rigore verso ipotesi che, allo stato attuale, non hanno portato nemmeno alla riapertura del processo.
🔹 LA FILOSOFA V.M. PROSEGUE
Il crimine, nella dimensione pubblica, è sempre stato oggetto di narrazione prima ancora che di semplice accertamento.
Negli ultimi anni, tuttavia, il modo in cui questa narrazione si sviluppa ha cambiato profondamente natura.
Il racconto non procede più secondo il ritmo delle fasi processuali, ma secondo una logica che appartiene alle dinamiche della comunicazione contemporanea, costruita su un flusso continuo di aggiornamenti, interpretazioni, partecipazione diffusa
Douglas Kellner ha mostrato come la cultura mediale tenda a trasformare ogni evento in una narrazione aperta, potenzialmente senza fine.
Il crimine si presta in modo particolare a questo tipo di racconto: la sua struttura intrinseca (fatta di mistero, conflitto, figure che attirano o respingono) permette una continua ridefinizione degli elementi in gioco. Ogni nuovo dettaglio, ogni dichiarazione, ogni movimento del processo alimenta nuove linee interpretative che vengono immediatamente assorbite e rielaborate nel circuito informativo.
Su un altro piano, le ricerche di Coltan Scrivner hanno mostrato come il consumo di storie criminali sia motivato da un bisogno di ridurre l’incertezza e comprendere ciò che appare minaccioso o inspiegabile.
Ma il bisogno di comprendere si traduce facilmente in un desiderio di tenere aperto il racconto, di cercare nuovi spunti che prolungano l’attenzione e la partecipazione.
I social media hanno reso questa dinamica ancora più accentuata
Non si tratta più soltanto della diffusione di contenuti, ma di un coinvolgimento attivo nella costruzione della narrazione.
Le piattaforme permettono al pubblico di commentare, discutere, elaborare ipotesi, selezionare elementi che possono discostarsi anche sensibilmente dal quadro definito in sede processuale.
In questo ambiente, la distinzione tra fatti e interpretazioni tende progressivamente a sfumare.
Il tempo della narrazione non coincide con quello della giustizia.
A poco a poco l’attesa del giudizio formale viene sostituita dall’attesa di un nuovo sviluppo narrativo.
Il ritmo del processo giuridico, con le sue fasi complesse e non spettacolari, fatica a reggere la pressione di un sistema informativo che richiede invece un flusso costante di novità.
Nel frattempo, tutto ciò produce effetti che non restano confinati alla dimensione del racconto.
Le conseguenze coinvolgono persone concrete, la cui vita viene inevitabilmente toccata da questo tipo di esposizione
In un sistema di diritto, il processo è l’unico luogo in cui la responsabilità può essere accertata
Ciò che si costruisce al di fuori di quel contesto produce inevitabilmente conseguenze, ma appartiene a un discorso che non coincide con quello della giustizia
#sapevatelo2025