È GIUSTO INFORMARE 

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52
d.lgs. 196/03 in quanto:
• disposto d’ufficio
• a richiesta di parte
• imposto dalla legge

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE 18064-25
Composta da
ROSA PEZZULLO
ELISABETTA MARIA MOROSINI
ANNA MARIA GLORIA MUSCARELLA
CARLO RENOLDI
ROSARIA GIORDANO
– P r e s i d e n t e –
– R e l a t o r e –
Sent. n. sez. 385/2025
UP – 25/03/2025
R.G.N. 41248/2024
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1.
2 .
avverso la sentenza del 10/07/2024 della Corte di appello di Brescia
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Elisabetta Maria Morosini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giulio
Monferini, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibili i ricorsi;
uditi i difensori delle parti civili, a v v . per
e
e a v v . per
e
che hanno concluso chiedendo di dichiarare inammissibili i ricorsi
o di rigettarli, e hanno dichiarato di non avere interesse alla liquidazione delle
spese processuali;
uditi i difensori dei condannati, avv. e avv.
p e r a v v . per che hanno concluso
chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Brescia ha dichiarato
inammissibile l’istanza di revisione proposta, ai sensi dell’art. 630, lett. c) e d) cod.
proc. pen., d a
La revisione riguarda la pronuncia di condanna alla pena dell’ergastolo con
isolamento diurno deliberata, nei confronti degli istanti, dalla Corte di Assise di
Como – confermata dalla Corte di Assise di appello di Milano e divenuta
irrevocabile il 3 maggio 2011 (a seguito del rigetto dei ricorsi per cassazione) –
in ordine al concorso nei reati: di omicidio premeditato ai danni di
del figlio di questa, della m a d r e della d o n n a
di omicidio ai d a n n i di di t e n t a t o o m i c i d i o ai d a n n i del
marito di quest’ultima distruzione dei cadaveri di (unico sopravvissuto); di incendio; di tentata
di violazione di
domicilio e di porto abusivo di strumenti atti ad offendere (due coltelli e una
spranga di ferro).
Con la medesima sentenza la Corte distrettuale dichiarava inammissibili, per
difetto di legittimazione, le istanze di revisione presentate dal Sostituto
procuratore generale presso la Corte di appello di Milano e dal tutore dei
condannati, colpiti dalla pena accessoria della interdizione legale.
2. La vicenda, oggetto della condanna definitiva di cui si chiede la revisione,
concerne quanto accaduto I’11 dicembre 2006 all’interno della palazzina
d e n o m i n a t a facente parte di un complesso abitativo dotato di corte
comune, sito in
Alle 20.20 circa di quel giorno residente in un’altra palazzina
che affaccia sulla medesima corte, notando del fumo uscire dall’appartamento di
allerta il vicino vigile del fuoco volontario,
raggiunge con lui l’interno C. I due entrano nello stabile e trovano: sul pianerottolo
del primo piano, gravemente ferito ma cosciente; sempre al primo
piano, nel corridoio all’interno dell’appartamento del coniugi
corpo senza vita di attinto in più punti dal fuoco, che trascinano
sul pianerottolo. indica il piano superiore, da dove provengono flebili
invocazioni d’aiuto della moglie A causa del fumo, i due
soccorritori non riescono a raggiungere la mansarda ove abitano i coniugi
né ad addentrarsi nell’appartamento della e così escono ad attendere i
vigili del fuoco, sopraggiunti alle 20.47, che domano l’incendio.
2

in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato”. «Un caso
che, se legittima la richiesta di revisione solo nell’ipotesi di accertamento con
efficacia di giudicato del fatto del terzo costituente reato, non preclude al giudice
della revisione – con singolare ma inevitabile interferenza con la previsione di cui
all’art. 630, lettera c) – di delibare incidentalmente, anche in sede di
ammissibilità, in ordine alla mera ipotizzabilità della sussistenza di elementi per
procedere nei confronti del terzo autore del falso giudiziale (o di altro reato), pur
rimanendo un simile assetto accusatorio tutto intrinseco alla sentenza di
revisione» (così in motivazione Sez. U, n. 624 del 26/09/2001).
Nella specie, a differenza di quanto sostenuto in ricorso, la Corte di appello
non ha ignorato la richiesta, ma l’ha presa in esame, escludendo fermamente la
sussistenza di elementi idonei a far dubitare della rispondenza al vero delle
dichiarazioni di e delle confessioni (poi ritrattate) degli imputati o
della affidabilità degli accertamenti svolti dagli inquirenti (pagg. 84-86 sentenza
impugnata).
Sulle intercettazioni mancanti, la censura è generica, poiché non si misura
con la ratio decidendi fondata sulla marginalità assunta dalle intercettazioni nella
decisione di condanna, se si eccettuano le captazioni eseguite in carcere “in
relazione alle quali la difesa non lamenta anomalie” (pag. 86 sentenza impugnata).
Circa le sospette irregolarità che avrebbero contrassegnato il procedimento
volto alla analisi dei reperti da svolgersi nelle forme dell’incidente probatorio, il
ricorso, nel ripercorrere le scansioni in cui si è sviluppato il relativo procedimento,
evita non solo di specificare quali prove, in tesi rilevanti, sarebbero state distrutte,
ma anche di misurarsi con l’esito finale del citato procedimento, che ha visto la
Corte di cassazione respingere i ricorsi dei condannati (Sez. 5, n. 44181 del
12/07/2018).
Quanto, infine, al denunciato difetto di motivazione sulle video interviste
e f f e t t u a t e d a l d o t t o r v a osservato che la doglianza, generica e
indeterminata, non illustra la decisività dell’elemento asseritamente trascurato; a
ben vedere il tema della falsità delle confessioni (asseritamente ricavabile anche
dalle video interviste in rassegna) si trova ampiamente scrutinato, e confutato alle
pagine 68-71 della sentenza impugnata, sulla scorta di argomenti idonei a
riverberarsi anche sul profilo in discorso.
7. In conclusione i ricorsi devono essere rigettati; segue la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Non si liquidano, invece, le spese
in favore delle parti civili, i cui difensori, al termine della discussione, non le hanno
richieste, dichiarando di non avervi interesse.
52
Il riferimento alle condizioni di salute di e dei ricorrenti impone,
in caso di diffusione della presente sentenza, l’omissione delle generalità e degli
altri dati identificativi.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli
altri dati identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla
legge.
Così deciso il 25/03/2025
Il Consigliere estensore
Elisaboto Maria Morosint
CORTE DI CASSAZIONE
V SEZIONE PENALE
DEPOSITATA IN CANCELLERIA
1 3 MAG 2025

🔹

In caso di diffusione del
presente provvedimento
omettere le generalità e
gli altri die identificativi,
a n o r m a dell’art. 52
d.lgs. 196/03 in quanto:
• disposto d’ufficio
• a richiesta di parte
• imposto dalla legge

 

La macabra storia di un’interazione sociale patologica: la strage di Erba

Pubblicato da Massimo Blanco e Micol Trombetta in Criminologia forense · Sabato 05 Gen 2019 ·

 

Autori: dr. Massimo Blanco, dr.ssa Micol Trombetta
della Sezione Analisi Criminologiche e Psicologia Forense dell’Istituto di Scienze Forensi
 
1. La strage di Erba
 
1.1. Cronaca di un massacro
La strage di Erba è probabilmente uno dei “crimini più atroci nella storia del nostro Paese”, così come ha dichiarato Massimo Astori, il pubblico ministero che ha indagato per primo sui fatti di sangue avvenuti nella tranquilla cittadina di 16 mila abitanti della Brianza. Un delitto che ha segnato la coscienza dell’opinione pubblica negli anni successivi al giorno della strage, avvenuta nel 2006, e che ha continuato ad animare il dibattito mediatico, anche in tempi recenti, per quanto riguarda le vicende processuali.
È la sera dell’11 dicembre del 2006. In una piccola palazzina in condominio di una corte ristrutturata, denominata “Condominio del Ghiaccio” e situata in via Diaz, una zona residenziale di Erba in provincia di Como, quattro persone vengono uccise barbaramente a colpi di spranga e coltellate. Successivamente, gli assassini appiccano il fuoco nell’appartamento dove hanno consumato la strage. Le vittime sono Raffaella Castagna, trent’anni, volontaria in un centro di assistenza per persone disabili, il piccolo Youssef Marzouk di 2 anni, figlio di Raffaella, la madre di quest’ultima, Paola Galli, 60 anni, e la vicina di casa Valeria Cherubini, 55 anni. La follia omicida degli assassini si riversa anche su Mario Frigerio, 65 anni, marito della Cherubini, corso in soccorso della moglie e scampato miracolosamente alla morte nonostante un profondo taglio alla gola che non è stato letale per via di una malformazione congenita della carotide, che ha permesso all’uomo di non morire dissanguato. Alle 20,20 circa, alla vista del fumo, due vicini di casa, tra cui un vigile del fuoco volontario fuori servizio, salgono le scale della palazzina dirigendosi al primo piano dove era situato l’appartamento in fiamme. Trovano prima Mario Frigerio, riverso a terra, e lo allontanano dall’abitazione trascinandolo via per le caviglie verso una zona sicura del pianerottolo. La porta dell’appartamento avvolto dal fuoco è aperta e i due entrano senza indugio. Trovano immediatamente Raffaella Castagna distesa a terra ed esanime. Anch’essa viene trascinata per le caviglie sul pianerottolo. Frigerio, in fin di vita, con le poche forze rimastegli indica con il dito ai due soccorritori il piano di sopra dal quale provengono urla strazianti di una donna. Purtroppo, però, il fumo, che si sta propagando a dismisura al primo piano e su per le scale, ha già reso l’aria irrespirabile e i due devono desistere dall’intento di salire. Poco dopo arrivano i vigili del fuoco che spengono l’incendio e rinvengono i corpi senza vita del piccolo Youssef e della nonna materna Paola Galli. Al secondo piano viene trovato il cadavere di Valeria Cherubini, moglie del Frigerio. Quest’ultimo, nel frattempo, viene portato d’urgenza all’Ospedale Sant’Anna, in provincia di Como, dove sarà operato. Si risveglierà dall’anestesia dopo due giorni.
Gli accertamenti tecnici operati dagli investigatori della scientifica dei Carabinieri evidenziano che gli aggressori erano in due, di cui uno mancino, armati di due coltelli, uno a lama lunga e uno a lama corta, e di una spranga. Inizialmente le indagini si dirigono verso Azouz Marzouk, marito di Raffaella Castagna e padre del piccolo Youssef, un tunisino di 26 anni con precedenti penali per spaccio di stupefacenti uscito dal carcere grazie all’indulto. Ma Marzouk, quel giorno, era ancora in Tunisia dai suoi genitori.
Emergono, invece, dei sospetti sui vicini di casa che abitano al piano terra, Angela Rosa Bazzi, che tutti chiamano Rosa, e Olindo Romano, due coniugi senza figli che assumono dei comportamenti anomali, primo tra tutti l’esibizione spontanea di uno scontrino del McDonald’s di Como quale alibi della loro assenza da Erba nel momento della strage. In realtà, i carabinieri avevano suonato al campanello della coppia semplicemente per domandare se avessero sentito rumori, senza chiedere nulla in merito alla loro presenza o meno nella palazzina negli orari in cui si era consumato l’atroce delitto. Ai carabinieri, però, sorgono altri sospetti nel momento del breve colloquio sull’uscio di casa dei Romano. Infatti, Olindo presenta un vasto ematoma al braccio e delle vistose escoriazioni alle mani. Rosa, invece, ha un cerotto su un dito dal quale si intravedono segni di sangue recenti.
 
1.2. La ricostruzione della “mattanza”
Il 9 gennaio 2007, in seguito ad un lungo interrogatorio, i coniugi Romano vengono arrestati in quanto fortemente sospettati in relazione ai fatti. Olindo viene indagato per omicidio plurimo aggravato, Rosa per favoreggiamento. I RIS, però, indicano che vi sarebbe un altro soggetto quale altro esecutore della strage, un soggetto mancino come lo è Rosa Bazzi. Due giorni dopo, l’11 gennaio 2007, i due confessano il delitto ai magistrati inquirenti Massimo Astori, Antonio Nalesso e Mariano Fadda. Una confessione, avvenuta separatamente e talmente ricca di particolari che, in alcuni punti, coincide perfettamente con i risultati degli esami autoptici eseguiti sulle vittime.
Rosa Bazzi riferisce agli inquirenti quanto segue: «È vero, ci pensavamo da tanto tempo. Non ne potevamo più da anni di quelli lì, non si poteva andare avanti. Siamo stati noi…»[1]. «Quella sera volevamo solo dare una bella lezione a quella del piano di sopra. Eravamo stanchi della maleducazione sua e dei suoi parenti ed amici. Odiavamo anche suo padre, Carlo Castagna»[2].
Sono le 19,50 dell’11 dicembre 2006 e i coniugi Romano, pronti ad entrare in azione, indossano dei guanti per non lasciare impronte. Qualche ora prima, Olindo pare avesse già staccato la corrente elettrica che alimenta casa Castagna[3]. Rosa sale su al primo piano della palazzina e bussa alla porta di Raffaella Castagna. La scusa per farsi aprire è quella di parlare di un processo penale in corso[4], nato da una querela per aggressione sporta da Raffaella nei confronti di Rosa. Olindo attende sulle scale con il cric del suo camper[5]. Quando Raffaella apre la porta, Olindo come una furia si avventa sulla donna e la colpisce sulla testa con violenza. Raffaella cade a terra e Olindo si avventa immediatamente contro Paola Galli, la madre, colpendo violentemente anche lei sul capo. Una volta che le vittime sono a terra, esanimi, Olindo e Rosa si accaniscono su di loro con i coltelli. Raffaella riceve dodici coltellate anche se, il referto autoptico, dirà che il colpo alla testa è stato quello fatale. Mentre Olindo si assicura che le vittime siano morte, Rosa corre nell’altra camera dove c’era il piccolo Youssef. «Mentre mio marito era di là con loro due io ho ammazzato il bambino. L’ho ucciso con una coltellata, alla gola» ha confessato agli inquirenti Rosa Bazzi. Il bimbo aveva delle ferite da taglio al braccio, segno evidente che la povera creatura ha cercato in qualche modo di difendersi dal mostro che aveva appena massacrato la sua mamma e la sua nonna e che, in quell’istante, voleva prendersi anche la sua innocente vita. Nel frattempo, i coniugi Frigerio, Valeria Cherubini e Mario, che abitano al piano superiore, hanno appena finito di cenare. La Cherubini vorrebbe scendere per portare fuori il cane, ma il marito le consiglia di attendere che il “solito baccano” proveniente dal piano di sotto termini. Infatti, non erano infrequenti le grida provenienti dall’appartamento di Raffaella Castagna. Grida dovute ai frequenti litigi tra lei e il compagno Azouz Marzouk, connotati anche da violenza fisica tra i due, ai quali tutti i residenti della palazzina erano abituati, tanto è che nessuno, in quell’occasione, si è minimamente allarmato.
Sono le 20 e il “primo atto” del massacro è terminato. La calma nel Condominio del Ghiaccio è tornata. In realtà, i coniugi Romano stanno silenziosamente procedendo nel loro diabolico piano, raccattando tutto ciò che può facilmente essere incendiato. Volevano cancellare qualsiasi prova in quell’appartamento divenuto un mattatoio di esseri umani. Valeria Cherubini, fidandosi di quella calma apparente, esce di casa per portare fuori il cane. Questione di qualche minuto e la donna rientra nella palazzina. Nel frattempo, Olindo e Rosa appiccano il fuoco, cominciando dagli abiti di Raffaella Castagna. Sono circa le 20.15. In questo istante inizia a delinearsi anche l’atroce destino di Valeria Cherubini. «Mentre stavamo uscendo si è sentito il rumore di qualcuno che arrivava dalle scale» racconta, nella sua confessione, Olindo Romano. La Cherubini vede del fumo uscire dall’abitazione dei Castagna. Si affretta a salire le scale per andare nel suo appartamento al secondo piano ad avvisare il marito Mario Frigerio. Quest’ultimo scende al piano sottostante per verificare quanto stava succedendo. La Bazzi e il Romano attendono alcuni istanti all’interno dell’appartamento aspettando la loro prossima vittima “non prevista”. Olindo apre la porta di scatto e si trova davanti Frigerio. Lo colpisce scaraventandolo a terra. Frigerio è riverso al suolo e Olindo, con una coltellata, gli taglia la gola. Valeria Cherubini si mette a urlare, cerca di risalire le scale per trovare rifugio nel suo appartamento ma viene raggiunta da Olindo e Rosa che la uccidono a coltellate. Il fuoco avanza e i coniugi Romano devono fare in fretta anche se, nel frattempo, stanno arrivando i vigili del fuoco e le ambulanze. Percorrono a ritroso circa quindici metri per andare nel loro garage senza essere notati. Si cambiano, si lavano e mettono gli abiti sporchi e le armi in un sacco della spazzatura. Poi, ancora senza esser visti da nessuno, si mettono a bordo della loro Seat Arosa grigia e partono alla volta di Como per gettare il sacco e crearsi un alibi. Olindo, che lavora come netturbino, conosce bene i “giri” che fa l’immondizia, pertanto sa già dove gettare tutte le prove: un cassonetto che viene svuotato ogni giorno di buon mattino da un camion dotato di compattatore, il quale porta il suo contenuto direttamente ad un inceneritore della nettezza urbana. Dopo aver gettato il sacco, i Romano cenano presso un McDonald’s di Como conservando con la massima cura il loro “alibi”, lo scontrino[6]. Otto euro e venticinque centesimi di cena a base di gamberi e bacon acquistata alle 21,37, poco più di un’ora dopo l’assassinio dell’ultima vittima[7] [8].
 
1.3. Le prime confessioni di Rosa e Olindo
Il 9 e 10 e gennaio 2007, Rosa Bazzi e Olindo Romano, già in stato di arresto dal 9 gennaio, vengono interrogati separatamente dagli inquirenti che hanno già capito chi è, dei due, l’elemento “debole” della coppia. Infatti, come si evince da un’intercettazione ambientale del 10 gennaio 2007, Olindo, dopo il secondo interrogatorio con gli inquirenti, sembra si sia convinto a raccontare la “verità” e a convincere Rosa a fare altrettanto. Ma quale verità? Di seguito lo stralcio dell’intercettazione effettuata dai Carabinieri[9] durante l’incontro che è stato concesso ai due dopo il secondo interrogatorio dell’uomo:
  • Olindo: Ascolta…
  • Rosa: Si?
  • Olindo: Ho parlato con il magistrato.
  • Rosa: Eh.
  • Olindo: Lui mi ha detto che se vogliamo far finire questa storia qui…
  • Rosa: Sì???
  • Olindo: …di dire la verità.
  • Rosa: Ma non c’è niente da dire…
  • Olindo: Lui mi ha detto così. Io ho pensato… Ho pensato questo…
  • Rosa: Non c’è niente, Olli, è tutto stato… Una cosa che hanno… Hanno fatto tutto loro, ancora adesso torno a ripeterglielo, glielo ho detto cento volte.
  • Olindo: Loro mi hanno spiegato la situazione in termini pratici…
  • Rosa: Ho capito…
  • Olindo: Mi ha spiegato e mi ha detto che… Loro ci tengono qui perché devono fare ancora delle indagini…
  • Rosa: Sì.
  • Olindo: Se per disgrazia trovano qualcosa, ti processano e ti danno l’ergastolo. Se invece confessi, hai le attenuanti e il rito abbreviato. Dici la verità, che la moglie non c’entra niente ti ha fatto solo l’alibi ecc., ecc… E non becchi niente…
  • Rosa: Ma non è vero, Olli.
  • Olindo: E io becco le attenuanti e finisce tutta la storia.
  • Rosa: Non è vero Olli… Non è vero…
  • (…)
  • Olindo: E non… Non so. O se continuare così… Lasciare fare quello che devono fare… E dopo prendere poi quello che si prende… E se non si dice… Si fa la confessione…
  • Rosa: Ma che cosa c’è da confessare… Non siamo stati noi…
  • Olindo: Lo so aspetta… Per tagliare le gambe al toro… Metti che sono stato io…
  • Rosa: Ma quando sei andato su?
  • Olindo: Non lo so.
  • Rosa: Dimmi quando sei andato su???
  • Olindo: Lo so Rosa, ma è per far finire questa storia qui…
  • Rosa: Ma perché devi dire che non è??? Non è vero niente Olli. Sai che non è vero niente tutta questa cosa… Ancora adesso io lo dico… E torno sempre a ripetere… Ti pesa così tanto?
  • Olindo: Stare dentro sì.
  • Rosa: Cosa vuoi fare?
  • Olindo: Non lo so. Se facciamo così prendiamo anche dei benefici e ce ne andiamo a casa.
  • Rosa: Ma cosa vado a fare Olli? Vuoi che esco di qua e mi butto sotto un treno?
  • (…)
 
Il 10 gennaio 2007, probabilmente dietro la spinta delle parole proferite da Olindo nel colloquio avvenuto poche ore prima, Rosa decide di auto accusarsi. L’interrogatorio inizia alle ore 15,25: «Intendo rendere piena confessione, ho fatto tutto da sola, mio marito non c’entra nulla. Da tempo ero esasperata. Ci hanno reso la vita impossibile con i loro furiosi litigi, rumori e la vita disordinata. Poi lui un po’ mi faceva paura, mi minacciava e mi molestava in continuazione con ripetute irrisioni sue e dei suoi amici. Più di una volta mi dissero con tono insolente che mi avrebbero scopata. Lui a volte veniva a sbottonarsi i pantaloni in modo osceno davanti alla mia finestra. Nel sottopasso del garage mi aveva minacciato più di una volta con un coltello. Ho riferito questo episodio a mio marito il quale diceva sempre che prima o poi gli avrebbe spaccato la faccia. Questo mi ha fatto star male. Soffro di un insopportabile mal di testa». Questa è la prima versione in assoluto[10] della confessione di Rosa Bazzi in cui la donna si assume la responsabilità della strage. Rosa, subito dopo, racconta quanto segue: «A un certo punto ero fuori dalla corte a sistemare cose di casa quando ho visto arrivare Raffaella da sola a piedi, entrare a casa sua. Improvvisamente ho deciso di raggiungerla sul pianerottolo. L’appartamento era buio, credo che fosse uscita perché l’appartamento era buio. Io avevo staccato il suo contatore. Sono entrata portando con me un coltello da cucina e un arnese in ferro prelevato da mio marito da una discarica. L’avevo tenuto e pensavo di usarlo per il giardinaggio. Ho fatto tutto io. Mio marito era a casa, forse assopito. È arrivato dopo, quando stava bruciando la casa. Ammetto che però mio marito mi ha aiutato per l’incendio. Abbiamo ammucchiato un po’ di libri e di cose infiammabili e abbiamo dato fuoco. Dopo i fatti ci siamo liberati degli abiti sporchi, delle scarpe e delle armi. La macchia quella sera è sempre stata lì, contrariamente a quanto dichiarato da altri. Abbiamo buttato tutto in un cassonetto poco vicino al nostro condominio. Ci siamo disfatti del sacco»[11]. Olindo, quindi, secondo questa prima ricostruzione di Rosa Bazzi, ha avuto un ruolo marginale nella vicenda. Ne emerge che entrambi stanno facendo di tutto per proteggere l’altro. Olindo, prima, come si evince dall’intercettazione ambientale, riferisce a Rosa di voler confessare e assumersi tutte le responsabilità del delitto. Rosa, in seguito, decide di fare altrettanto rendendo “piena confessione” delle uccisioni compiute come si rileva dal riassunto dell’interrogatorio di cui sopra.
Alle 16,00, sempre del 10 gennaio 2007, comincia anche un nuovo interrogatorio di Olindo. L’uomo viene informato dagli inquirenti che la moglie si è dichiarata colpevole e che ha confessato. Nell’occasione, a Olindo vengono altresì fatti ascoltare due minuti salienti della confessione di Rosa. L’uomo continua a ripetere che la moglie non c’entra nulla e che ha fatto tutto da solo. Giura di voler raccontare la verità e di essere disposto a pagare tutto quel che deve per quel che ha fatto, purché gli sia consentito di continuare a vedere la sua adorata compagna (questo ultimo aspetto sarà ripreso nell’analisi della relazione esistente tra Olindo Romano e Rosa Bazzi dal punto di vista criminologico). Il racconto dei fatti da parte di Olindo è confuso così come è stata confusa la ricostruzione di Rosa nell’interrogatorio precedente. Ad ogni modo, il destino dei due coniugi si delinea quando, nel corso del secondo interrogatorio di Rosa del 10 gennaio 2007, la donna fornisce una versione diversa dei fatti, includendo Olindo quale parte attiva “alla pari” nella strage. Da quel che emerge dalle registrazioni degli interrogatori, Rosa viene messa alle strette dopo che gli inquirenti le leggono quanto raccontato da Olindo nell’ultimo suo interrogatorio[12].
Le vicende processuali della strage di Erba sono state ricche di confessioni, ritrattazioni, colpi di scena processuali, elementi che non quadrano ecc. Oggi, Olindo Romano e Rosa Bazzi stanno scontando la pena dell’ergastolo rispettivamente nelle carceri di Opera e di Bollate. Hanno il permesso di incontrarsi una volta ogni quindici giorni. Mario Frigerio, il supertestimone, unico sopravvissuto alla strage che ha riconosciuto in Olindo la persona che ha tentato di ucciderlo[13], è morto dopo una lunga malattia nella notte tra il 15 e il 16 settembre 2014[14]. Sempre nel 2014, i difensori dei Romano affermano di avere nuovi elementi che permetterebbero la riapertura del caso e presentano un’istanza alle procure di Como e Brescia affinché siano eseguiti nuovi accertamenti. Le procure in questione si dichiarano incompetenti. Ad aprile del 2017 la Corte di Cassazione ammette al riesame alcuni dei nuovi elementi di prova. Nel mese di novembre 2017, la Corte d’Appello di Brescia concede di procedere a nuove analisi dei reperti ma, il 30 gennaio 2018, dichiara inammissibile l’incidente probatorio con le seguenti motivazioni: “La richiesta di incidente probatorio deve ritenersi funzionale a una, seppure futura ed eventuale, richiesta di revisione. Tale richiesta deve essere, seppur in astratto, rigorosamente orientata e in grado di scardinare le prove già acquisite e che hanno costituito il giudicato. In altri termini, la richiesta di incidente probatorio deve avere un’astratta potenzialità distruttiva del giudicato con il quale si deve in qualche modo confrontare”. Altrimenti, è il ragionamento dei giudici, sarebbe consentita “una ricerca indiscriminata della nuova prova funzionale alla revisione senza alcun vaglio”[15].
 
 
2. Criminali o malati?
 
2.1. Chi sono Rosa Bazzi e Olindo Romano?
Rosa Bazzi nasce il 12 settembre 1963 e cresce in un quartiere periferico di Erba. È la terza di tre sorelle. Il padre è operaio e la madre casalinga. La piccola Rosa studia poco ma parla moltissimo con tutti, anche con le bambole e coi personaggi che disegna e che inventa. Racconta un sacco di storie e bugie. È mancina e soffre di asma. Speso i bambini la prendono in giro. Lei non è forte ma ha nervi saldi e coraggio, così li mette tutti al loro posto. Finita la quinta elementare non vuole più andare a scuola. Divenuta abbastanza grande, comincia a fare le pulizie a ore. Poi si sposa con Olindo. La madre di Rosa: «Ha sposato un poco di buono, perché anche lei era così, una persona piena di veleno» (Corrias, 2007).
Siamo nel 2006: Rosa Bazzi è una donna puntuale e operosa, che vive per la sua casa. Anzi, Rosa “è la sua casa”. Settantacinque metri quadrati in cui il ritmo deve essere sempre uguale, senza intoppi, senza rumore e dove l’ordine e la pulizia regnano sovrani. Dopo l’arresto, un vicino di casa racconta che, all’alba di ogni giorno, Rosa usciva nella corte con il marito. Lui andava al lavoro, lei faceva i lavori di casa prima di andare a farli in casa di altri. Per via del fisico compatto e per la sua instancabilità, i vicini la chiamavano “il carrarmato”. Rosa faceva sacrifici enormi e dedicava anima e corpo alla propria casa che era tenuta come un santuario. Nessun amico, nessuna frequentazione. I due coniugi si bastavano e non serviva nient’altro. Avevano ancora il mutuo da pagare. Il televisore al plasma lo vedevano solo nel pomeriggio e il loro camper lo usavano solo per brevi gite a pochi chilometri da casa “così non si consumava”. «Era così pulito da sembrare fresco di concessionaria. Lo pulivano ogni giorno, come se fosse il loro bambino» ha raccontato un vicino. Un figlio, in realtà, lo hanno cercato, ma è andata male per due volte: una gravidanza extrauterina e un’altra non portata a termine. Non si poteva parlare con Rosa dell’argomento “bambini” e, tanto meno, delle sue gravidanze andate male. I bambini, poi, non erano ben visti dalla donna, soprattutto quelli piccoli e “rumorosi”. Ogni vicino si ricorda di lei che spinge via il piccolo Youssef che si avvicina troppo al camper con la sua bicicletta. Lei che sale a bussare perché “quel bambino non fa altro che strillare”. Un testimone di nozze di Raffaella Castagna, racconta che, per eliminare i rumori, il padre della donna aveva fatto installare un pavimento in cotto fiorentino alto una spanna, ma anche questo non bastava. Raffaella chiedeva agli ospiti di togliere le scarpe e si raccomandava di non muovere le sedie, ma Rosa saliva lo stesso a lamentarsi e ad insultare.
Rosa, fuori da casa, era una donna simpatica. Ma quando rientrava nel suo “fortino” di via Diaz, diventava un despota che si rivolgeva ai vicini con parole velenose. Ne aveva sempre per tutti, tanto è che le avevano affibbiato il nomignolo di “Isterichina”. Dovunque si sia trovata, Rosa ha avuto sempre un atteggiamento rigido e inflessibile. Quando viveva a Canzo con sua madre, erano grane continue con i vicini.
Nei giorni successivi alla strage, Rosa era cambiata. Tutti, all’esterno della corte di via Diaz, nelle sue brevi uscite tra supermarket e pizzeria da asporto, avevano notato un certo buonumore nonostante la carneficina che si era consumata a pochi metri dalla sua casa. «Meno male che eravamo in pizzeria, altrimenti se venivano a sapere della causa che avevamo con loro, tiravano in mezzo noi» aveva detto sorridendo ad una amica. Era diventata più gentile. «Quando non ci saremo più, vi ricorderete di una vicina di casa come me» aveva detto a Mohamad, un vicino di casa siriano. Con i giornalisti ciondolava con la testa e ricordava il bambino. «Vivace, ma bello, mi piaceva averlo intorno» aveva detto. «Come faccio a sapere chi è l’assassino? Non so neanche chi è l’amante di mio marito». Suonava fuori luogo quell’euforia. Ma era sincera. Quella era una donna felice. La casa era diventata di nuovo pulita, tutto in ordine. Rosa aveva fatto le “pulizie”[16].
Olindo Romano nasce ad Albaredo per San Marco (Sondrio) il 10 febbraio 1962. Dopo aver lavorato per anni come autista di mezzi pesanti, nel 1996 entra in servizio come netturbino alla Econord S.p.A., azienda di raccolta e smaltimento dei rifiuti. I colleghi di lavoro raccontano che Olindo si faceva sempre gli affari suoi ma non disdegnava di scherzare con loro. Lo descrivono come un “bonaccione”. A ridosso di quell’11 dicembre, si era preso qualche giorno di ferie “per riposare”. Uno si ricorda che una volta aveva commentato così la strage di Erba: «Proprio non riesco a immaginare chi ha potuto fare una cosa del genere»[17].
Olindo e Rosa, appena sposati, vanno a vivere a Proserpio, un paesino di novecento anime in cui era cresciuto l’uomo. Un amore, il loro, che era diventato immediatamente un “patto contro gli altri”. Prima dell’arrivo di Rosa, Olindo, che in paese di faceva chiamare sin da piccolo Carmine, era un ragazzo come tanti altri. Gli piaceva giocare a pallone in piazza, davanti alla chiesa di San Rocco. Primogenito di quattro fratelli, si sentiva diverso da loro perché i genitori, quando lui nacque, non erano ancora sposati. Il padre, deceduto qualche anno prima, aveva avuto una vita difficile: operaio frontaliere, partiva il lunedì mattina e tornava il sabato. I quattro bambini, Olindo, Piero, Lino e Agata li ha tirati su mamma Piera. Olindo, da poco sposato, ad un certo punto rivendica parte della casa dove vivono, in appartamenti diversi, i fratelli. Dice che l’aveva fatta anche lui. Il litigio arriva fino alla piazza. Da allora, per i suoi familiari, Olindo sparisce. Piera, l’anziana madre di Olindo, racconta ai giornali: «Mio figlio è innocente. È in carcere per colpa di Bazzi Rosa. Era lei che comandava. Tutte le vigliaccherie che poteva fare, le ha fatte. Se mi viene sotto Bazzi Rosa io l’ammazzo. (…) La madre (di Rosa) era una vipera, velenosa come l’aspis. Il padre era un grande ubriacone…»[18].
 
2.2. Coppie criminali e “folie à deux”
Dal giorno in cui si sono delineate le responsabilità dei fatti di Erba, quanto meno da un punto di vista processuale, criminologi, psichiatri e psicologi hanno iniziato ad interrogarsi sulle possibili cause che hanno portato due persone dalla vita ordinaria e senza particolari problemi di natura economica, a premeditare un delitto di siffatta crudeltà. Di fatto, Olindo e Rosa sono entrati a pieno titolo in quella categoria di assassini che vengono definiti, in gergo, coppia criminale.
Il fenomeno della coppia criminale è abbastanza raro in quanto la maggioranza dei crimini vengono ideati e commessi da singoli soggetti che possono coinvolgerne altri in modo casuale. Naturalmente, in questo contesto sono da escludersi criminali organizzati, cioè soggetti dediti ad attività illecite come rapine, estorsioni, spaccio di stupefacenti ecc. Qui parliamo di assassini che agiscono spinti da moventi assai particolari, i quali non necessariamente instaurano tra loro il legame tipico della coppia criminale di cui si parlerà tra poco.
Come sopra rappresentato, il fenomeno della coppia criminale è poco comune ma in letteratura possiamo ritrovare diversi esempi di coppia criminale che portano a pensare, per via del tipo di relazione intercorrente tra i due componenti, dei moventi e della ferocia con cui è stato commesso il crimine, che si tratti di qualcosa che sfugge all’umana comprensione e che debba essere messo unicamente nelle mani della criminologia e della psichiatria. Alcuni fulgidi esempi di coppie criminali dei nostri giorni e del nostro Paese, oltre a Olindo Romano e Rosa Bazzi, sono stati Erika De Nardo e Mauro “Omar” Favaro (delitto di Novi Ligure), Alexander Boettcher e Martina Levato (coppia dell’acido), il medico di pronto soccorso Leonardo Cazzaniga (l’angelo della morte) e l’infermiera Laura Taroni. Vendetta, odio, perversione, denaro: possono essere diversi i moventi che spingono la coppia criminale ad agire. Oltre l’esaltazione del loro esclusivissimo rapporto e la forte dipendenza psicologica, troviamo in queste coppie qualcosa di terribile che sfugge a qualsiasi tipo di interpretazione razionale.
Il fenomeno delle coppie criminali è stato studiato molto poco. Il primo ad occuparsene fattivamente è stato Scipio Sighele (1868-1913)[19], sociologo e criminologo italiano che, nella terza edizione della sua opera “La coppia criminale” pubblicata nel 1909[20], suddivise le coppie criminali come segue:
  1. gli amanti assassini: in questi casi, come facilmente si intende, è la suggestione d’amore che ha una grandissima parte. Spesso un amante può spingere l’altro al delitto. Dei due amanti, l’uno è un perverso e l’altro un debole, per cui questi diventa strumento dell’altro. Il legame che unisce l’incube al succube è l’amore sessuale nelle sue forme colpevoli o patologiche, e il delitto commesso ha sempre la sua origine, o per lo meno una delle sue cause, in questo amore, sia che sia vicendevole e corrisposto, sia che parta da uno degli amanti e sia dall’altro semplicemente subito. Spesso due amanti si associano per passione d’amore, ma molto spesso due amanti si associano per motivi più turpi e più antisociali, ad esempio per cupidigia;
  2. la coppia infanticida: il cui delitto che nasce come conseguenza spontanea, se non necessaria, dall’amore illecito. Tutto ruota intorno alla prova della colpa che occorre fare scomparire; è il bambino – il quale, uscendo alla vita, accusa la madre – che bisogna sopprimere. L’infanticidio è il delitto specifico delle campagne e delle classi meno colte, che non hanno la furberia di sostituirlo con l’aborto; sono casi in cui si potrebbe quasi dire che la responsabilità del delitto ricade intera su uno solo dei due individui che compongono la coppia criminale, giacché l’altro non fa che prestare – costretto – il suo aiuto incosciente e meccanico;
  3. la coppia familiare: è assai facile che ove in una famiglia vi sia, vicino a un malvagio, un individuo di scarso senso morale, il primo sappia corrompere il secondo. La dimestichezza e la vita in comune sono condizioni favorevolissime al sorgere e allo svilupparsi di una suggestione criminosa. In questi delitti familiari, in cui lo scopo è quasi sempre quello del lucro, in cui non c’è quasi mai una scintilla di una passione meno turpe che possa gettare sui colpevoli almeno una pallida scusa, più che l’incontro di un perverso e di un debole e la corruzione lenta di questo per opera di quello, avviene l’incontro di due perversi che non hanno bisogno di molto tempo per intendersi e per associarsi. Certamente esiste anche fra di essi un rapporto di dipendenza e l’uno agisce per impulso dell’altro, ma le singole parti non sono così diverse e così distinte come in altri casi. Non mancano tuttavia dei casi in cui l’influenza suggestiva dell’uno sull’altro è – anche nella coppia familiare – assai più intensa e in cui si ritrovano veramente coi loro caratteri spiccati i due tipi dell’incube e del succube;
  4. la coppia di amici: sorge, per lo più, nell’ambiente del carcere o in quelle taverne ove si riuniscono, insieme ai delinquenti, i vagabondi, gli spostati e gli oziosi, tutti i candidati, insomma, che attendono di prendere il loro posto nell’esercito del delitto. L’amicizia è anch’essa una condizione favorevole allo svolgersi di una suggestione criminosa, nel caso in cui uno degli amici sia un perverso e l’altro, psicologicamente, un debole[21].

Una patologia di coppia, non necessariamente criminale, chiamata folie à deux (letteralmente “follia a due”), è un fenomeno descritto per la prima volta da Lasegue e Falret nel 1877[22]. In termini medici, la folie à deux è chiamata disturbo psicotico condiviso[23] o sindrome delirante indotta[24]. Tale patologia “a due” nasce quando un soggetto inizia a manifestare una psicosi causata dalla relazione con un altro soggetto che è già affetto dalla stessa patologia psichiatrica. In sostanza, è una sorta di “contagio” di tipo psichiatrico causato dal semplice fatto che i due soggetti sono in una relazione caratterizzata da un lungo vissuto insieme. Spesso tale vissuto è connotato da una buona dose di isolamento sociale. Nella follia a due, la psicosi consta generalmente in un disturbo delirante di tipo persecutorio in cui le convinzioni del primo, il soggetto che ne era già affetto, chiamato induttore o caso primario, vengono condivise con l’altro, integralmente o solo in parte. Chi viene contagiato non è detto debba necessariamente essere predisposto a sviluppare patologie psichiatriche né che debba esserne già affetto, quindi può essere un soggetto del tutto sano. Tuttavia, la fragilità psicologica di chi subisce l’influenza dell’induttore è un fattore determinante per l’insorgere del disturbo. Se la relazione con il caso primario viene interrotta, le convinzioni deliranti di chi ha subito l’influenza del caso primario cessano (Caponnetto et al., 2013).

 
2.3. Le perizie psichiatriche
I giudici che si sono occupati della strage di Erba, con diverse argomentazioni hanno sempre rigettato l’istanza di una perizia psichiatrica. La prima volta perché il perito aveva operato la sua analisi unicamente su fonti documentali senza mai aver incontrato gli imputati. Mentre, nel ricorso in Cassazione, quest’ultima ha sentenziato che non “può essere la sola efferatezza del delitto a suggerire la necessità di una perizia per valutare l’imputabilità, poiché non esiste alcun binomio automatico tra ferocità dell’aggressione e malattia mentale.  Al contrario, si deve dar rilievo ai comportamenti tenuti prima e dopo il fatto dagli imputati che, dimostrando un forte controllo di sé e agendo per costruirsi un alibi, possono essere ritenuti espressivi di un ‘non interrotto contatto con la realtà’”[25].
Nel quadro delle valutazioni di tipo psicologico e psichiatrico, è innanzitutto da evidenziare quanto affermato dalla psicologa del carcere di Como che ha seguito Olindo e Rosa durante la custodia cautelare. Olindo Romano raccontò alla dottoressa Graziella Mercanti di aver fatto un patto comune di suicidio con la moglie perché non riuscivano a contemplare una vita separata. Nella sua deposizione, la Mercanti disse quanto segue: «L’impossibilità di stare insieme era per loro annichilente tanto che Olindo ripeteva che, se non avesse potuto scontare la pena con la moglie, l’avrebbe fatta finita, smettendo di alimentarsi… se anche dovessi uscire dal carcere – ripeteva l’imputato – non ce la farei senza di lei». «E anche Rosa – ha aggiunto la dottoressa – parlava di suicidio e ripeteva di continuo che la sua esistenza era finita». La seconda più interessante deposizione è stata quella della psichiatra Nunzia Chieppa, assunta dalla difesa dei Romano, la quale ha spiegato che «è evidente che siamo di fronte a una patologia di coppia che rientra nei casi di schizofrenia paranoide. I due vivevano e vivono in una sorta di bolla e si sentono perseguitati dal mondo esterno, con cui non vogliono entrare in contatto. In più la vita di coppia di Rosa e Olindo non è strutturata su un rapporto di parità come lo intendiamo tra adulti, ma, al contrario, Rosa è una bimba che, col suo atteggiamento, condiziona le azioni di Olindo, una sorta di marito-padre. Per dirla alla francese, siamo in presenza di una folie à deux, una follia a due»[26].
Poi è stata la volta del professor Filippo Borgetto e del suo team (con Borgetto in tutto tre psichiatri) i quali, nella loro relazione, hanno affermato che Rosa Bazzi e Olindo Romano erano affetti da un disturbo delirante, una psicosi cronica che si sviluppa gradualmente e decorre per lungo tempo. Una patologia caratterizzata da idee deliranti ben organizzate, di persecuzione e rivendicazione. Infatti, “all’origine della strage vi potrebbe essere un’ideazione delirante che si costruisce, si stabilizza e si consolida in condizioni di isolamento sociale e che può portare a comportamenti violenti causati da fattori scatenanti. La pianificazione degli omicidi sarebbe dovuta ad una fortissima dipendenza reciproca tra i coniugi connotata in modo evidente dalla forte dipendenza di Olindo dalla moglie. Sussisterebbe, quindi, uno squilibrio psichico in relazione al quale effettuare approfondimenti. La confessione prodotta da Olindo e Rosa durante gli interrogatori, denuncerebbe inoltre una straordinaria freddezza, un distacco, una mancanza di risonanza emotiva e di coinvolgimento affettivo”[27].
 
2.4. Focus su psicosi, disturbo delirante e schizofrenia paranoide
Nei due paragrafi precedenti si è argomentato in relazione al possibile quadro patologico di Rosa Bazzi e Olindo Romano. I due, a quanto risulta dalle perizie effettuate dalla difesa, sembrerebbero affetti da disturbo psicotico condiviso (“folie à deux”) in cui Rosa Bazzi risulterebbe l’induttore (caso primario) e Olindo Romano il “contagiato”. Ora, però, risulta necessario, ai fini di una migliore e più comprensibile esposizione del presente lavoro, chiarire il significato e la portata dei disturbi citati nel caso della trattazione della folie à deux e dai periti di parte dei Romano, precisando che, nel campo della psichiatria, spesso non si trovano linee nette di pensiero circa le caratteristiche di disturbi e malattie mentali.
“Psicosi” è un termine generico con cui ci si riferisce ad una serie di disturbi psichiatrici caratterizzati da una grave alterazione dell’equilibrio psichico. Chi ne è affetto non ha una corretta visione della realtà, non riesce spesso ad avere cognizione della propria patologia e ha di frequente disturbi del pensiero quali deliri e/o allucinazioni. Esistono differenti tipi di disturbi psicotici tra i quali troviamo i disturbi di contenuto del pensiero. Tra questi, vi è il “disturbo delirante”.
Il disturbo delirante è, appunto, caratterizzato da deliri cioè falsi convincimenti. Per avere una diagnosi di disturbo delirante, i sintomi devono essere presenti per almeno un mese senza altri sintomi tipici della schizofrenia. Infatti, qualora fossero riscontrati sintomi di schizofrenia, il paziente sarebbe affetto da quest’ultima patologia. I deliri possono essere:
  • “non bizzarri”, cioè riguardanti situazioni come la sensazione o il timore di essere seguiti, avvelenati, infettati, amati a distanza o essere ingannati o traditi dal proprio partner;
  • “bizzarri”, cioè concernenti situazioni assai improbabili come credere di essere stati vittima di una asportazione di organi interni senza avere cicatrici da sutura.

Il disturbo delirante non è molto diffuso e insorge generalmente in media o tarda età. Il funzionamento dal punto di vista psicosociale non viene compromesso e i problemi, normalmente, sono connessi unicamente alle convinzioni deliranti[28]. È da evidenziare che non vi sono pareri unanimi in tal senso. Infatti, diversi autori sostengono che i soggetti davvero affetti da un disturbo delirante, non hanno una vita normale sotto il profilo psicosociale.

Nel suo intervento quale consulente di parte della difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi, la psichiatra Nunzia Chieppa afferma la presenza di una “schizofrenia paranoide”. La schizofrenia è una psicosi caratterizzata da perdita del contatto con la realtà e una serie di manifestazioni come allucinazioni, deliri, linguaggio e comportamento disorganizzati, appiattimento dell’affettività, deficit cognitivi e malfunzionamento occupazionale e sociale. La causa è sconosciuta, ma vi è una forte evidenza di una componente genetica. I sintomi di solito esordiscono nell’adolescenza o nella prima età adulta. Uno o più episodi sintomatici devono persistere almeno sei mesi prima che venga formulata la diagnosi. Il trattamento consiste nella terapia farmacologica, nella psicoterapia e nella riabilitazione[29]. La schizofrenia paranoide è la tipologia più comune di schizofrenia[30]. Il quadro clinico è caratterizzato da deliri relativamente stabili di tipo persecutorio solitamente accompagnati da allucinazioni soprattutto di natura uditiva (sentire le voci) e disturbi della percezione[31]. I sintomi della schizofrenia paranoide hanno un effetto assai negativo sulla qualità della vita e la malattia non è reversibile benché si possano ottenere buoni risultati con un idoneo trattamento farmacologico[32].
 
 
3. Analisi neurosociologica degli autori e della criminodinamica della strage
 
3.1 Follia a due: l’incastro perfetto
La folie à deux appare la spiegazione più plausibile del comportamento dei coniugi Romano, non solo nel merito di quanto è accaduto la sera dell’11 dicembre 2006 ma in relazione a tutto il loro vissuto insieme. Prendendo come riferimento le storie di vita di Rosa e Olindo, prima e dopo l’inizio della loro relazione sentimentale, unitamente al profilo psicologico-psichiatrico tracciato dagli esperti, i due sembrano incarnare alla perfezione i due elementi “tipici” di una relazione patologica destinata a sfociare in un disturbo psicotico condiviso. Rosa è una donna dal carattere forte, una maniaca dell’ordine e della pulizia, un “carrarmato” come l’hanno definita i vicini. È altresì una persona fortemente intollerante, soprattutto se si tratta del suo “fortino”, la sua casa, e delle sue cose come il camper. Infatti, le modalità di relazionarsi socialmente con gli altri mutano grandemente a seconda che il suo ambiente di vita sia potenzialmente in pericolo o meno: nella corte dove abita la conoscono tutti come una persona assai sgradevole, molto poco incline ai rapporti interpersonali e sempre pronta a rimproverare tutti. L’“Isterichina” l’avevano soprannominata. Sul posto di lavoro, invece, è una persona gentile, gradevole e disponibile. La parlantina da “macchinetta” è, poi, un’altra sua caratteristica, sia nel bene che nel male. Anche dal suo vissuto nella famiglia d’origine emergono delle particolarità. Innanzitutto, arriva a conseguire solo la licenza elementare. Questo è un dato importante perché parliamo di una donna nata nel 1963, quindi in data successiva alla riforma scolastica che ha portato l’obbligo di istruzione a 14 anni[33]. Risulta chiaro che Rosa abbia avuto dei genitori tutt’altro che responsabili nel crescere i propri figli ma anche noncuranti della legge. Rosa se la ricordano tutti come una che parlava moltissimo con tutti ma che racconta un sacco di bugie. Di norma, i bambini raccontano tutti delle bugie, fa parte della crescita, ma se Rosa viene ricordata da chi la conosceva per questa caratteristica, potrebbe essere che la menzogna, per lei, non fosse una semplice modalità infantile di sperimentarsi. I bulli, poi, non sono mai stati un problema: ha sempre saputo come metterli al “loro posto”, chissà come. Quando Rosa si sposa con Olindo, di lei la madre dice: «Ha sposato un poco di buono, perché anche lei era così, una persona piena di veleno» (Corrias, 2007). Gli elementi che scaturiscono da queste narrazioni sull’infanzia e l’adolescenza di Rosa Bazzi, lasciano intravedere un ambiente sociale primario assai critico nonché una personalità molto particolare fin dall’infanzia.
Olindo, invece, è un omone di un metro e sessantasei per cento chili di peso cresciuto con il complesso di essere figlio di persone non sposate. Infatti, come si è detto in precedenza, quando lui nacque i suoi non erano ancora uniti in matrimonio. È descritto dai suoi colleghi (ormai “ex”) di lavoro come un uomo riservato ma anche capace di scherzare, un “bonaccione”. Nel suo ambiente sociale d’origine, con la sua famiglia e con i suoi conoscenti, cambia quando conosce Rosa: da “ragazzo della piazza” a cui piace giocare a pallone davanti alla chiesa del paese, si chiude nella morbosa relazione con la moglie e inizia a rivendicare ciò che reputa suo di diritto, una parte della casa familiare, fino ad arrivare alle mani con i suoi fratelli. Dopo quell’episodio, “taglia i ponti” con la sua famiglia. Appare come uno che ha vissuto da represso nelle emozioni e nelle aspirazioni. La parola d’ordine che ha sentito sempre riecheggiare nelle sue orecchie è “sgobbare”. Primogenito cresciuto senza la presenza paterna, in quanto il padre faceva ritorno a casa solo la domenica a causa del lavoro, Olindo ha probabilmente trovato in Rosa la sua occasione di riscatto sociale. Rosa Bazzi, l’induttore, una persona dal carattere forte e con apparenti qualità di donna e madre perfetta capace, allo stesso tempo, di far sentire Olindo, il “debole”, il “contagiato”, importante come uomo, marito e potenziale padre dei propri figli. In realtà, come ha stabilito una delle perizie psichiatriche, l’ipotesi che Olindo abbia assunto il ruolo di “padre-marito” pronto a soddisfare i bisogni e le pretese della “moglie-bambina” Rosa, sembra avere parecchia sostanza.
 
3.2. Cervelli connessi
Dopo aver trattato della predisposizione psicosociale di una coppia in relazione all’insorgere di un disturbo psicotico condiviso, risulta necessario argomentare su come si innesca la relazione e su quali basi si fonda la dipendenza nella relazione patologica. Su questo fronte, le scoperte neuroscientifiche degli ultimi trent’anni e la visione neurosociologica dei processi di socializzazione possono fornire interessanti e plausibili ipotesi. La neurosociologia è la disciplina che studia le interazioni umane e la socializzazione in rapporto alle strutture e alle funzioni del sistema nervoso. Essa utilizza strumenti di analisi ed intervento sociologici supportati dalle conoscenze neuroscientifiche (Blanco, 2015). Grazie ai loro imponenti progressi, derivanti da nuove tecniche e tecnologie di indagine del cervello umano, a partire dagli anni Ottanta del XX secolo la neuroscienza ha iniziato a rispondere ai primi quesiti riguardanti le relazioni sociali, facendo emergere nuove branche delle scienze umane e sociali chiamate “neuroscienze sociali” o “neuroscienze delle relazioni umane”. Alla base di queste discipline vi è il concetto che il cervello è “progettato” per essere sociale. Non è più utile studiare unicamente il singolo individuo con le proprie caratteristiche, ma è assolutamente necessario osservare l’essere umano all’interno del suo ambiente sociale.
Con l’espressione “cervello sociale” si intende la nostra capacità di connetterci in modo automatico ed inconscio con il cervello di altre persone ogni volta che interagiamo con esse, anche solo per un istante. Questo avviene perché possediamo delle strutture nervose il cui compito è quello di garantire le interazioni con l’“altro diverso da noi” e l’instaurarsi di relazioni sociali che sono l’”arma” di sopravvivenza più importante per la nostra specie (Blanco, 2016).
Nello specifico, nel nostro cervello è presente una speciale classe di neuroni chiamati neuroni specchioche sono stati scoperti per la prima volta alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso dal Prof. Giacomo Rizzolatti e dalla sua equipe di ricercatori[34] all’Università di Parma. I neuroni specchio sono speciali neuroni che sono al contempo neuroni motori e neuroni sensoriali. Quando si attivano trasmettono i loro impulsi alla corteccia motoria[35] e, principalmente, codificano insieme percezione e azione. Si attivano quando compiamo un atto motorio finalizzato, cioè avente uno scopo, e allo stesso modo quando osserviamo un altro soggetto eseguire il medesimo atto. I primi esperimenti fatti sulle scimmie, prevedevano esercizi di afferramento, prensione, manipolazione e spostamento di oggetti. I risultati furono che il 20% dei neuroni di F5[36] si attivava sia quando la scimmia eseguiva determinati atti motori, sia quando osservava gli sperimentatori eseguire i medesimi atti motori. Pertanto, i neuroni specchio rispondevano anche ad azioni osservate, purché avessero un significato per la scimmia. La differenza con l’uomo risiede nel fatto che questi particolari neuroni, nell’uomo, si attivano anche quando l’atto motorio non è finalizzato.
Dopo numerose critiche, Marco Iacoboni e la sua equipe ripresero gli studi sui mirror in modo più approfondito. Analizzando ventuno malati volontari affetti da grave epilessia, assodarono definitivamente le proprietà dei neuroni specchio già osservate da Rizzolatti e colleghi nelle scimmie.
In sostanza, i neuroni specchio ci consentono di comprendere le azioni altrui ma anche di anticiparle. Ad esempio, quando osserviamo una persona prendere un bicchiere per portarlo alla bocca, nel nostro cervello si attivano gli stessi neuroni motori che si attiverebbero se l’atto di prendere il bicchiere per portarlo alla bocca lo stessimo compiendo noi stessi. In pratica, da un punto di vista esperienziale, noi effettuiamo degli atti motori anche quando vediamo qualcun altro eseguirli. Facciamo esperienza compiendo degli atti motori finalizzati e facciamo esperienza osservando gli altri compiere atti motori facenti parte del nostro repertorio motorio. Inoltre, i neuroni specchio si attivano anche per atti motori finalizzati che vengono uditi. Ad esempio, se sentiamo aprire una lattina di una bibita in una stanza accanto alla nostra dove non vediamo l’esecutore di quell’atto motorio, i nostri neuroni specchio si attivano come se l’atto lo stessimo compiendo noi stessi. Con i medesimi meccanismi, in noi viene simulato lo stato d’animo di una persona che non vediamo ma che sentiamo ridere, piangere o urlare dal dolore (Blanco, 2015). I neuroni specchio hanno un ruolo fondamentale anche nell’apprendimento, in quanto la base di quest’ultimo è di natura motoria. Inoltre, la scoperta dei neuroni specchio ha confermato le osservazioni compiute negli anni Settanta del secolo scorso dallo psicologo Meltzoff il quale studiò il comportamento imitativo di un bambino nato da soli quarantuno minuti. Per tutta la durata della nostra vita noi esseri umani imitiamo i nostri simili e ci rispecchiamo in essi. Le esperienze sociali sono la fonte del nostro saper vivere in tutti i sensi, dagli atti motori sino ad arrivare alla manifestazione delle emozioni. Come gli atti motori vengono riprodotti a livello esperienziale nel nostro cervello, allo stesso modo le emozioni di chi stiamo osservando hanno in noi il medesimo effetto. Io osservo il volto di una persona e le sue emozioni risuonano in me, perché mi rispecchio in essa. Questo il motivo per cui se un soggetto osserva un altro soggetto triste, i neuroni specchio relativi ai muscoli del volto dell’osservatore si attivano come quando egli stesso prova un sentimento di tristezza. Pertanto, i neuroni specchio ci permettono di sperimentare dentro di noi le emozioni provate da un nostro simile e condividere con lui la sua esperienza interiore (Rizzolatti e Sinigaglia, 2006). In sostanza, i neuroni specchio sono la base neurale dell’empatia.
L’empatia è la capacità di un individuo di immedesimarsi nell’altro, sia persona reale che immaginaria, come ad esempio il personaggio di un film. Il significato etimologico del termine empatia è “sentire dentro“. Grazie ad essa, infatti, possiamo relazionarci e condividere le stesse emozioni del nostro interlocutore semplicemente osservandolo o ascoltandolo. Sicuramente il senso che ha maggior rilievo è la vista ma, per esempio, possiamo entrare in empatia con un altro soggetto anche attraverso l’udito, tramite l’intensità, l’intonazione ed il ritmo del parlato. Ricordiamoci che, come detto in precedenza, il cervello è stato “progettato” per essere sociale. Ogni volta che due o più persone interagiscono, anche solo per qualche istante, connettono i loro cervelli. È impossibile non entrare in empatia con gli altri. Addirittura, se le interazioni sono frequenti e si realizza una vera e propria relazione sociale, si innescano deimeccanismi automatici di simulazione incarnata. Con simulazione incarnata si intende la capacità di riconoscere in coloro che osserviamo un qualcosa in cui ci immedesimiamo e di cui ci appropriamo tanto da farlo nostro. Alla base non vi è alcun ragionamento, ma una comprensione diretta che viene dall’interno (Blanco, 2018).
 
 
Conclusioni
La criminodinamica della Strage di Erba richiama più le gesta di un “commando militare” piuttosto che l’azione di due normali coniugi dalla vita altrettanto normale. Tanto è vero che questo è proprio uno tra gli elementi su cui si sono basati diversi esperti che hanno ricostruito l’accaduto e che hanno tentato di scagionare i coniugi Romano. Secondo la ricostruzione dell’accusa, alle 19.50 Olindo e Rosa sono pronti ad entrare in azione e già alle 20.20 l’incendio divampa. Ragionevolmente, quindi, la strage si è consumata nell’arco di una manciata di minuti. Troppo pochi per le capacità psicofisiche di un netturbino e una donna delle pulizie che, chiaramente, non hanno alcun addestramento alle spalle? Rosa sale al primo piano, Raffaella le apre la porta. Olindo si avventa con una spranga contro Raffaella fracassandole il cranio. Subito dopo Rosa le sferra numerose coltellate, mentre Olindo ha già colpito con la stessa modalità la madre di Raffaella, Paola Galli. Nel contempo Rosa è già in camera dove si trova il piccolo Youssef. Lo afferra mentre il bambino cerca di difendersi e lo sgozza. Tutto nella penombra, tutto senza destare particolare allarme nella palazzina di via Diaz. Mentre il fumo si sparge nel condominio, Rosa e Olindo attendono di sapere di chi siano quei passi che sentono fuori dall’appartamento Castagna. Olindo apre di scatto la porta e getta a terra Mario Frigerio, buttandoglisi subito dopo sopra e sgozzandolo. Le ultime urla di Valeria Cherubini in vita richiamano l’attenzione dei due mostri che, in modo fulmineo, salgono al secondo piano uccidendo a coltellate anche la povera donna e il suo cane. Immediatamente dopo i due assassini riescono a recarsi nel proprio garage senza essere visti, si lavano, si cambiano, occultano le armi e partono in direzione Como. Quindi, troppo poco tempo? Forse sì, ma in base a ciò che si è argomentato sino ad ora risulta probabile il contrario. Infatti, i cervelli di Rosa e Olindo erano connessi, fusi, un solo pensare e agire. Olindo e Rosa “abitavano” l’uno nella mente dell’altro. Nelle coppie criminali, in particolare questa coppia, i meccanismi di simulazione incarnata vengono esasperati fino a trasformarsi in un rapporto simbiotico caratterizzato da un’ossessività che esclude tutto il resto del mondo. Tutti gli altri sono invasivi e prepotenti, un nemico da combattere. Olindo è il tipico carattere vicariale, il secondo della relazione, un perdente, tanto è che lui si è reso conto fin da subito del massacro che stavano compiendo. Rosa, invece, no. Ciò conferma che era Rosa la “burattinaia” nella coppia. Durante il processo, entrambi seduti dietro le sbarre, chiacchierano, ridono, si abbracciano teneramente. Sembrano totalmente inconsapevoli di ciò che li aspetta.
La totale dipendenza dall’altro è sempre patologica, ma l’amore non è dipendere. Rosa e Olindo sono una coppia a cui non interessa il resto del mondo, né le persone, né il lavoro, né i beni materiali, perché l’importante è solo ed unicamente stare insieme. Anche in carcere.
 
Dott. Massimo Blanco
Dott.ssa Micol Trombetta
Riproduzione riservata
 
Bibliografia
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  • Blanco M. (2018), Perché ce la prendiamo con le persone amate? Un’ipotesi neurosociologica su un paradosso del comportamento sociale, Academia.edu.
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Sitografia
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  • Il Giornale.it, Una perizia psichica per Olindo e Rosa «Meglio il suicidio che vivere separati», articolo di Gabriele Villa del 27 marzo 2008 (http://www.ilgiornale.it/news/perizia-psichica-olindo-e-rosa-meglio-suicidio-che-vivere.html).
  • Il Giorno, Morto Mario Frigerio: fu l’unico sopravvissuto alla Strage di Erba, articolo di Roberto Canali del 16 settembre 2014 (https://www.ilgiorno.it/como/cronaca/morto-mario-frigerio-1.215907).
  • La Repubblica.it, Olindo e Rosi, sposi semplici con la passione del camper, articolo di Enrico Bonerandi del 9 gennaio 2007 (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/01/09/olindo-rosi-sposi-semplici-con-la-passione.html).
  • La Repubblica.it, “Ho preso il bambino e gli ho tagliato la gola”, articolo di Bonerandi E., Randacio E. su “La Repubblica.it” del 12 gennaio 2007 (http://www.repubblica.it/2007/01/sezioni/cronaca/erba-2/racconto-bazzi/racconto-bazzi.html).
  • La Repubblica.it, Olindo e Rosa soffrono di psicosi cronica, articolo del 16 marzo 2010 (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/03/16/olindo-rosa-soffrono-di-psicosi-cronica.html).
  • La Repubbica.it, Olindo e Rosa: otto anni dopo, il grande mistero dei mostri perfetti, articolo di Carlo Verdelli del 16 settembre 2014 (http://www.repubblica.it/cronaca/2014/09/16/news/olindo_e_rosa_otto_anni_dopo_il_grande_mistero_dei_mostri_perfetti-95902690/?refresh_ce).
  • La Repubblica.it, Strage di Erba, respinto incidente probatorio: “Le nuove analisi non sono in grado di ribaltare sentenza”, articolo del 30 gennaio 2018 (http://milano.repubblica.it/cronaca/2018/01/30/news/strage_di_erba_respinto_incidente_probatorio_le_nuove_analisi_non_sono_in_grado_di_ribaltare_sentenza_-187642592/).
  • Linea Gialla – Tra i casi: Roberta Ragusa, la strage di Erba e storie di femminicidio (15/10/2013), (https://www.youtube.com/watch?v=pN7Zc8tWOhc)
  • Manuale MSD versione per professionisti, sez. disturbi psichiatrici, disturbo delirante, S. Charles Schulz, MD, Professor Emeritus, University of Minnesota Medical School; Psychiatrist, Prairie Care Medical Group, Merck Sharp & Dohme Corp., 2018 (https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/disturbi-psichiatrici/schizofrenia-e-disturbi-correlati/disturbo-delirante).
  • Manuale MSD versione per professionisti, sez. disturbi psichiatrici, schizofrenia, S. Charles Schulz, MD, Professor Emeritus, University of Minnesota Medical School; Psychiatrist, Prairie Care Medical Group, Merck Sharp & Dohme Corp., 2018 (https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/disturbi-psichiatrici/schizofrenia-e-disturbi-correlati/schizofrenia).
  • Mayo Foundation for Medical Education and Research (2013), Paranoid Schizophrenia, Mayo Clinic. Retrieved from “Archived copy”. Archived from the original on June 18, 2013. Retrieved December 23, 2013 (https://web.archive.org/web/20130618045057/http://www.mayoclinic.com/health/paranoid-schizophrenia/DS00862/DSECTION%3Dsymptoms).

Note

[1] La Repubbica.it, “Ho preso il bambino e gli ho tagliato la gola”, articolo di Enrico Bonerandi e Emilio Randacio del 12 gennaio 2007.
[2] Affaritaliani.it, Strage di Erba/ Rosa Bazzi: “Ho ucciso Raffaella perché mi faceva paura”, articolo del 16 gennaio 2007.
[3] Ad oggi, non è ancora chiaro chi abbia staccato la corrente, se Olindo o Rosa.
[4] L’udienza si sarebbe dovuta tenere il 13 gennaio 2007.
[5] In realtà, non è mai emersa la verità sull’oggetto contundente metallico usato dal Romano. I coniugi han sempre parlato, infatti, di una stanga di ferro che sarebbe dovuta servire per attività di giardinaggio.
[6] Corriere della Sera, La confessione: «Senza quelli si vive meglio», articolo di Giusi Fasano del 12 gennaio 2007.
[7] La Repubbica.it, Olindo e Rosa: otto anni dopo, il grande mistero dei mostri perfetti,articolo di Carlo Verdelli del 16 settembre 2014.
[8] La ricostruzione segue quella delineata a livello processuale. Le contraddizioni che hanno caratterizzato tutte le fasi giudiziarie che hanno tentato di arrivare ad una sola verità, sono tutt’ora molte.
[9] Intercettazione ambientale effettuata dai Carabinieri in data 10 gennaio 2007.
[10] La Bazzi cambierà la sua versione dopo poco tempo.
[11] Corriere della Sera.it, Strage di Erba, l’ordinanza del gip, articolo del 7 febbraio 2007.
[12] Pagliari P. (2015), «Non siamo stati noi». La strage di Erba dalla parte di Rosa e Olindo, Youcanprint, pp. 248-256.
[13] Contrariamente alle notizie divulgate dai media, Mario Frigerio, prima di fare il nome di Olindo Romano, fece per ben tre volte la descrizione di un altro aggressore completamente diverso dal netturbino di Erba (Panza S., 2011).
[14] Il Giorno, Morto Mario Frigerio: fu l’unico sopravvissuto alla Strage di Erba, articolo di Roberto Canali del 16 settembre 2014.
[15] La Repubblica.it, Strage di Erba, respinto incidente probatorio: “Le nuove analisi non sono in grado di ribaltare sentenza”, articolo del 30 gennaio 2018.
[16] Corriere.it, Casa, manie e rancori. Il mondo buio di Rosa, articolo di Marco Imarisio del 12 gennaio 2007.
[17] La Repubblica.it, Olindo e Rosi, sposi semplici con la passione del camper, articolo di Enrico Bonerandi del 9 gennaio 2007.
[18] Linea Gialla – Tra i casi: Roberta Ragusa, la strage di Erba e storie di femminicidio (15/10/2013).
[19] Scipio Sighele fu allievo di Enrico Ferri (1856-1929), fondatore della scuola positivista, considerato uno dei maggiori esponenti della criminologia del secolo scorso.
[20] La prima edizione risale al 1892.
[21] Sighele S., La coppia criminale: psicologia degli amori morbosi, Bocca, Torino, 1892, p. 15.
[22] Lasegue C., Falret J. 1877, La folie a` deux (ou folie communiquée), Annales Medico-Psychologiques, vol. 18, 1877, pp. 321-355.
[23] DSM IV-TR, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition.
[24] ICD-10, Classification of Mental and Behavioral Disorders: clinical descriptions and diagnostic guidelines
[25] Cass., sez. I, 3.5.2011 (dep. 5.9.2011), n. 33070, Pres. Chieffi, Est.Caprioglio, ric. Romano.
[26] Il Giornale.it, Una perizia psichica per Olindo e Rosa «Meglio il suicidio che vivere separati», articolo di Gabriele Villa del 27 marzo 2008.
[27] La Repubblica.it, Olindo e Rosa soffrono di psicosi cronica, articolo del 16 marzo 2010.
[28] Manuale MSD versione per professionisti, sez. disturbi psichiatrici, disturbo delirante, S. Charles Schulz, MD, Professor Emeritus, University of Minnesota Medical School; Psychiatrist, Prairie Care Medical Group, Merck Sharp & Dohme Corp., 2018.
[29] Manuale MSD versione per professionisti, sez. disturbi psichiatrici, schizofrenia, S. Charles Schulz, MD, Professor Emeritus, University of Minnesota Medical School; Psychiatrist, Prairie Care Medical Group, Merck Sharp & Dohme Corp., 2018.
[30] Varcarolis E. (2006), Manual of Psychiatric Nursing Care Plans 3° Ed., Saunders, Philadelphia, 2006.
[31] Funzione psicologica che interpreta i dati sensoriali al fine di conferire a questi una configurazione dotata di significato. Da non confondere con la “sensazione” che, invece, è la consapevolezza mentale di una risposta di organi di senso a stimoli come il calore, il suono, le radiazioni luminose.
[32] Mayo Foundation for Medical Education and Research (2013), Paranoid Schizophrenia, Mayo Clinic.
[33] Legge 31 dicembre 1962, n. 1859.
[34] L’equipe di Parma, in quel periodo, era composta da Rizzolatti, Gallese, Fogassi, Fadiga e di Pellegrino.
[35] Area della corteccia cerebrale che attiva i muscoli.
[36] L’area 6 di Brodmann è suddivisa in due aree situate nella porzione inferiore della corteccia premotoria: F4 e F5. La lettera “F” sta per “frontale”.

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE 18064-25
Composta da
ROSA PEZZULLO
ELISABETTA MARIA MOROSINI
ANNA MARIA GLORIA MUSCARELLA
CARLO RENOLDI
ROSARIA GIORDANO
– P r e s i d e n t e –
– R e l a t o r e –
Sent. n. sez. 385/2025
UP – 25/03/2025
R.G.N. 41248/2024
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1.
2 .
avverso la sentenza del 10/07/2024 della Corte di appello di Brescia
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Elisabetta Maria Morosini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giulio
Monferini, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibili i ricorsi;
uditi i difensori delle parti civili, a v v . per
e
e a v v . per
e
che hanno concluso chiedendo di dichiarare inammissibili i ricorsi
o di rigettarli, e hanno dichiarato di non avere interesse alla liquidazione delle
spese processuali;
uditi i difensori dei condannati, avv. e avv.
p e r a v v . per che hanno concluso
chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Brescia ha dichiarato
inammissibile l’istanza di revisione proposta, ai sensi dell’art. 630, lett. c) e d) cod.
proc. pen., d a
La revisione riguarda la pronuncia di condanna alla pena dell’ergastolo con
isolamento diurno deliberata, nei confronti degli istanti, dalla Corte di Assise di
Como – confermata dalla Corte di Assise di appello di Milano e divenuta
irrevocabile il 3 maggio 2011 (a seguito del rigetto dei ricorsi per cassazione) –
in ordine al concorso nei reati: di omicidio premeditato ai danni di
del figlio di questa, della m a d r e della d o n n a
di omicidio ai d a n n i di di t e n t a t o o m i c i d i o ai d a n n i del
marito di quest’ultima distruzione dei cadaveri di (unico sopravvissuto); di incendio; di tentata
di violazione di
domicilio e di porto abusivo di strumenti atti ad offendere (due coltelli e una
spranga di ferro).
Con la medesima sentenza la Corte distrettuale dichiarava inammissibili, per
difetto di legittimazione, le istanze di revisione presentate dal Sostituto
procuratore generale presso la Corte di appello di Milano e dal tutore dei
condannati, colpiti dalla pena accessoria della interdizione legale.
2. La vicenda, oggetto della condanna definitiva di cui si chiede la revisione,
concerne quanto accaduto I’11 dicembre 2006 all’interno della palazzina
d e n o m i n a t a facente parte di un complesso abitativo dotato di corte
comune, sito in
Alle 20.20 circa di quel giorno residente in un’altra palazzina
che affaccia sulla medesima corte, notando del fumo uscire dall’appartamento di
allerta il vicino vigile del fuoco volontario,
raggiunge con lui l’interno C. I due entrano nello stabile e trovano: sul pianerottolo
del primo piano, gravemente ferito ma cosciente; sempre al primo
piano, nel corridoio all’interno dell’appartamento del coniugi
corpo senza vita di attinto in più punti dal fuoco, che trascinano
sul pianerottolo. indica il piano superiore, da dove provengono flebili
invocazioni d’aiuto della moglie A causa del fumo, i due
soccorritori non riescono a raggiungere la mansarda ove abitano i coniugi
né ad addentrarsi nell’appartamento della e così escono ad attendere i
vigili del fuoco, sopraggiunti alle 20.47, che domano l’incendio.
2
Pochi minuti più tardi i carabinieri della Stazione di e il personale del 118
scoprono anche il cadavere di genuflessa davanti alla tenda della
finestra del proprio appartamento, e, all’interno dell’abitazione di
i cadaveri della madre di quest’ultima e del figlio di due anni
L’immediata audizione di tutti gli abitanti della corte di n o n fornisce
spunti investigativi, con l’unica eccezione dei coniugi
che destano l’attenzione degli inquirenti perché: gli atti della Stazione dei
Carabinieri d i recano traccia di continui e aspri litigi con la famiglia
quella notte, alle ore 2.30, i coniugi hanno impiegato molto tempo per aprire la
porta di casa propria ai carabinieri; hanno sostenuto di essersi addormentati e di
non aver percepito nulla dell’enorme trambusto della serata; non hanno mostrato
alcun interesse per l’accaduto, né hanno chiesto informazioni; hanno la lavatrice
in funzione; alla richiesta di riferire i loro movimenti della serata, con sospetta
sollecitudine, hanno esibito uno scontrino di dove, a loro dire, avevano
consumato la cena, dopo essere usciti intorno alle 20:00 per poi far ritorno a casa
tra le 22.30 e le 23.00; presenta una ferita fresca a un dito e
un’ecchimosi sul dorso della mano sinistra e una sull’avambraccio.
Il 26 dicembre 2006 il brig. esegue un’ispezione sulla Seat Arosa di
L’utilizzo del luminol fa risaltare delle luminescenze anche sul
battitacco lato conducente. Gli esami genetici, condotti dal dottor
consentono di ricondurre la traccia di sangue prelevata dal battitacco al profilo
g e n e t i c o di
L’unico sopravvissuto, d o p o iniziali dichiarazioni in cui sostiene
di non conoscere l’aggressore, afferma di aver riconosciuto il proprio vicino di casa
Sottoposti a fermo I’8 gennaio 2007 e immediatamente interrogati,
e si proclamano innocenti. Tuttavia, a distanza di due giorni, confessano ai
pubblici ministeri di essere gli autori della strage e il 12 gennaio 2007 lo
ribadiscono al giudice per le indagini preliminari.
Inizialmente ciascuno dei due indagati si assume l’esclusiva responsabilita
dell’accaduto, nel tentativo di scagionare l’altro; poi, invece, entrambi rivelano di
aver agito insieme, portando a termine un piano di vendetta da tempo meditato
nei c o n f r o n t i di e della sua famiglia, mentre l’aggressione ai
danni dei coniugi risulta frutto di una decisione istantanea
indotta dalla necessità di eliminare possibili testimoni.
Giunti a processo, però, gli imputati si dichiarano estranei ai fatti. La
ritrattazione viene ritenuta inattendibile dai giudici della cognizione, non solo per
3
4
le modalità e i contenuti (brevi e generiche dichiarazioni, non accompagnate da
spiegazioni) ma anche e soprattutto perché le dichiarazioni confessorie sono
analitiche, contengono particolari conoscibili solo dagli autori della strage,
risultano in piena sintonia con l’intero quadro probatorio raccolto (cfr. amplius
infra, paragrafo 4.3. del “considerato in diritto”).
3. Le richieste di revisione dei condannati, su cui verte l’odierno giudizio di
legittimità, si fondano su una cospicua serie di dichiarazioni e accertamenti
scientifici tesi a ribaltare l’affermazione di responsabilità.
Si tratta di quelle prove illustrate con i ricorsi e che verranno di seguito
ripercorse (cfr. infra, paragrafo 4).
La Corte di appello – con la sentenza impugnata, pronunciata nel
contraddittorio delle parti, a seguito della loro citazione a giudizio, ma prima della
apertura del dibattimento – ha dichiarato inammissibili le istanze di revisione dei
condannati ritenendole: proposte al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 630, lett.
c) e d) cod. proc. pen. (per mancanza di novità di alcune delle prove indicate e
per insussistenza di elementi di prova da cui risulti che la condanna fu pronunciata
in conseguenza di prove false); inosservanti della disposizione prevista dall’art.
631 cod. proc. pen. (per incapacità degli elementi addotti di dimostrare, se
accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma dell’articolo 631);
manifestamente infondate.
Nella parte conclusiva del provvedimento impugnato, la Corte di appello così
sintetizza le ragioni della decisione illustrate nelle oltre ottanta pagine precedenti:
«Ai frammentari dati su cui si concentra l’istanza di revisione – che in alcun modo
possono essere ricondotti a unità, se non nell’ottica, non a caso ripetutamente
evocata, della falsificazione delle prove, cui avrebbero, peraltro, contribuito gli
odierni ricorrenti, confessando un crimine non commesso – si contrappone, d’altro
canto, un quadro probatorio solido e univoco, in cui convergono, accanto alle tre
prove su cui s’incentra l’istanza di revisione (traccia ematica di
sul battitacco della Seat Arosa, riconoscimento da parte di e
confessioni), le annotazioni sulla Bibbia (costituite, oltre che da ammissioni di
colpevolezza, inspiegabili da parte di un soggetto innocente in quel momento solo
nella propria cella, d a manifestazioni di rancore nei confronti delle vittime), la
l e t t e r a a p a d r e le dichiarazioni ammissive di responsabilità al vicino di
cella (secondo i ricorrenti, colluso con i Pubblici Ministeri, giacché
c o i n v o l t o nell’affaire ma che lo stesso nelle a n n o t a z i o n i sulla
Bibbia definisce l’unica persona con cui può parlare, annotando anche che la sua
scarcerazione ha lasciato “un vuoto incolmabile”), gli ulteriori elementi di valenza
4
indiziaria già valorizzati in sede di cognizione: il movente (svariati testimoni hanno
riferito in primo grado che era terrorizzata dalla coppia e di
aver assistito a minacce di morte da parte dei due, sorpresi dai carabinieri, in
un’occasione, a pedinare la vicina mentre andava al lavoro), la circostanza che
e la la sera del fatto avessero delle piccole ferite, non abbiano aperto
subito ai carabinieri, sostenendo di essersi addormentati, nonostante il trambusto
dei vigili dei fuoco in azione per spegnere un incendio accanto al loro appartamento
e si siano precipitati a tirar fuori lo scontrino di le caratteristiche delle
ferite delle vittime, che hanno consentito al dott. di ipotizzare che gli
aggressori fossero due, uno più alto e uno più basso, uno destro e uno mancino,
uno più forte dell’altro; il fatto che il contatore fosse chiuso e che solo i condomini
potessero aprirlo per staccare la corrente; il fatto che solo i coniugi
sarebbero potuti uscire, rifugiandosi nella lavanderia, senza essere visti; l’assenza
di tracce all’esterno della corte» (pagg. 83 e 84).
Circa la dedotta falsità delle prove, la medesima Corte rileva che l’istanza si
esaurisce «nella ripetizione, alla luce delle nuove acquisizioni (che, come si è visto,
tali non sono) e nella prospettiva della falsità della prova, di doglianze già
sviluppate nei precedenti gradi di giudizio e in sede d’incidente di esecuzione. 1
ricorrenti, invero, neppure indicano le prove tacciate di falsità ma chiedono alla
Corte di rivalutare “/’iter di formazione delle tre prove che sorreggono la sentenza
di condanna”» (pag. 84).
4. Avverso l’indicato provvedimento ricorrono gli imputati, con il medesimo
atto a firma dei rispettivi difensori, svolgendo quattro motivi, di seguito enunciati
nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
4.1. Il primo denuncia l’illegittimità di una pronuncia di inammissibilita a
conclusione di un giudizio instaurato mediante citazione a giudizio delle parti, ma
arrestatosi alla fase preliminare senza assunzione delle prove, con conseguente
violazione dell’art. 111 Cost.
La Corte di appello si sarebbe assestata sul principio stabilito dalle Sezioni
Unite Pisco (sentenza n. 18 del 10/12/1997, dep. 1998) – secondo cui
l’inammissibilità della richiesta di revisione può essere dichiarata, oltre che con
l’ordinanza prevista dall’art. 634 cod. proc. pen., anche con sentenza,
successivamente all’instaurazione del giudizio di revisione ai sensi dell’art. 636
cod. proc. pen. – senza considerare che quella decisione, peraltro relativa a un
procedimento in materia di misure di prevenzione, era stata adottata prima della
nuova formulazione dell’art. 111 Cost.; mentre la successiva giurisprudenza si
sarebbe sviluppata in senso opposto.
5
I ricorsi invocano l’insegnamento delle Sezioni Unite Pisano (Sez. U, n. 624
del 26/09/2001, dep. 2002), seguito dalla maggioritaria giurisprudenza
(ampiamente citata e ripercorsa nell’atto di impugnazione), a mente del quale il
procedimento di revisione si sviluppa in due fasi: la prima si esaurisce in una
valutazione de plano, limitata a una delibazione sommaria circa la “astratta
idoneità” dei nuovi elementi di prova a ribaltare il giudicato; la successiva fase è
“destinata giocoforza a svolgersi come un normale giudizio di primo grado con la
ammissione e acquisizione delle prove”.
Né la Costituzione, né il codice di rito consentono di pervenire a una
declaratoria di inammissibilità che si traduca in una indebita anticipazione di
giudizio circa la consistenza e valenza probatoria degli elementi offerti.
I ricorrenti sottolineano che l’alterazione del rapporto tra le due fasi del
giudizio ha comportato la regressione del procedimento alla fase della
ammissibilità, ma senza le garanzie del contraddittorio, sì da impedire al materiale
probatorio di guadagnare l’area di massima espansione, raggiungibile soltanto nel
dibattimento.
Pertanto la Corte di appello avrebbe erroneamente interpretato il senso della
pronuncia delle Sezioni Unite Pisano, destinata a dilatare le garanzie e non a
ridurle, contraendo, così, l’intero giudizio alla sola fase preliminare di ammissibilità
e finendo per sovrapporre le diverse regole di giudizio che sovraintendono alle due
distinte fasi del procedimento di revisione.
In tale ottica i ricorrenti contestano l’affermazione contenuta a pagina 20 della
sentenza impugnata, secondo cui sarebbero state le difese a sollecitare la
fissazione di una apposita udienza per discutere della ammissibilità della revisione;
al riguardo precisano: che “l’integrazione del contraddittorio” è stata chiesta dal
tutore degli imputati; che l’istanza era dipesa dall’inoltro di un parere
(irritualmente acquisito) con cui la Procura generale di Milano tratteggiava le
ragioni di inammissibilità della istanza di revisione in origine avanzata dal Sostituto
Procuratore generale in servizio presso quel medesimo ufficio; che
successivamente la richiesta era stata presentata anche dai difensori dei ricorrenti;
che tale circostanza era comunque irrilevante perché “chiedere il contraddittorio
significa evitare che la procedura sia svolta con le forme segrete e occulte di una
camera di consiglio non partecipata”; che la richiesta di contraddittorio in punto di
inammissibilità “non può poi essere interpretata come rinuncia al contraddittorio
nella fase successiva, né tantomeno come abbreviazione del giudizio”.
4.2. Il secondo, articolato motivo deduce violazione di legge e vizio
argomentativo in punto di ritenuta mancanza di novità delle prove richieste e di
idoneità a ribaltare la condanna.
6
Sui piano generale si evidenzia come l’intero apparato motivazionale soffra
del vizio denunciato con il primo motivo circa la scelta della Corte di appello di
procedere non già ad una valutazione sommaria, ma a una approfondita disamina
nel merito.
Si sviluppano poi le singole censure riferite a specifici paragrafi della sentenza
impugnata e accomunate da denunciati errori su: il concetto di novità della prova
come elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, anche in relazione alla prova
scientifica offerta dalle consulenze tecniche; la confusione tra elemento di prova,
tema di prova e risultato di prova; la valutazione atomizzata e non globale delle
nuove prove offerte, da leggere in reciproca relazione tra loro e con quelle già
acquisite.
4.2.1. Paragrafi 2 e, in parte, 9 della sentenza (p. 54-61 e 73-74).
La consulenza collegiale sull’idoneità di a rendere testimonianza
a causa della lesione in sede corticale frontale destra e degli effetti tardivi
dell’intossicazione da monossido di carbonio e le correlate captazioni ambientali
all’interno della camera di degenza del testimone, l’intervista al dott.
l’audizione, in merito a tale intervista, del giornalista
ambientali all’interno della camera di degenza d i
le captazioni
le n u o v e
trascrizioni delle audizioni di questi del 20 e 26 dicembre 2006, del 2 gennaio
2007.
Secondo i ricorrenti la lettura sinergica dei nuovi elementi fattuali e scientifici
condurrebbe a travolgere il primo dei tre pilastri su cui è fondata la pronuncia di
c o n d a n n a : il r i c o n o s c i m e n t o di da parte di
La doglianza si appunta su due profili, tra loro intersecantisi, astrattamente
suscettibili di capovolgere il giudicato: l’impossibilità di un tardivo riconoscimento;
la progressiva degradazione della capacità mnemonica del testimone prodotta
dalla intossicazione da monossido di carbonio.
La consulenza collegiale ha illustrato gli approdi delle neuroscienze cognitive
nello studio del riconoscimento dei volti familiari e non familiari vuoi in soggetti
neurotipici vuoi in soggetti con patologie, rappresentando che dal 2013 possono
dirsi scientificamente dimostrati due dati.
Il primo è che i volti familiari sono riconosciuti più velocemente di quelli non
familiari e che i volti familiari sono riconosciuti in maniera automatica, senza un
controllo volitivo e decisionale. Secondo la unanime letteratura scientifica è
impossibile che sia passato da un iniziale mancato riconoscimento
dell’autore dell’aggressione, indicato in un uomo sconosciuto, a un successivo
r i c o n o s c i m e n t o in volto a lui noto.
7
Il secondo dato consiste nel fatto che il volto familiare viene riconosciuto
anche quando l’autore del riconoscimento versi in condizioni psichiche molto
degradate.
Questa acquisizione scientifica va posta in correlazione con il fatto che
esposto ai fumi dell’incendio, aveva sviluppato, secondo l’opinione dei
consulenti, una intossicazione da monossido di carbonio (rilevata dalla consulenza
autoptica del d o t t o r d a cui era derivata una “amnesia anterograda”,
patologia, mai prospettata nel processo di cognizione, che si caratterizza per
l’insorgere tardivo di un peggioramento del ricordo. Anche in una simile
condizione, però, il volto noto viene riconosciuto immediatamente e non potrà
formare oggetto di un riconoscimento tardivo.
A tale risultato deve raccordarsi poi l’ulteriore elemento, ricavato dal riascolto
con nuove e innovative tecniche, delle conversazioni intercettate, da cui emerge
la forte carica di suggestività delle domande rivolte a
cosicché
l’individuazione di doveva ritenersi frutto di un ricordo indotto
(inesistente in origine e infatti non riferito), percepito dal teste come reale; con
l’ulteriore conseguenza di rendere insignificante il dato, valorizzato dalla Corte di
appello, per cui in dibattimento il testimone non ha mostrato alcuna titubanza
nell’indicare l’imputato come l’autore dell’aggressione ai propri danni.
A fronte di tanto la Corte di appello ha omesso di prendere in considerazione
le nuove prove offerte, senza neppure occuparsi della consulenza collegiale e
incorrendo in gravi errori di interpretazione e impostazione.
Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte distrettuale, che cade in un
travisamento della prova per omissione, l’intossicazione da monossido di carbonio
non è stata desunta dallo stato confusionale del testimone, ma risulta
documentata nella relazione medico-legale del dottor che ne dà testuale
conto a pagina 4 (allegato 61 alla richiesta di revisione, allegato 6 al ricorso).
Su questa evidenza documentale si innestano le conseguenti valutazioni
espresse dai consulenti tecnici che, sulla base di ampia letteratura scientifica,
ravvisano nell’intossicazione da monossido di carbonio la causa della amnesia
a n t e r o g r a d a m o s t r a t a d a
L’intero ragionamento non è stato adeguatamente esaminato dalla Corte
distrettuale che si è trincerata dietro l’assenza di novità della prova perché
attinente al tema, già ampiamente sviscerato nel processo di cognizione e quindi
non rivisitabile in sede di revisione, della attendibilità di
incorrendo anche nella violazione di legge, determinata vuoi dalla confusione tra
il (necessario) carattere di novità dell’elemento di prova e la novità (non
necessaria) del tema probatorio, vuoi dalla erronea interpretazione e applicazione
8
dei principi coniati dalla giurisprudenza di legittimità circa i presupposti di
ammissibilità di una consulenza tecnica nel giudizio di revisione.
La sentenza impugnata non si è posta correttamente nell’apprezzamento delle
nuove trascrizioni delle conversazioni del testimone, effettuate secondo metodi
innovativi che hanno consentito la decodifica di parole prima ritenute
incomprensibili e, inoltre, ha erroneamente negato legittimità a trascrizioni di
conversazioni inedite (in cui si mostra particolarmente confuso e risulta
peggiorare con il passare dei giorni) sol perché non richieste nella sede deputata
dell’udienza preliminare, così assegnando valore a un dato processuale irrilevante,
piuttosto che al carattere di novità dell’elemento di prova, che prescinde dalla
imputabilità a un comportamento negligente o doloso del condannato (circostanza,
quest’ultima, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario).
4.2.2. Paragrafi 3 e 4 della sentenza (pagg. 60-64).
La consulenza medico-legale della dott.ssa i n ordine alla
impossibilità p e r di gridare “aiuto, aiuto” a causa della lesione
alla lingua. La consulenza tecnica neurologica in merito alla dinamica della morte
della s i g . r a redatta dal Prof.
Si pone in evidenza che la consulenza del prof. ha posto in risalto un
elemento, già risultante dal processo, ma in precedenza mai valutato, quale
l’ematoma nello spessore del muscolo psoas riscontrato sul cadavere di
cui si aggancia, in modo inedito, la conclusione che a causa di quella
lesione (incidente sulla capacità di flessione della coscia sul bacino e sulle strutture
nervose che innervano la muscolatura) la vittima non sarebbe riuscita a salire le
scale fino a raggiungere il suo appartamento all’interno del quale è stato trovato
il cadavere; con l’ulteriore conseguenza di confutare, dimostrandone la falsità, la
confessione dei condannati, i quali hanno riferito di aver concluso l’aggressione
sulle scale.
Il dato offerto non perde il carattere di novità sol perché muove da un
elemento già presente in atti, considerato che esso non è stato apprezzato neppure
implicitamente nel processo di cognizione e pertanto, a differenza di quanto
ritenuto in sentenza, rientra nel concetto di “nuovo elemento di prova”, secondo i
dettami della Corte di cassazione e, in particolare, delle Sezioni Unite Pisano.
Peraltro questa lesione va correlata alla “concussione cerebrale”, evidenziata
dall’autopsia (ma mai considerata), incidente anch’essa sulla capacità di produrre
quei movimenti necessari a salire le scale.
Infine si mette in luce il carattere di novità della consulenza della dottoressa
sulla lesione alla lingua di
per la vittima di invocare aiuto.
con conseguente impossibilità
9
4.2.3. Il paragrafo 5 della sentenza, l’affermazione conclusiva del paragrafo 4
( p a g g . 6 4 – 6 7 ) ・
Bloodstain
P a t t e r n Analysis (BPA) e ricostruzione della dinamica
dell’aggressione tramite l’analisi delle macchie di sangue redatta dalla dott.ssa
La consulenza in rassegna fornisce nuovi elementi, fondati su tecniche e
conoscenze scientifiche non esistenti all’epoca delle indagini, in punto di analisi
della morfologia delle tracce di sangue.
La Corte di appello, nel reputare il tema già ampiamente scrutinato nel
processo di cognizione, ignora i nuovi elementi introdotti dalla BPA: l’analisi
morfologica delle macchie di sangue, tutte macchie da spruzzo e da proiezione,
rilevate in prossimità del corpo d e l l a l’analisi morfologica delle tracce di
sangue, da proiezione, sulla tenda; la rilevazione di tracce non note prima,
presenti sul pavimento del terrazzino di casa l’analisi delle tracce, solo
oggi dichiaratamente ematiche, presenti sul muro del corridoio di casa
sul corridoio in direzione della porta d’ingresso, sulla faccia interna della porta
d’ingresso; l’analisi delle macchie di sangue del bambino.
Tutto ciò invaliderebbe la confessione degli imputati in punto di ricostruzione
dei fatti poiché dimostrerebbe: che l’aggressione alla su è conclusa nel
suo appartamento; che gli autori della strage sono fuggiti dal terrazzino di casa
che l’aggressione a e ai suoi familiari è stata opera
di persone in attesa all’interno dell’appartamento; che, a differenza di quanto
riferito d a il bambino non è stato aggredito nella stessa posizione in
cui è stato trovato, poiché altrimenti il sangue sarebbe stato proiettato a sinistra,
a distanza di oltre mezzo metro, li dove invece non è presente alcuna traccia di
s a n g u e .
La Corte di appello, oltre che nel vizio di omessa motivazione, sarebbe
incappata anche in un travisamento della prova quando, contrariamente al vero,
afferma che, sentito in dibattimento, il colonnello ha definito “poco
scientifica” una BPA eseguita su immagini fotografiche.
Ulteriori contraddizioni vengono ravvisate sul tema della via di fuga
alternativa: la erronea valorizzazione della assenza di tracce, che però nessuno
cercò, sull’abbaino, sul muro esterno e sulla grondaia di casa il risalto
assegnato alla presenza di sangue della sulla maniglia interna del
portoncino di ingresso alla palazzina, senza tenere conto che la traccia deve essere
stata lasciata da un soggetto privo di guanti (gli imputati invece li indossavano)
individuabile anche in uno dei soccorritori.
4.2.4. Paragrafi 7, 13, 14, 15 della sentenza (pagg. 71-72 e 75-77)
10
d i
2023 da
e di
Consulenza tecnica sui consumi di energia elettrica all’interno dell’abitazione
Sommarie informazioni rese al difensore in data 12 febbraio
Interviste integrali a una trasmissione televisiva di
A sostegno della istanza di revisione, i condannati hanno offerto la relazione
tecnica dell’ing. incentrata sul rilievo che, nella fascia oraria compresa tra
le 14:15 e le 17:45 del giorno dell’eccidio, nell’appartamento di
intervenne un consumo di energia elettrica tale da dimostrare “che qualcuno in
quel tragico pomeriggio era in casa ad attendere le vittime”.
L’elemento, incontrovertibilmente nuovo, si salda con le dichiarazioni di
secondo cui “soggetti extracomunitari di provenienza nordafricana – come
tale fratello d i possedevano le chiavi dell’abitazione di
e ne utilizzavano i locali per nascondere lo stupefacente e i
relativi proventi. Gli stessi soggetti si erano già resi responsabili di aggressioni con
coltelli.
La ricostruzione così prospettata avvalora la tesi difensiva della pista
alternativa, dimostrando al contempo l’inattendibilità della confessione dei
condannati, i quali, giunti dall’esterno, non disponevano delle chiavi.
Pur riconoscendo la novità degli elementi offerti dalla consulenza dell’ing.
la Corte di appello ne esclude la rilevanza per l’assenza di “oggettivi e
affidabili elementi di riscontro” in tal modo svolgendo un penetrante scrutinio sul
contenuto della relazione tecnica, che travalica i confini della valutazione di
astratta idoneità.
Il vizio motivazionale si acuisce allorché la Corte distrettuale passa al vaglio
le dichiarazioni di che bolla come apodittiche e prive di conforto, quando
invece proprio l’ordinanza cautelare che ha colpito il dichiarante offrirebbe precisi
elementi di conforto sul fatto che: all’epoca (fratello di
guidava un gruppo dedito al traffico di stupefacenti nel quale era inserito
anche diversi soggetti attinti dall’ordinanza cautelare, tra cui
e risultavano residenti in l’attività di spaccio si
svolgeva anche ad nei pressi di che proprio a ridosso della strage
si verificarono forti attriti tra e u n altro componente del gruppo residente
proprio a casa sua: il già citato – tanto da giurarsi reciproca
vendetta; le indagini svolte in quell’ambito inducevano gli inquirenti a ritenere un
possibile collegamento tra quelle vicende e lo sterminio della famiglia di
Nel medesimo senso si pongono le dichiarazioni rese da
(alias nel corso dell’intervista rilasciata a una trasmissione
11
televisiva, esclusa dal materiale di rilievo perché erroneamente considerata
inutilizzabile e, comunque, già valutata; e in tale ottica assumono rilievo anche
elementi già acquisiti dai quali emerge lo scontro in atto tra opposte fazioni
impegnate nello spaccio di sostanze stupefacenti e i timori esternati da
per minacce e intimidazioni ricevute da ignoti.
I nuovi elementi, coniugati a quelli già presenti agli atti del processo, sono in
grado di aprire uno scenario inedito, incompatibile con la pronuncia di colpevolezza
dei ricorrenti:
– il giorno della strage, qualcuno si trovava in casa ad attendere il rientro di
( c o n s u l e n z a dichiarazioni di t e s t i m o n i a n z a
dei coinquilini di origine siriana che udirono dei passi nell’appartamento);
– l’avvistamento sul luogo del delitto di una persona straniera, non conosciuta
(testimonianze dell’avv e di
– l’individuazione di tre persone, di cui due straniere (testimonianze di
– all’epoca della strage, l’abitazione
era utilizzata, anche
in assenza dei proprietari, dall’organizzazione criminale capeggiata da
fratello d i il quale aveva le chiavi; era in corso una faida tra il
gruppo guidato da e un clan rivale, tanto che sia
s i a subirono un accoltellamento (dichiarazioni di n u o v e
dichiarazioni di ordinanza cautelare);
– sul t e r r a z z i n o di c a s a vi erano tracce di sangue da calpestio; inoltre
una pianta, posta sulla ringhiera del terrazzo prospiciente appare
danneggiata (nuovo video richiesta escussione del giornalista
nuove tracce di sangue indicate nella BPA);
fin quando le sue condizioni non peggiorarono, indicò come suo
aggressore un soggetto sconosciuto di etnia araba, esortando il Pubblico Ministero
a mettere a verbale che la casa di era frequentata da
extracomunitari.
La valutazione espressa dal giudice di merito a tale riguardo risulta in parte
omessa, in parte generica, in parte condotta attraverso un non consentito
apprezzamento di merito, peraltro inficiato da travisamenti probatori.
4.2.5. Paragrafi 6, 8, parte del 9, 11, 12 della sentenza (pagg. 67-71; 72-75)
La consulenza collegiale in ordine al quadro psicopatologico rilevato in
e al ritardo mentale in i n rapporto di causalità
con le false confessioni. Le captazioni ambientali all’interno dell’autovettura e
dell’appartamento degli imputati; le video interviste agli imputati registrate in fase
di indagini dall’allora consulente della difesa dott. Perizia psichiatrica
12
4
eseguita su
a da parte del dottor
trasmissione televisiva di
nell’ambito di altro procedimento. Le video interviste
L’intervista integrale a una
Sommarie informazioni rese al
difensore da
in data 29 gennaio 2000 (rectius 2020) e
27.1.2023.
Le prove offerte mirano a travolgere la capacità dimostrativa delle confessioni,
che costituiscono il secondo dei pilastri su cui si fonda la condanna.
I ricorrenti criticano, anche sotto il profilo della interpretazione giuridica, la
conclusione cui perviene la Corte di appello nel ritenere che gli elementi addotti
dai consulenti a sostegno della falsità delle confessioni coincidano, in massima
parte, con quelli già spesi dalle difese e non presentino carattere di novità.
Sostengono che la consulenza collegiale si fonda su ampia e accreditata
letteratura scientifica nonché sull’esame diretto dei condannati, mai effettuato
prima, da cui è risultato che entrambi i ricorrenti presentano un quadro
psicopatologico tale da renderli vulnerabili e circonvenibili (la disabilità intellettiva
coinvolgente tutte le capacità cognitive, comprese quelle di produrre valide
dichiarazioni e il disturbo dipendente di personalità di la personalità
acquiescente con abnorme tendenza alla credulità, con scarso senso di
autoefficacia e con una forte tendenza ad adeguarsi alle richieste e a quanto gli
viene prospettato, anche se irrealistico, di
Condizioni personali che, come aveva richiesto la difesa nella memoria
depositata alla Corte di appello, dovevano essere coniugate al “dato costituito dalle
pressioni esercitate dagli inquirenti – già riconosciuto anche dalle sentenze di
condanna, e dunque già noto”: gli interrogatori sono stati condotti con tecniche
(in particolare la “Reid”) che, alla luce delle nuove conoscenze, sono suscettibili di
alterare il ricordo e di incidere sulla libertà di autodeterminazione.
La sentenza impugnata omette qualunque valutazione su tali aspetti,
lasciando del tutto privo di analisi il punto, cruciale, della suggestionabilità dei
condannati reso evidente dal nuovo dato, risultante dalle intercettazioni in carcere,
per cui a furono lette integralmente prima le dichiarazioni del marito,
vuoi nella versione “errata” vuoi nella versione “esatta”, e la donna aderì
acriticamente tanto alla prima quanto alla seconda.
I ricorrenti denunciano errori anche nelle considerazioni espresse dalla
sentenza impugnata su: le video interviste realizzate dal dottor la
trascrizione e l’analisi delle intercettazioni ambientali all’interno dell’abitazione e
della vettura degli imputati, nonché delle conversazioni intercettate in carcere,
compreso il colloquio in cui professa la sua innocenza a un agente di
polizia penitenziaria; le sommarie informazioni rese al difensore dall’ex carabiniere
13
all’epoca in servizio presso il nucleo operativo di a dire del quale
“era notorio all’interno della caserma – e a lui ciò fu direttamente riferito – che i
Marescialli esercitarono in carcere indebite pressioni sugli
imputati affinché confessassero il delitto. ha anche affermato di avere
ascoltato quelle intercettazioni dei due coniugi che risultano ad oggi ancora
mancanti”.
4.2.6. Paragrafi 1, 10, 18 della sentenza (pagg.49-54, 74 e 79).
La consulenza genetica sulla traccia ematica rinvenuta sul battitacco
dell’autovettura Fiat Arosa di proprietà di r e d a t t a dal dottor
intervista al brig. il materiale fotografico relativo alle ispezioni
delle autovetture d i la nuova audizione del brig.
l ‘ e s c u s s i o n e d e l d o t t . e l’esame della dottoressa
Le nuove prove mirano a far cedere il terzo pilastro su cui si fonda
l’affermazione di responsabilità: il rinvenimento sul battitacco della vettura
dell’imputato di una traccia di sangue riconducibile al profilo genetico di
Secondo i condannati la traccia ematica analizzata dal dott. non è
stata prelevata dal battitacco della vettura d i in q u a n t o le p r o v e
offerte dimostrano che il brig. o non ha eseguito “/’accertamento
fotografico” sulla traccia di sangue esaltata dal luminol, oppure “si è prestato a
falsificarne gli esiti inserendo una traccia inesistente”.
Nella prospettazione dei ricorrenti, in tal senso deporrebbero tutte le fonti di
prova indicate che vengono illustrate e, soprattutto, la consulenza del dott.
la quale fa ricorso alla metodologia del c.d. activity level, validata dalla più recente
e avanzata letteratura scientifica.
Il consulente pone in evidenza elementi nuovi tratti dalla analisi e verifica
delle fotografie: non vennero scattate delle foto al buio (e al riguardo si è chiesto
di escutere una consulente per verificare le caratteristiche tecniche della macchina
fotografica utilizzata dal brig. così da stabilirne la capacità di catturare le
immagini “a luminescenza”); il luminol non fu cosparso sul punto contrassegnato
con il numero 3 dove il brig. h a s o s t e n u t o di a v e r e t r o v a t o la t r a c c i a
invisibile; il crimescope, che avrebbe consentito di esaltare la tipologia di traccia
d e s c r i t t a dal d o t t . ha dato esito negativo; non sono stati apposti numeri
o lettere che invece vanno impiegati e fotografati quando si reperta una traccia
così da consentire l’individuazione del reperto; le foto panoramiche della vettura –
ossia quelle numerate da 1 a 8 – rispettano la progressione dell’orario in cui sono
state scattate, mentre tale progressione numerica e temporale si interrompe con
14
le quattro fotografie attinenti alla repertazione; la prima foto trattata è quella
contenente la traccia che sarebbe stata rinvenuta sul battitacco, la quale, però, è
indicata come reperto numero 3 anziché come reperto numero 1, con la
conseguenza che il primo reperto fotografico risulta essere quello sul battitacco
del lato guidatore e non, invece, quello sulla portiera sinistra; dal verbale redatto
dal brig. proprio il primo reperto viene trattato – con esito negativo – con
l’hexagon obit, ossia con mezzo rivolto a individuare il sangue; con il che va
esclusa la presenza di sangue sul primo reperto effigiato nella prima fotografia.
Il consulente evidenzia che il dott. descrive la traccia di sangue da
lui esaminata come “concentrata”; mentre la traccia prelevata dal brig. n o n
avrebbe potuto avere tale caratteristica posto che il luminol diluisce le macchie
soprattutto se cosparso su una superficie non porosa (ossia un longherone
metallico verniciato a smalto) e considerate le modalità di repertazione (ossia
l’assorbimento del liquido reagente su foglietti di “carta bibula”).
La Corte di appello nega rilevanza agli elementi indicati osservando che il dott.
ha escluso che l’impiego del luminol e della carta bibula possa aver
compromesso la traccia; tuttavia, osservano i ricorrenti, il consulente del pubblico
m i n i s t e r o n o n h a m a i fatto u n a t a l e a f f e r m a z i o n e nel c o r s o del s u o e s a m e
dibattimentale.
4.2.7. Paragrafi 16 e 17 della sentenza (pagg. 77-79).
Relazione del R.I.S. di Parma. Video girato dal R.I.S. in sede di sopralluogo.
Le difese avevano richiesto di comparare, con nuove tecniche e con una banca
dati aggiornata, l’impronta palmare ritrovata dal RIS su di una parete del vano
scale al piano terreno (2D) di cui venne esclusa con certezza la riconducibilità ai
condannati, alle vittime e ai soccorritori.
La Corte di appello, nel bollare la prova come inconferente, cade in
contraddizione, poiché recepisce la valutazione espressa dal capitano c h e
ovviamente si riferiva alla situazione disponibile all’epoca e non a quella attuale
risultante dall’arricchimento e aggiornamento del materiale per la comparazione.
4.2.8. In ultimo i ricorrenti denunciano il vizio di travisamento della prova,
dovuto a una errata lettura del dato storico ricavabile dalle intercettazioni
contenute nell’ordinanza del Gip di Milano datata 21 maggio 2024, da cui risulta il
possibile coinvolgimento di anche nella strage d i
4.3. Il terzo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in
punto di esclusione della idoneità dimostrativa delle interviste.
L’approccio della Corte di appello si rivela erroneo in quanto le difese non si
sono limitate a produrre le interviste come documenti – peraltro acquisibili ex art.
15
234 cod. proc. pen. —ma hanno chiesto l’assunzione nella veste di testimoni di
coloro che avevano rilasciato quelle interviste.
4.4. Il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione circa la
declaratoria di “manifesta inammissibilità” della richiesta di revisione formulata ai
sensi della lettera d) dell’art. 630 cod. proc. pen.
Si sostiene, anzitutto, che le ragioni dell’istanza sono strettamente dipendenti
da quelle che sorreggono la richiesta di revisione formulata in base alla lettera c),
poiché molte di quelle pongono in luce la non corrispondenza al vero delle principali
fonti di prova: la macchia ematica sul battitacco; la testimonianza di
le confessioni dei condannati.
Si osserva poi che, in tale ottica, la difesa non è tenuta a dimostrare la falsità
delle prove, essendo sufficiente che tratteggi le irregolarità dimostrate dalle nuove
prove e le plurime anomalie riscontrate nella formazione delle prove poste a base
della condanna.
Si rileva che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite Pisano, la previsione
di cui all’art. 630 comma 1 lettera d) cod. proc. pen., diversamente da quanto
ritenuto dalla Corte di appello, “non preclude al giudice della revisione, con
singolare ma inevitabile interferenza con la previsione di cui all’articolo 630 lettera
c), di delibare incidentalmente in ordine alla mera ipotizzabilità della sussistenza
di elementi per procedere nei confronti del terzo autore del falso giudiziale, o di
altro reato”.
Si denuncia l’errore valutativo nel non consentire di esplorare il tema delle
intercettazioni mancanti, dovendosi ritenere, al riguardo, del tutto ininfluente il
rigetto, in sede esecutiva, della richiesta di accesso al server della Procura.
Si evidenziano le anomalie che hanno contrassegnato il procedimento volto
alla analisi dei reperti da svolgersi nelle forme dell’incidente probatorio. La
originaria declaratoria di inammissibilità della richiesta di incidente probatorio era
stata annullata con rinvio. La successiva dichiarazione di inammissibilità era stata
impugnata anch’essa con ricorso per cassazione, ma la mattina della udienza
fissata dinanzi alla Corte suprema, il cancelliere dell’ufficio corpi di reato di
si recava presso l’inceneritore e distruggeva i reperti della c.d. strage di
Si registra infine un difetto di motivazione sul profilo connesso alle video
i n t e r v i s t e e f f e t t u a t e dal d o t t o r
5. Il Sostituto Procuratore generale ha trasmesso una articolata memoria, con
la quale espone le ragioni della ritenuta infondatezza del ricorso.
Nella stessa linea si pongono le memorie delle parti civili.
16
Il d i f e n s o r e d i
controbatte alle argomentazioni
è sempre
dei ricorrenti, ponendo in rilievo che la cartella clinica di
stata agli atti (depositata dalla difesa di parte civile già all’udienza 29/01/2008, v.
faldone d/4) e da essa risulta che:
“- è stata esclusa qualsiasi forma di intossicazione dal test specifico
(emogasanalisi della carbossiemoglobina) effettuato ripetutamente al paziente fin
dall’immediatezza del primo ingresso in pronto soccorso (ore 21.42 ingresso –
21.55 prima emogasanalisi – v. pag. 220 estratto cartella clinica qui allegato), poi
nelle ore successive e infine quotidianamente fino al 17/12/2006;
– i suddetti test specifici sono evidenziati in ciascun referto (da pag. 208 a
pag. 223 della cartella), nell’indicazione: valori ossimetrici: valore fcohb% – che si
attesta sempre inferiore all’1,5% (all’ingresso in P.S. 1,1%);
– ogni test, dal primo all’ultimo, ha dato esito negativo, ossia sempre inferiore
al valore soglia (per soggetti non fumatori) di 1,5% di monossido nel sangue;
– le stesse consulenze difensive portatrici di elementi di novum, hanno
(correttamente) segnalato che solo valori oltre il 25% potrebbero comportare
conseguenze neurologiche degne di rilievo, tra cui quelle ipotizzate sulla
memoria”.
Pertanto, sostiene il difensore di parte civile, n o n a v e v a a l c u n a
intossicazione da monossido e quindi non ha sofferto di deficit cognitivi tardivi
secondo il decorso causale paventato dalle “prove nuove” offerte dalle difese.
Il difensore delle parti civili
ha trasmesso una memoria con la quale svolge una analitica critica sui
singoli motivi di ricorso.
I difensori dei condannati hanno trasmesso una memoria di replica alla
requisitoria scritta del Procuratore generale, contenente anche una attenta
disamina degli arresti giurisprudenziali più recenti in materia di giudizio di
r e v i s i o n e .
6. Si è proceduto a discussione orale su richiesta dei difensori dei ricorrenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati.
2. Le questioni sollevate con i motivi di ricorso richiedono un inquadramento
sistematico della revisione avendo riguardo ai valori che vi sono sottesi e alle
regole procedimentali che mirano ad attuali.
17
2.1. Come ha stabilito la Corte costituzionale con una pronuncia risalente ma
ancora attuale per i principi espressi: «l’istituto della revisione si pone nel sistema
delle impugnazioni penali quale mezzo straordinario di difesa del condannato ed è
preordinato alla riparazione degli errori giudiziari, mediante l’annullamento di
sentenze di condanna che siano riconosciute ingiuste posteriormente alla
formazione del giudicato. Esso risponde all’esigenza, di altissimo valore etico e
sociale, di assicurare, senza limiti di tempo ed anche quando la pena sia stata
espiata o sia estinta, la tutela dell’innocente, nell’ambito della più generale
garanzia, di espresso rilievo costituzionale, accordata ai diritti inviolabili della
personalità» (Corte cost. sent. n. 28 del 1969). La Consulta ha avuto, altresì, cura
di precisare che: «La revisione è necessariamente subordinata a condizioni,
limitazioni e cautele, nell’intento di contemperarne le finalità con l’interesse,
fondamentale in ogni ordinamento, alla certezza e stabilità delle situazioni
giuridiche ed alla intangibilità delle pronunzie giurisdizionali di condanna, che siano
passate in giudicato» (sent. n. 28 del 1969, cit.).
Nell’ambito del diritto convenzionale la Corte EDU afferma che il principio della
certezza del diritto è implicito in tutti gli articoli della Convenzione (cfr. tra le altre
Corte EDU, Grande Camera, 20 ottobre 2011, Nejdet Sahin e Perihan Sahin c.
Turchia § 56). Esso si manifesta in diverse forme e contesti, tra i quali si annovera
l’esigenza di non mettere più in discussione una sentenza definitiva (Corte EDU,
Grande Camera, 28/10/1999, Brumărescu c. Romania, § 61).
Ciò presuppone, in generale, il rispetto del principio della res iudicata, che,
salvaguardando il carattere definitivo delle sentenze e i diritti delle parti del
procedimento interno – comprese le persone coinvolte in qualità di vittime -, serve
a garantire la stabilità del sistema giudiziario e contribuisce alla fiducia dei cittadini
nella giustizia (Corte EDU, Grande Camera, Guämundur Andri Ástráosson, c.
Islanda, 01/12/2020, § 238; Corte Edu, 23/11/2023 Watesa c. Polonia, § 222 e
sS.).
La protezione contro la ripetizione del procedimento penale è una delle
garanzie specifiche derivanti dal principio generale di equità del processo in
materia penale di cui all’articolo 6 della CEDU (Corte Edu, 9 marzo 2006, Bratyakin
c. Russia).
Una deroga a tale principio è giustificata solo dalla necessità di correggere
difetti fondamentali della decisione o un errore giudiziario. Le autorità nazionali
devono avviare e condurre una procedura di revisione assicurando, per quanto
possibile, un giusto equilibrio tra gli interessi dell’individuo e la necessità di
garantire l’efficacia della giustizia penale (Corte Edu, 20/07/2004, Nikitine c.
Russia, § 57).
18
4
Nel medesimo senso si colloca anche la giurisprudenza di legittimità quando
evidenzia che la disciplina della revisione mira a comporre il conflitto tra esigenze
di giustizia formale ed esigenze di giustizia sostanziale, che, nella tensione
dialettica finalizzata alla ricerca della verità, accompagna l’intero corso del
processo e ne segna i passaggi salienti.
Le prime si concretizzano nel giudicato e nella necessità, che ne è alla base,
di fissare definitivamente l’accertamento giudiziale e di cristallizzare su
determinati risultati la ricerca della verità compiuta nel processo, nella
consapevolezza che la dinamica processuale deve trovare un punto di arresto di
fronte all’esigenza di certezza e di stabilità delle decisioni giurisdizionali quali fonti
regolatrici di relazioni giuridiche e sociali.
Sull’altro versante si pongono valori superiori rispetto ai quali l’ordinamento,
con precise scelte di politica legislativa, prevede un sacrificio del giudicato. Tra
questi vanno annoverati i rimedi all’errore giudiziario. Invero corrisponde alle più
profonde radici etiche di qualsiasi società civile il principio del favor innocentiae
che consente di riaprire il processo allorché ricorrono specifiche ipotesi,
tassativamente indicate, considerate dal legislatore sintomatiche della probabilità
di errore giudiziario e di ingiustizia della sentenza irrevocabile di condanna (cfr.
per tutte Sez. 1, n. 4837 del 06/10/1998, Bompressi).
I casi di revisione, previsti dall’art. 630 cod. proc. pen., rappresentano,
dunque, la tipizzazione legale di precise situazioni alle quali l’ordinamento
riconnette la probabilità di una condanna ingiusta vietando, al contempo, di
dissolvere ab intrinseco – in mancanza di n u o v i e l e m e n t i r i m a s t i e s t r a n e i ai
precedenti giudizi- l’efficacia formale e sostanziale del giudicato sulla base di una
diversa valutazione delle stesse prove esaminate nella sentenza divenuta
irrevocabile.
2.2. Il codice di rito stabilisce la tipologia di condanne soggette a revisione
(art. 629), i casi in cui il rimedio straordinario può essere attivato (art. 630), i
limiti (art. 631), i soggetti legittimati alla richiesta (art. 632), la forma della
richiesta e il giudice competente (art. 633), il modello procedimentale composto
da una delibazione di ammissibilità (art. 634) e dall’eventuale successivo giudizio
dibattimentale (art. 636) che si svolgono, entrambi, dinanzi allo stesso organo: la
Corte di appello individuata secondo i criteri di cui all’art. 11 cod. proc. pen.
2.2.1. Gli attuali caratteri del procedimento sono segnati dalla presa di
distanza del legislatore del 1988, in funzione estensiva ed espansiva delle
garanzie, rispetto a quello del 1930 e si trovano distintamente enucleati dalla Corte
c o s t i t u z i o n a l e .
19
«La “nuova” revisione presenta peculiarità che vanno ben oltre la semplice
individuazione di un diverso giudice chiamato a pronunciarsi sulla istanza. Tra le
non poche differenze, infatti, che connotano la disciplina della revisione dettata
dagli artt. 629 e seguenti del nuovo codice rispetto a quanto prevedevano gli artt.
553 e seguenti del codice abrogato, la prima, e più appariscente, attiene alla
mutata dinamica del procedimento ed alla soppressione della struttura bifasica che
ne caratterizzava le cadenze sotto la vigenza del codice del 1930. In luogo, infatti,
della precedente dicotomia tra la fase rescindente, devoluta alla cognizione della
Corte di cassazione e la fase rescissoria attribuita al giudice di merito individuato
in ragione delle varie ipotesi descritte dall’art. 561, secondo comma, del codice del
1930, il nuovo codice assegna il vaglio sulla ammissibilità della richiesta e la
conseguente cognizione del merito alla corte di appello nel cui distretto si trova il
giudice che ha pronunciato la sentenza di condanna di primo grado. Muta, quindi,
rispetto al passato sistema, non solo il criterio di determinazione della
competenza, ma la stessa struttura del procedimento, ormai “unificato” nelle sue
cadenze davanti ad un solo giudice (la corte di appello)» (Corte cost. sentenza n.
311 del 1991).
Ulteriore innovazione è stata introdotta con l’art. 631 cod. proc. pen. in forza
del quale: «gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono “essere tali
da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli
articoli 529, 530 o 531″. Poiché l’art. 530, secondo comma, stabilisce a sua volta
che “il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è
insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha
commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona
imputabile”, ne consegue che, in presenza di una prova insufficiente o
contraddittoria, la revisione, esclusa dal vecchio codice, viene ad essere nel nuovo
testualmente ammessa» (Corte cost. sentenza n. 311 del 1991, cit.).
2.2.2. Nonostante le nuove disposizioni e l’insegnamento del giudice
costituzionale, la giurisprudenza di legittimità persevera, non di rado,
nell’impiegare la “vecchia” terminologia per distinguere la delibazione preliminare
di ammissibilità rispetto al giudizio dibattimentale, ma si tratta di mere scorciatoie
linguistiche (definite dalla dottrina retaggio di ancien régime) che, è importante
sottolinearlo, non sottendono alcun tentativo di recuperare le “antiche” e superate
c a t e g o r i e .
Come si legge nella sentenza delle Sezioni Unite Pisano: «Nell’attuale sistema
normativo, diversamente dal regime delineato nel sistema del codice di rito
abrogato, non è ravvisabile nel procedimento di revisione una distinzione tra fase
rescindente e fase rescissoria, non soltanto perché il giudizio positivo circa
20
l’ammissibilità della richiesta non comporta intervento di alcun tipo sulla decisione
denunciata, ma anche perché – un argomento davvero complementare – la
seriazione procedimentale descritta dall’art. 629 e seguenti segnala l’esistenza di
una progressione che – sia pure attestata ai “casi” tassativamente previsti dall’art.
630 – implica, ove il giudizio di ammissibilità abbia esito positivo, una continuità
tra i due momenti, tale da incentrare nel giudizio di revisione stricto sensu inteso,
il segmento cruciale della procedura» (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2022,
in motivazione, paragrafo 9.1.; nel medesimo senso Sez. 1, n. 29660 del
17/06/2003, Asciutto, Rv. 226140 – 01).
2.2.3. Proprio la natura di impugnazione straordinaria giustifica l’adozione di
un modello procedimentale che richiede un preventivo vaglio di ammissibilità
finalizzato a scongiurare impugnazioni pretestuose o palesemente infondate o,
comunque, a evitare la celebrazione di un nuovo processo, che appaia ex ante
superfluo in base alle regole valutative dettate dal legislatore.
Quale necessario antecedente logico-giuridico dell’apertura del giudizio di
revisione, l’indagine preliminare costituisce un momento interno al procedimento
che, risultando finalizzato al vaglio di ammissibilità della richiesta, si sviluppa nei
seguenti passaggi, enucleabili sulla scorta dell’art. 634 cod. proc. pen.: verifica
d e l l ‘ o s s e r v a n z a dell’oggetto dell’istanza, delle forme prescritte e della
legittimazione del richiedente; riconducibilità delle ragioni per le quali è chiesta la
revisione a una delle ipotesi tassativamente previste dall’art. 630 cod. proc. pen.;
idoneità dei nuovi elementi a provare, se accertati, che il condannato deve esser
prosciolto anche con formula dubitativa; non manifesta infondatezza della
richiesta.
3. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Secondo i ricorrenti, una volta che il Presidente della Corte di appello abbia
emesso il decreto di citazione a giudizio a norma dell’art. 636 cod. proc. pen., non
sarebbe più consentito chiudere il processo di revisione con una declaratoria di
inammissibilità, ma occorrerebbe dar corso all’istruttoria dibattimentale.
La tesi non ha pregio.
3.1. Come insegnano le Sezioni Unite Pisano, pronuncia eletta dagli stessi
ricorrenti ad archetipo di riferimento, la norma di cui all’art. 634 cod. proc. pen.,
che individua le cause di inammissibilità della istanza di revisione, non preclude di
assumere la decisione di inammissibilità con sentenza definitoria del giudizio, una
volta che questo sia stato disposto (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002,
Pisano, Rv. 220441).
21
La conclusione è sostenuta dall’analisi condotta ai paragrafi 9.2. e 9.3 della
pronuncia delle Sezioni Unite Pisano, di seguito riassunta.
La delibazione sull’ammissibilità della richiesta di revisione non diverge
dall’accertamento che il giudice dell’impugnazione è tenuto ad effettuare, e con
valenza meramente incidentale, sull’ammissibilità dell’impugnazione stessa; tanto
che solo se l’impugnazione risulti inammissibile, l’inammissibilità deve essere
dichiarata, non essendo richiesta una esplicita dichiarazione di ammissibilità.
Torna applicabile la previsione dell’art. 591, comma 4, cod. proc. pen.
(«l’inammissibilità può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento»)
da ritenere norma generale, riferibile ad ogni mezzo di impugnazione e, quindi,
a n c h e alla revisione.
Pertanto l’emissione del decreto di citazione a giudizio non osta alla
declaratoria di inammissibilità della richiesta di revisione, posto che, per
definizione, nessuna preclusione, né tantomeno alcun giudicato interno, potrebbe
formarsi sul punto.
Le Sezioni Unite Pisano definiscono costante la linea interpretativa in base alla
quale l’inammissibilità della richiesta di revisione può essere dichiarata, anche con
sentenza, successivamente all’instaurazione del giudizio ai sensi dell’art. 636. «E
ciò perché il procedimento di revisione si sviluppa in due fasi: la prima è costituita
dalla valutazione – che avviene de plano, senza avviso al difensore o all’imputato
della data fissata per la camera di consiglio – dell’ammissibilità della relativa
istanza e mira a verificare che essa sia stata proposta nei casi previsti e con
l’osservanza delle norme di legge, nonché che non sia manifestamente infondata;
la seconda è, invece, costituita dal vero e proprio giudizio di revisione mirante
all’accertamento e alla valutazione delle “nuove prove”, al fine di stabilire se esse,
sole o congiunte a quelle che avevano condotto all’affermazione di responsabilità
del condannato, siano tali da dimostrare che costui deve essere prosciolto. In
questa seconda fase – che si svolge nelle forme previste per il dibattimento – è
consentito alla corte di appello rivalutare le condizioni di ammissibilità dell’istanza
e di respingerla senza a s s u m e r e le prove in essa indicate e senza dare corso al
giudizio di merito» (cfr. Sezioni Unite Pisano, cit.).
«Pertinente appare, dunque, il richiamo all’art. 636, comma 1, perché al
procedimento di revisione si applicano, per la vocatio in ius, le norme generali
previste per il giudizio di appello; con la conseguenza che l’emissione del decreto
di citazione non è necessaria quando ricorra un’ipotesi di inammissibilità; il che,
peraltro, non sta a significare che ogni qualvolta sia stato emesso il decreto di
citazione l’inammissibilità non possa essere dichiarata. Infatti, ancorché siano tra
loro diverse le cause di inammissibilità della revisione (art. 634) e le cause di
22
inammissibilità dell’appello, si deve convenire che, essendo identico, nel suo
insieme, il modello procedimentale prescelto per entrambi i mezzi di
impugnazione, pure in tema di revisione si rende applicabile il disposto dell’art.
591, comma 4, in base al quale, quando non è stata rilevata di ufficio prima
dell’emissione del decreto di citazione a giudizio, l’inammissibilità “può essere
dichiarata in ogni stato e grado del procedimento”. Dunque, la possibilità di
dichiarare l’inammissibilità della richiesta di revisione quando questa risulti o
manifestamente infondata o proposta fuori delle ipotesi previste dagli artt. 629 e
630 ovvero senza l’osservanza delle disposizioni contenute negli artt. 631, 632,
633 e 641, non preclude l’adozione della stessa declaratoria, per i medesimi
motivi, con la sentenza conclusiva del giudizio, una volta che questo sia stato
disposto» (cfr. Sezioni Unite Pisano, cit.).
3.2. I rilievi appena svolti consentono di porre in risalto anche un ulteriore
profilo.
L’art. 618, comma 1 bis, cod. proc. pen., inserito dall’art. 1, comma 66, legge
23 giugno 2017, n.103, stabilisce che le decisioni delle Sezioni Unite hanno valore
vincolante per le sezioni semplici della Corte di cassazione le quali, se non ne
condividono il principio di diritto, devono rimettere di nuovo la questione alle
Sezioni Unite.
La norma ha introdotto una ipotesi di rimessione che, a differenza di quella,
facoltativa, di cui al comma 1, si caratterizza per essere obbligatoria, nel segno
della volontà di rafforzare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione
attraverso il consolidamento del ruolo delle Sezioni Unite (così in motivazione Sez.
U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli).
L’intento è quello di offrire uno strumento a garanzia della prevedibilità delle
decisioni future, posto che, secondo i parametri della Corte EDU, la certezza del
diritto rappresenta un corollario fondamentale dello Stato di diritto, nella misura
in cui garantisce la stabilità delle decisioni giudiziarie, che a sua volta è condizione
essenziale della fiducia dei consociati nel sistema giudiziario (cfr., tra le altre, Corte
EDU, 22 dicembre 2015, Stankovic e Trajkovic c. Serbia).
L’art. 618, comma 1 bis, cod. proc. pen. «trova applicazione anche con
riferimento alle decisioni intervenute, come nella specie, precedentemente
all’entrata in vigore della nuova disposizione: il tenore generale della norma e la
ratio ispiratrice appena ricordata consentono di ritenere, in mancanza tra l’altro di
una apposita disciplina di carattere intertemporale, subito applicabile la nuova
disposizione posto che il valore di “precedente vincolante”, tale da imporre
obbligatoriamente alla sezione semplice la rimessione del ricorso, è identificabile
con la sola peculiare fonte di provenienza della decisione, indipendentemente dalla
23
collocazione temporale di quest’ultima, se cioè ante o post riforma» (così Sez. U,
n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273549 – 01).
Nella specie il “precedente vincolante”, presidiato dall’art. 618 comma 1 bis
cod. proc. pen., va individuato in quello espresso dalle Sezioni Unite Pisano, da cui
questo collegio non intende discostarsi.
3.3. A tale riguardo va rimarcato che – a differenza delle Sezioni Unite Pisco
(Sez. U, n. 18 del 10/12/1997, dep. 1998, Rv. 210040 – 01) – la sentenza delle
Sezioni Unite Pisano (che comunque recepisce espressamente il principio già
statuito dalle prime) interviene nel vigore della nuova formulazione dell’art. 111
Cost. (a seguito della legge costituzionale n. 2 del 1999). Pertanto neppure si verte
in un caso in cui al «precedente vincolante» abbia fatto seguito una modifica
normativa o una sentenza della Corte costituzionale (anche interpretativa di
rigetto), ipotesi che renderebbe inoperante la previsione dell’art. 618 comma 1 bis
cod. proc. pen. (cfr. Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, Moscuzza, in motivazione).
La soluzione cui pervengono le Sezioni Unite Pisano non si pone in contrasto
con il principio del “contraddittorio nella formazione della prova”, consegnato al
quarto comma dell’art. 111 Cost., più volte invocato dai ricorrenti.
Basti osservare che l’inammissibilità dell’istanza di revisione soggiace a criteri
valutativi operanti su altro e diverso piano rispetto a quello di formazione di una
prova, criteri anch’essi fissati dal legislatore a presidio di valori a matrice
costituzionale quali l’interesse, fondamentale in ogni ordinamento, alla certezza e
stabilità delle situazioni giuridiche ed alla intangibilità delle pronunzie
giurisdizionali di condanna passate in giudicato.
La prova richiesta sarà raccolta nel contraddittorio soltanto s e non
ricorreranno le condizioni di inammissibilità indicate dalla legge, le quali, peraltro,
lungi dall’infrangere il principio del contraddittorio, devono essere apprezzate
aderendo alla prospettazione difensiva e verificandone l’impatto sul giudicato (cfr.
più estensivamente infra, paragrafo 4).
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il diritto alla prova deve essere
interpretato nei limiti delle ragioni proprie del processo revisionale, per cui, ove le
“nuove prove” risultino inidonee ad inficiare l’accertamento del fatto, il giudice
della revisione è legittimato a non ammetterle e a dichiarare inammissibile o
rigettare la richiesta (Sez. 3, n. 20467 del 04/04/2007, Cadotti, Rv. 236673 – 01).
È vero che alcune pronunce di legittimità fanno leva sulla distinzione, logica e
funzionale, della duplice dimensione – rescindente e rescissoria – del giudizio di
revisione «in quanto maggiormente compatibile con il quadro normativo
richiamato, e, soprattutto, con un’interpretazione costituzionalmente orientata
delle norme codicistiche che vengono in rilievo, alla luce della più spiccata
24
sensibilità per i principi del “giusto processo” e del “contraddittorio tra le parti”
indotta dalla riforma costituzionale dell’art. 111 Cost., successiva alla pronuncia
delle Sezioni Unite del 1998» (Sez. 3, n. 15402 del 20/01/2016, Di Pressa,
paragrafo 2.2., pag. 7).
Tuttavia l’affermazione muove da premesse non convincenti che: divergono
dai caratteri del “nuovo” procedimento di revisione; archiviano le Sezioni Unite
Pisco del 1998, ritenendole superate dalle nuove istanze costituzionali del giusto
processo, ma evitano di confrontarsi con la sentenza delle Sezioni Unite Pisano
pronunciata nella piena vigenza dell’art. 111 Cost.; non spiegano le ragioni della
ritenuta incompatibilità con i principi costituzionali.
In realtà, come già osservato al paragrafo 2, anche la citata sentenza Sez. 3
Di Pressa, al pari di altre (molte delle quali richiamate in ricorso), si radica, è vero,
su categorie superate, ma poi, in definitiva, giunge ad affermare un principio (del
tutto indipendente da quelle categorie) pienamente condivisibile: la necessaria e
legittima delibazione prognostica (in qualunque forma e in qualunque momento
adottata) non può mai travalicare, a pena di incorrere in vizio motivazionale, in
una indebita anticipazione del giudizio di merito.
A ben vedere il reale fulcro della questione è imperniato non sul rispetto o
meno di un modello procedimentale (che alcune pronunce, a dispetto delle nuove
norme e degli insegnamenti delle Sezioni Unite, continuano a incasellare in rigide
scansioni), né sulla tipologia di provvedimento adottato (ordinanza emessa de
plano o sentenza pronunciata nel contraddittorio delle parti), quanto piuttosto sul
corretto impiego dei criteri valutativi dettati dall’art. 634 cod. proc. pen. (oggetto
di più ampia disamina infra al paragrafo 4).
Su quest’ultimo profilo finiscono per convergere tutte le decisioni della Corte
di cassazione, indipendentemente dalle diverse (e non sempre persuasive) basi
teoriche da cui prendono le mosse ed è grazie a questa confluenza che non si
apprezza alcun effettivo contrasto esegetico.
3.3. In conclusione – chiarito che, con riguardo all’attuale disciplina
della revisione, è improprio continuare a distinguere una fase rescindente e una
fase rescissoria – va riaffermato il principio per cui la Corte di appello può
rivalutare la richiesta di revisione e dichiararne con sentenza l’inammissibilità
anche nella fase degli atti preliminari allorquando risulti, per qualsiasi ragione, che
le prove richieste manchino del requisito della novità o della idoneità a provocare
l’assoluzione del condannato, non residuando in tal caso alcun ulteriore
accertamento che giustifichi il prosieguo del dibattimento e lo svolgimento di
ulteriore attività difensiva (cfr. Sez. 3, n. 43573 del 30/09/2014, G., Rv. 260989
– 01; Sez. 2, n. 34773 del 17/05/2018, Turrà, Rv. 273452 – 01).
25
Discende che la declaratoria di inammissibilità pronunciata dalla Corte di
appello di Brescia dopo la citazione a giudizio è rispondente al modello
procedimentale disegnato dal legislatore, come enucleato dalle Sezioni Unite della
Corte di cassazione.
Ed anzi la procedura seguita dalla Corte bresciana ha assicurato ai condannati
più pregnanti garanzie, poiché il provvedimento di inammissibilità è stato assunto
non de plano (come consentito) ma dopo l’instaurazione del contraddittorio,
avvenuta a seguito della citazione delle parti, quindi con un maggior grado di tutela
rispetto al “modello base minimo” disegnato dall’ordinamento.
Peraltro la pronuncia impugnata non potrà mai costituire una “decisione a
sorpresa”, dato che esprime la medesima linea interpretativa elaborata dalla Corte
di cassazione, nel suo massimo consesso, e quindi la sentenza di inammissibilità
rappresenta un esito prevedibile anche dopo la vocatio in ius.
4. Il secondo motivo di ricorso è, nel complesso, infondato, pur presentando
profili di inammissibilità.
4.1. Le censure difensive si appuntano, in modo precipuo, su quello che, come
già osservato, rappresenta il punto nevralgico del sistema: il rispetto dei criteri
valutativi della inammissibilità a mente degli artt. 630-634 cod. proc. pen.
I ricorrenti contestano la declaratoria di inammissibilità della richiesta di
revisione formulata ai sensi dell’art. 630, lett. c), cod. proc. pen. facendo leva su:
il concetto di prova nuova (anche applicato alla prova scientifica); il mancato
rispetto della regola “prognostica” di cui all’art. 631 cod. proc. pen.; l’insussistenza
di una infondatezza “manifesta”; la mancata valutazione sinergica delle nuove
p r o v e .
Nel condurre la relativa analisi l’interprete deve essere guidato dalla necessità
di trovare un equilibrato bilanciamento tra i contrapposti valori in rilievo:
assicurare prioritaria tutela all’innocente ingiustamente condannato, senza
sacrificare, oltre il necessario, la certezza e stabilità delle situazioni giuridiche.
Quindi, per un verso, occorre procedere a una seria delibazione preliminare
«anche dettagliatamente e approfonditamente motivata» delle “nuove prove”
offerte con l’istanza di revisione (Sez. 1, n. 4126 del 13/10/1993, Geri, Rv. 195611
– 01; tra le ultime Sez. 1, n. 5684 del 05/11/2024, dep. 2025, non massimata), sì
da non riaprire, senza basi solide, un “secondo” processo.
Per altro verso, occorre evitare che quel vaglio preliminare sconfini in una
«penetrante anticipazione del giudizio di merito» (Sez. 5, n. 15403 del
07/03/2014, Molinari, Rv. 260563 – 01), in modo da non frapporre un ostacolo
insuperabile all’accesso alla revisione per la persona ingiustamente condannata.
26
4
L’assunzione dibattimentale delle prove richieste è consentita a condizione
che i nuovi elementi, se dimostrati, siano in grado di ribaltare (anche solo
attraverso una formula proscioglitiva di dubbio) il giudicato di condanna; in
assenza di tale presupposto il dibattimento si rivela superfluo e pertanto sul
procedimento di revisione cala lo sbarramento della inammissibilità.
4.1.1. La prova nuova.
A mente dell’art 630, lett. c), cod. proc. pen., la revisione può essere richiesta
«se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o
unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a
norma dell’articolo 631».
La nozione di “prova” e quella di “novità” ricevono limpida definizione nella
sentenza delle Sezioni Unite Pisano più volte citata.
L’espressione “prove”, adottata dall’art. 630, lettera c), cod. proc. pen.
corrisponde a “elementi di prova”.
L’elemento di prova è quel dato che, introdotto nel procedimento, può essere
utilizzato dal giudice come fondamento per la successiva attività inferenziale.
Esso si differenzia dalla “fonte di prova” rappresentata dal soggetto o
dall’oggetto da cui può derivare almeno un elemento di prova.
L’attività attraverso la quale viene introdotto nel procedimento almeno un
elemento di prova è il “mezzo di prova”.
Sulla base dell’elemento di prova si svolgerà il procedimento intellettivo del
giudice, il cui esito sarà rappresentato da una proposizione costituente il “risultato
della prova” che, a sua volta, va concettualmente distinto dalla “conclusione
probatoria”, raggiunta solo al termine della valutazione della prova.
L’oggetto di prova potrà considerarsi dimostrato quando si sarà verificata la
coincidenza tra l’affermazione probatoria (vale a dire, l’enunciato circa un fatto) e
il risultato della prova, dovendo qui ripetere che in tal caso potrà concludersi che,
in sé e per sé (salva la valutazione dei fatti secondari), la prova è “riuscita”, nel
senso che ha dato esito positivo, ovvero è “fallita”, nel senso che ha dato esito
negativo.
Il concetto di “prova nuova” va ricostruito avendo di mira l’oggetto che essa
deve introdurre nel processo di revisione e che si sostanzia comunque nella
rappresentazione di un fatto (fondato “eventualmente” sugli elementi
potenzialmente idonei a dimostrarlo) in grado di vincere, nel contesto tipico della
procedura di ammissibilità, la resistenza del giudicato.
Ergo per prove nuove —rilevanti a norma dell’art. 630 lett. c) cod. proc. pen.
ai fini dell’ammissibilità della istanza di revisione – devono intendersi non solo le
p r o v e s o p r a v v e n u t e alla s e n t e n z a definitiva di condanna e quelle scoperte
27
successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio
ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di
prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue nel processo di cognizione, e
indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di
quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura
doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore
giudiziario (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220443 – 01).
L’approdo della giurisprudenza interna si trova in piena armonia con
l’interpretazione che la Corte Edu offre in merito all’art. 4, comma 2, protocollo
addizionale 7 CEDU, a mente del quale la regola del ne bis in idem (sancita d a
comma 1) non impedisce la riapertura del processo, conformemente alla legge ed
alla procedura penale dello Stato interessato, se dei fatti nuovi o degli elementi
nuovi o un vizio fondamentale nella procedura antecedente avrebbero potuto
condizionare l’esito del caso. La Grande camera ha stabilito che detta previsione
non distingue tra noviter reperta aut producta, sicché, nel processo di revisione, è
consentito dare accesso anche a prove già presenti agli atti e mai valutate dal
giudice della cognizione sebbene rilevanti ai fini del sindacato sulla colpevolezza
(Corte Edu, Grande camera, 08/07/2019, Mihalache c. Romania).
4.1.2. La prova scientifica.
È utile ripercorrere, in sintesi, l’evoluzione della giurisprudenza di questa
Corte circa l’attitudine degli accertamenti tecnico-scientifici ad assumere valenza
di prova nuova ex art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Il più risalente indirizzo escludeva in radice l’idoneità di una diversa e nuova
valutazione tecnico-scientifica dei dati già noti ad integrare la prova nuova ai fini
della revisione, trattandosi di apprezzamenti critici relativi a elementi già
conosciuti e valutati nel giudizio (Sez. 2, n. 5494 del 12/12/1994, dep. 1995,
Muffari, Rv. 201111 – 01; Sez. 1, n. 1095 del 23/02/1998, Nappi, Rv. 210022 –
01).
Successivamente la Corte di cassazione ha avvertito la necessità di superare
quel rigido orientamento esegetico che: trovava fondamento su una concezione
positivistica della scienza intesa come insieme di conoscenze complete, certe,
uniche; rifiutava l’idea che nella nozione di scienza fosse insito il concetto di
fallibilità, di relatività, di evoluzione; rifuggiva il metodo della falsificabilità, nonché
la ricerca e la valutazione di altre differenti ricostruzioni del fatto storico; non
accettava la prospettiva che l’utilizzazione di un diverso criterio, pur se applicato
agli stessi elementi, potesse produrre esiti affatto diversi; rifuggiva la
dimostrazione dell’applicabilità di leggi scientifiche alternative che dessero al fatto
provato una spiegazione differente. Ad esso si accompagnava la preoccupazione
28
di una inconciliabilità logica tra le esigenze di certezza e di stabilità proprie
dell’accertamento effettuato nel processo penale e assicurate dal giudicato e le
finalità gnoseologiche della scienza, contraddistinta, per sua stessa natura, dalla
incompletezza e provvisorietà delle acquisizioni conoscitive raggiunte (così in
motivazione Sez. 1, n. 15139 del 08/03/2011, Ghiro).
Si è quindi sviluppato il più recente e ancora attuale orientamento – coerente
con le indicazioni provenienti, da un lato, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo
e, dall’altro, dalle Sezioni Unite Pisano – secondo il quale la necessità di nuovi
accertamenti peritali può rendere ammissibile la richiesta di revisione non solo
quando riguardi nuove sopravvenienze fattuali, ma anche quando sia motivata
dall’impiego di nuove tecniche e conoscenze scientifiche su dati già acquisiti.
«Alla stregua di questa diversa impostazione, quindi, la novità della prova
scientifica può essere correlata all’oggetto stesso dell’accertamento oppure al
metodo scoperto o sperimentato, successivamente a quello applicato nel processo
ormai definito, di per sé idoneo a produrre nuovi elementi fattuali» (Sez. 1 Ghiro
cit.) a condizione che si tratti di applicazioni tecniche accreditate e pienamente
attendibili dal livello del sapere acquisito dalla comunità scientifica (Sez. 1, n. 4837
del 06/10/1998, Bompressi, Rv. 211457; conf. Sez. 1, n. 25810 del 07/05/2002,
Gucci, Rv. 221589; Sez. 6, n. 26734 del 15/04/2003, Morabito Rv. 227422).
Se, dunque, costituisce “prova nuova” quella che mira ad introdurre elementi
di fatto diversi da quelli già presi in considerazione nel precedente giudizio (Sez.
6, n. 53428 del 05/11/2014, Rubino, Rv. 261840), alla stessa conclusione deve
giungersi con riferimento alla diversa valutazione tecnico-scientifica di elementi
fattuali, quando risulti fondata su nuove metodologie, più raffinate ed evolute,
idonee a cogliere dati obiettivi nuovi, sulla cui base vengano svolte differenti
valutazioni tecniche (così in motivazione Sez. 5, n. 10523 del 20/02/2018, Rossi,
cit.).
Tutto ciò va inserito, ovviamente, nel perimetro degli artt. 631 e 634 cod.
proc. pen., nel senso che anche la prova scientifica, per quanto innovativa e
accreditata, deve prospettare al giudice un risultato probatorio capace, se
verificato, di incidere (unitamente ad altri eventuali elementi) sul giudicato già
f o r m a t o s i .
4.1.3. Il giudizio prognostico e la manifesta infondatezza.
Diviene allora necessario approfondire la disamina vertente sull’indagine
preliminare di ammissibilità, specificandone i contenuti e la portata in riferimento
ai punti concernenti sia i “limiti” sanciti dall’art. 631 cod. proc. pen. sia la non
manifesta infondatezza della richiesta di cui all’art. 634 cod. proc. pen.
29
Il contenuto e la funzione del controllo imposto dall’art. 631 possono essere
ricavati, con sufficiente precisione, dal testo di tale disposizione, secondo cui «gli
elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena di inammissibilità
della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve
essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 o 531».
Oltre ad esprimere in forma sintetica il risultato potenziale cui deve tendere
l’istituto della revisione (Rel. prog. prel., p. 137), la norma chiarisce, in termini
inequivoci, che l’indagine svolta nell’ottica del citato art. 631 corrisponde a un
giudizio compiuto sulla base delle conoscenze fornite dalle nuove prove e della
idoneità di esse a capovolgere l’esito del giudizio mediante la sostituzione della
decisione irrevocabile di condanna con una di proscioglimento, nel senso che,
assunti come veri i fatti prospettati dal richiedente, l’incidenza delle nuove prove,
sole o unite a quelle già valutate, deve essere tale da giustificare (per quanto qui
interessa) la pronuncia di una sentenza di assoluzione per non aver commesso il
fatto anche con formula dubitativa (così Sez. 1, n. 4837 del 06/10/1998,
Bompressi, cit.).
Nella giurisprudenza di legittimità è ricorrente l’affermazione che tale
delibazione debba compiersi “in astratto” mentre l’esame “in concreto” o “nel
merito” è riservato alla fase successiva all’assunzione della prova stessa.
Il riferimento alla categoria dell’astrattezza va, però, correttamente
interpretato.
Il requisito dell’astrattezza attiene non al concetto di generalità e
indeterminatezza, come tale avulso dal “caso concreto” oggetto di scrutinio, bensì
al carattere della idoneità probatoria, da vagliarsi in modo estrinseco,
“dall’esterno”, per saggiare, ex ante, la capacità della “affermazione probatoria”
(cioè del risultato di prova come ipotizzato dalla parte) di incidere, in maniera
decisiva, sull’esito del processo già definito. L’impiego del termine “in astratto”
serve a tracciare una chiara linea di demarcazione che non lasci dubbi circa il
divieto, nella fase preliminare, di penetrare all’interno della prova richiesta,
anticipando un giudizio di conferma (prova riuscita) o di falsificazione (prova
fallita) che può essere espresso solo ex post dopo l’assunzione della prova stessa.
In sostanza, nel vaglio di ammissibilità, il giudice è chiamato a stabilire se,
dando per accertati i fatti che i nuovi elementi di prova intendono dimostrare, il
giudicato di condanna verrebbe travolto. Quindi la deliberazione va condotta in via
prognostica e dall’esterno, in tal senso viene definita come “astratta”.
In questa prospettiva si coglie l’importanza e la necessità di un simile
preliminare vaglio, poiché sarebbe inutile e dispendioso dare corso alla
acquisizione di prove che, anche se riuscissero a raggiungere l’esito dimostrativo
30
indicato dai richiedenti, non sarebbero comunque in grado di ribaltare
l’affermazione di responsabilità dei condannati.
Alla valutazione imposta dall’art. 631 cod. proc. pen. deve seguire quella sulla
manifesta infondatezza ex art. 634 cod. proc. pen., che, seppur distinta, risulta
strettamente correlata alla prima. Essa si sostanzia in una indagine di merito
(implicata dal concetto di “fondatezza”) e, nell’ipotesi di prospettazione di prove
nuove, si traduce nel riscontro della persuasività e della congruenza dei risultati
probatori che l’impugnazione straordinaria si propone di raggiungere.
Il punto nodale della manifesta infondatezza è rappresentato dai limiti entro i
quali contenere la relativa delibazione: da un lato la valutazione, pur diffusamente
argomentata, non può consistere in una anticipazione del giudizio di merito, che
finirebbe per risultare inevitabilmente superficiale e illogica, in quanto avulsa dal
contraddittorio tra le parti e fondata su una prova non ancora compiutamente
acquisita; dall’altro lato, la valutazione degli elementi addotti come prova, da
effettuarsi nei termini in cui essi sono prospettati, può rilevarne eventuali segni di
inconferenza, inaffidabilità o non persuasività ove siano “manifesti”, cioè evidenti.
L’attributo di “manifesta” infondatezza riceve una definizione chiara e non
opinabile, ispirata a parametri univoci, elaborati soprattutto nell’ambito della
inammissibilità del ricorso per cassazione, ma esportabili anche in questa sede per
i concetti generali che ne risultano distillati.
Esso evoca «la significazione di palese inconsistenza» di «pretestuosità
oggettiva prescindente dalla deliberata volontà dell’interessato» (cfr. Corte Cost.,
sentenza n. 183 del 2000; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., in motivazione) e
si sostanzia in prospettazioni ictu oculi prive di qualsiasi base giuridica o in critiche
vuote di significato in quanto all’evidenza contrastate dagli atti processuali come
accade, ad esempio, nel caso in cui si attribuisca alla motivazione della decisione
impugnata un contenuto letterale, logico e critico radicalmente diverso da quello
reale (cfr. in motivazione Sez. 2 n. 8327 del 24/11/2021, dep. 2022, Salvatore;
Sez. 2, n. 17281 del 08/01/2019, Delle Cave, Rv. 276916 – 01).
La disamina dei caratteri strutturali e funzionali della delibazione preliminare
relativa all’ammissibilità della r i c h i e s t a di r i e s a m e r i c h i e d e d u e ulteriori
precisazioni.
La prima è che, come già anticipato, lo scrutinio non può arrestarsi alla sfera
di pura genericità, ma deve porsi a raffronto con la realtà processuale. Una tale
esigenza è ben spiegabile quando si considera che occorre comparare le nuove
prove con quelle sulle quali si fonda la condanna divenuta irrevocabile; di talché è
compito indeclinabile del giudice della revisione identificare, nel momento della
sommaria delibazione, i fatti e le prove che rappresentano il tessuto logico-
31
giuridico del giudicato, ricostruito sulla base delle vicende del processo, al fine di
confrontarli con quelli addotti a giustificazione della revisione e di verificare la
potenziale idoneità di questi ultimi a condurre a una pronuncia di proscioglimento,
sia pure con la formula del dubbio (così Sez. 1, n. 4837 del 06/10/1998,
Bompressi). Al riguardo la giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’affermare
che la valutazione preliminare circa l’ammissibilità della richiesta proposta sulla
base dell’asserita esistenza di una prova nuova non può essere confinata
nell’astrazione concettuale, ma deve ancorarsi alla fattispecie concreta e
svilupparsi in termini realistici, così da non potere ignorare evidenti segni di
inconferenza e/o inaffidabilità della prova nuova rilevabili ictu oculi (cfr. tra le altre
Sez. 5, n. 1969 del 20/11/2020 dep. 2021, L., Rv. 280405 – 01; Sez. 2, n. 18765
del 13/03/2018, Buscaglia, Rv. 273029 – 01; Sez. 5, n. 36718 del 04/05/2017,
Aurichella, Rv. 271306 – 01; Sez. 1, n. 34928 del 27/06/2012, Conti Mica, Rv.
253437; Sez. 1, n. 41804 del 04/10/2007, Francini).
La seconda precisazione riguarda il metodo di valutazione delle prove nuove
e di raffronto delle stesse con quelle precedentemente esaminate. Le attività
valutative e di comparazione del materiale probatorio passano necessariamente
attraverso un apprezzamento unitario e globale, che implica l’accertamento
dell’idoneità dimostrativa in relazione al complesso delle prove, nuove e vecchie,
considerate nelle loro reciproche interrelazioni, raccordi o integrazioni (Sez. 1, n.
4837 del 06/10/1998, Bompressi). Si tratta di un profilo su cui insistono
ripetutamente i ricorsi, ma sul quale occorre intendersi: il vaglio sinergico delle
prove postula la capacità di ciascuno dei nuovi elementi di incidere in qualche
modo, anche se in maniera non individualmente decisiva, sui fatti accertati con la
condanna definitiva, si che messi in correlazione con altri elementi possano
raggiungere, in via prognostica, il risultato perseguito; se, invece, i singoli nuovi
elementi di prova risultassero del tutto privi di idoneità dimostrativa secondo i
criteri sopra enucleati, sì da rimanere confinati nell’alveo della totale irrilevanza,
sarà superfluo procedere a una loro valutazione globale.
4.2. È compito di questo collegio verificare, rimanendo all’interno del giudizio
di legittimità, il rispetto da parte del provvedimento impugnato delle regole
valutative sopra delineate.
Lo scrutinio verrà condotto enucleando le precipue ragioni della decisione e
verificandone la capacità di resistenza rispetto alle critiche formulate dai ricorrenti.
Va ricordato che non è consentito devolvere al giudice di legittimità una
rivalutazione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di a c c e r t a m e n t i
rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla
motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, comma 1,
32
lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni
giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta
illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al
fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi
dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei
motivi di gravame (cfr. Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen Wenjian, Rv.
284556 – 01).
4.3. Occorre muovere dalle fondamenta della pronuncia di condanna come
fissate negli esiti (sempre conformi) delle successive fasi di giudizio sfociate nella
decisione definitiva, le cui tappe vengono ripercorse nella parte introduttiva della
sentenza impugnata (pagg. 23-48).
Gli autori del quadruplice omicidio, del tentato omicidio e degli altri connessi
delitti sono stati individuati negli odierni ricorrenti sulla scorta degli elementi di
seguito riassunti (senza pretesa di esaustività).
4.3.1. Nella imminenza del fatto (nella notte tra l’11 e il 12 dicembre 2006)
la polizia giudiziaria procede alla audizione di tutti gli abitanti delle palazzine che
i n s i s t o n o sulla c o r t e c o m u n e di del Comune di Non emergono
spunti investigativi se non a carico dei coniugi c h e
suscitano l’attenzione degli inquirenti per il singolare comportamento tenuto e
perché a loro carico vi sono denunce di (cfr. sopra al paragrafo
2.2. del “ritenuto in fatto”); inoltre presenta una ferita fresca a un dito
e un’ecchimosi sul dorso della mano sinistra e una
sull’avambraccio.
Il 26 dicembre 2006 il brig. esegue un’ispezione sulla Seat Arosa di
L’utilizzo del luminol fa risaltare delle luminescenze sulla portiera
e sul battitacco lato conducente, sulla maniglia per regolare il sedile e sulla parte
destra del sedile passeggero; gli esiti della repertazione, effettuata con carta da
filtro sterile, vengono consegnati in data 29 dicembre 2006 al consulente tecnico
del Pubblico Ministero dott.
Gli esami genetici, effettuati dal dottor prima nelle forme dell’art.
359 cod. proc. pen. e poi in quelle garantite dell’art. 360 cod. proc. pen.,
consentono di ricondurre la traccia di sangue prelevata dal battitacco a un profilo
genetico complesso “costituito da una componente chiaramente maggioritaria
perfettamente sovrapponibile al profilo genetico della vittima
L’unico sopravvissuto, d o p o iniziali dichiarazioni in cui sostiene
di non conoscere l’aggressore, afferma di aver riconosciuto
Sottoposti a fermo I’8 gennaio 2007 e immediatamente interrogati,
negano di essere i responsabili dell’accaduto. Tuttavia il 10
33
gennaio 2007 confessano ai pubblici ministeri di essere gli autori della strage e lo
ribadiscono al giudice per le indagini preliminari il 12 gennaio 2007.
Sulla scorta delle dichiarazioni confessorie i fatti sono stati ricostruiti secondo
le linee generali riepilogabili come segue: quella sera si t r o v a all’interno
della corte comune di quando nota farvi ingresso
che conduce l’auto del padre, con a bordo la madre e il figlio. che
nel frattempo lo ha raggiunto, indossano guanti di tela bianca, si muniscono di una
spranga di ferro e di coltelli, quindi irrompono nell’abitazione dei coniugi
trovatosi al cospetto di la colpisce
immediatamente con la spranga, poi si avventa contro
uccide il bambino, quindi insieme “finiscono” le due donne e appiccano il fuoco.
Nell’uscire dall’appartamento, si imbatte nei coniugi
che stanno scendendo le scale, provenendo dalla loro abitazione sita al piano
superiore; cerca di evitarli, chiudendo la porta, ma è costretto a riaprirla a causa
del fumo che si va diffondendo, così li affronta, impugna la spranga e la sferra
c o n t r o poi lo ferisce alla gola con un coltellino che tiene in tasca; la
colpisce ripetutamente con il coltello, lo stesso fa
dopo aver lasciato a t e r r a Conclusa l’azione, i due si recano nel locale
lavanderia (comune a tutti gli abitanti della corte di si lavano, si
cambiano, ripongono strumenti, vestiario, scarpe e il tappeto su cui si sono
cambiati in un sacco, si allontanano a bordo della Seat Arosa di Si
dirigono verso il cimitero di vicino al quale si trova un lavatoio; li si
puliscono delle residue tracce, quindi dividono la spazzatura in vari sacchetti che
smaltiscono in diversi cassonetti, la cui ubicazione è nota a grazie
all’attività di operatore ecologico da lui svolta.
Nel proprio interrogatorio_ specifica che:
si e r a
difesa morsicandole un dito e lottando con lei (aveva ancora la ferita fresca la
notte tra l’11 e il 12 dicembre in cui viene svegliata dai carabinieri); era stata lei
sola ad aggredire il bambino; lo aveva bloccato, comprimendogli la mano destra
sul volto, in modo tale da spingere indietro la testa, così da scoprire il collo e lei
(mancina) gli aveva inferto, con la mano sinistra, la coltellata mortale (mimava un
gesto che andava da sinistra a destra); sulle scale si e r a s u b i t o a v v e n t a t o
mentre lei aveva colpito ripetutamente
sferrando, tra l’altro, una coltellata dietro la coscia della donna, facendola cadere
a terra.
Giunti a processo, però, gli imputati si proclamano innocenti, sostenendo, con
brevi dichiarazioni, che la mattina del 10 gennaio 2007 erano stati indotti a
confessare crimini mai commessi dietro la falsa prospettazione di fortissimi sconti
34
4
di pena, di incontri più frequenti durante il regime carcerario e dell’impunità di uno
dei d u e .
La ritrattazione viene ritenuta inattendibile dai giudici della cognizione.
Come dà conto la sentenza della prima sezione della Corte di cassazione –
che ha reso definitiva la condanna degli odierni ricorrenti (n. 33070 del 3 maggio
2011) – numerosi sono i dati intrinseci ed estrinseci a conferma della genuinità
delle confessioni.
Si tratta di dichiarazioni spontanee, non indotte; gli imputati non si sono mai
lamentati di aver subito pressioni nel corso delle indagini (anzi hanno riconosciuto
la correttezza degli inquirenti), se non dopo il cambio di strategia difensiva.
I racconti confessori, oltre a riscontrarsi reciprocamente, sono arricchiti da
una serie di particolari (non emergenti aliunde) molto significativi, soprattutto
perché alcuni di essi possono essere noti soltanto agli autori delle condotte: il fatto
che le vittime fossero arrivate a bordo dell’auto del padre di
anziché della Panda che la donna era solita usare; la posizione finale del corpo
delle vittime (in base ai primi rilievi, che avevano avuto eco nella stampa
nazionale, sembrava essere deceduta sul pianerottolo dove era
stato trovato il corpo, mentre soltanto in un secondo momento si appurerà che il
cadavere della donna era stato trovato all’interno del suo appartamento da
che lo aveva trascinato fuori nel tentativo di sottrarlo alle fiamme);
l’utilizzo di due cuscini effettivamente rinvenuti dagli inquirenti accanto ai corpi di
le modalità attraverso cui è stato appiccato il fuoco all’interno
dell’appartamento della (l’incendio fu innescato nella camera da letto
matrimoniale e nella cameretta del bambino, accumulando e dando fuoco ai libri
e al contenuto dei cassetti); la dinamica e il luogo dell’aggressione contro i coniugi
(sul pianerottolo del primo piano e lungo il vano scale).
L’ultima circostanza riceve ulteriore conforto non solo dal posto in cui i
s o c c o r r i t o r i h a n n o t r o v a t o gravemente ferito, ma anche dal
rinvenimento di parte della protesi dentaria d i sul pianerottolo
del primo piano e di tracce del sangue della sul giubbotto di
(sicuramente rimasto al primo piano), sul muro, attorno alla porta di
ingresso dei e sui triciclo accanto a quell’ingresso; nonché dal colpo di
coltello (riscontrato dalla ferita da taglio rilevata in sede di esame autoptico) che
la racconta di aver sferrato alla coscia di
mentre
quest’ultima tentava di sottrarsi all’aggressione risalendo le scale.
Dati oggettivi, pienamente consonanti con le dichiarazioni ammissive (poi
ritrattate), provengono dalla consulenza medico legale, che acclara: che il
bambino aveva riportato due ferite da punta e da taglio di cui una superficiale in
35
zona sternoclaveare destra e un’altra mortale in sede sottomandibolare, con
incisione della carotide, provocata da un colpo sferrato da sinistra verso destra
proprio come mimato da che sul volto del piccolo erano presenti
escoriazioni compatibili – per tipologia, dimensioni e posizione – alla pressione
esercitata con le cinque dita della mano destra dell’aggressore; che
e la madre sono state colpite al capo da un corpo contundente, con una
forza tale da frantumare il tavolato osseo; che entrambe presentavano una ferita
da “scannamento” e molte altre ferite da punta e taglio – soprattutto al capo e al
collo, oltre che tra il torace e l’addome – più superficiali, senza interessamento di
organi profondi e che, considerato il tramite, potevano essere state sferrate da un
aggressore mancino fronteggiante le vittime; che la a v e v a s u b i t o lesioni
traumatiche con lo stesso corpo contundente impiegato per colpire le altre due
donne e presentava anche lei una ferita da scannamento, prodotta dalla stessa
arma usata per le altre vittime.
Fonte autonoma, dotata di rilevante forza probatoria, è costituita dalla
t e s t i m o n i a n z a d i il quale – sentito in dibattimento, nel
contraddittorio delle parti, sottoposto a serrato controesame – ha indicato senza
t i t u b a n z a in suo vicino di casa, l’autore dell’aggressione ai suoi
danni. La dinamica del fatto narrata dal testimone coincide esattamente con quella
riferita dagli imputati in sede di interrogatorio.
Nel medesimo senso depone la traccia ematica riferibile a
rinvenuta sul battitacco della autovettura di
I giudici della cognizione hanno evidenziato, inoltre, ulteriori elementi di
conferma della riconducibilità del fatto agli imputati: era in
possesso delle chiavi per aprire il portoncino di ingresso nella palazzina dei
(portoncino che “a volte era aperto e a volte no”); nessuna delle possibili
vie di fuga (quali ad es. il terrazzo di casa è stata usata dagli autori del
crimine, perché altrimenti si sarebbe evitato lo scontro con i coniugi
mancavano tracce di fuga degli autori del reato al di fuori della corte, mentre vi
erano tracce del sangue della sulla maniglia del portoncino e sull’ultima
rampa di scale verso l’uscita dallo stabile; ciò significava che, al termine
dell’aggressione, gli autori della strage erano sporchi del sangue delle vittime e
avevano avuto la possibilità di lavarsi all’interno dei locali della corte medesima;
persone estranee, ignote ai coniugi non avrebbero avuto motivo per
scagliarsi contro la coppia, mentre l’aggressione si spiegava con la necessità per
gli imputati, noti ai due testimoni involontari, di impedirne il riconoscimento, come,
del resto, rivela q u a n d o a c c u s a v a i di non essersi “fatti i fatti
loro”; diversamente dal solito, quella sera a v e v a lasciato la v e t t u r a
36
all’esterno del cortile; quella sera, fin dalle ore 17,45, si era verificata una
interruzione di energia elettrica in casa dovuta al distacco manuale del
contatore (operazione questa di c u i si assunse la paternità e che doveva
servire per costringere la una volta rientrata in casa, a riaprire la porta
per recarsi a riattivare il contatore sito al piano terreno).
Si è assegnato, inoltre, significativa valenza al movente, rivelato dagli stessi
imputati, rappresentato dalla insofferenza verso le pretese angherie patite ad
opera della famiglia e consegnato alle parole vergate da
nella lettera inviata nell’aprile 2007 al sacerdote padre “Non ci
siamo ancora resi conto di ciò che abbiamo fatto. Il perdono, il pentimento, si
contrappongono all’odio e alla rabbia, alle umiliazioni subite in questi anni, la
nostra colpa, la responsabilità di chi poteva evitare tutto questo e non lo ha fatto”;
movente che trovava effettiva corrispondenza nella conflittualità tra i due nuclei
familiari, anche considerato che, di lì a pochi giorni, i coniugi
avrebbero dovuto presentarsi avanti al giudice di pace, a seguito di querela sporta
a loro carico d a per lesioni ed ingiurie.
Sono state escluse piste alternative, in particolare la possibilità che si sia
trattato di una vendetta maturata nel mondo del narcotraffico, attorno al quale
gravitava marito d i e papà del bambino.
4.3.2. La base di raffronto dalle prove nuove è costituita, quindi, da un tessuto
logico-giuridico di notevole solidità non solo per la forza espressa da ognuna delle
principali prove acquisite in ragione della loro autonoma consistenza (“confessione
dei due imputati, ancorché ritrattata, ammissione di colpa riportata in appunti
manoscritti e in scritti diretti a terzi, deposizione dibattimentale dell’unico
t e s t i m o n e o c u l a r e –
, presenza di traccia ematica riconducibile a
sull’auto di così pag. 40 sentenza della Corte di cassazione
Sez. 1 n. 33070 del 03/05/2011), ma anche per la presenza di innumerevoli e
minuziosissimi elementi di riscontro.
4.4. Il secondo motivo di ricorso esordisce occupandosi delle nuove prove
inerenti alla testimonianza di (consulenze tecniche, captazioni
ambientali, nuove trascrizioni, audizioni e interviste).
4.4.1. La richiesta di revisione propone una lettura sinergica di nuovi elementi
fattuali e scientifici che, nella prospettiva degli istanti, dovrebbe condurrebbe a
i n v a l i d a r e il r i c o n o s c i m e n t o di da parte di
Secondo i ricorrenti la motivazione offerta dalla Corte di appello di Brescia
sarebbe viziata e, su alcuni punti, addirittura omessa; inoltre confonderebbe il
concetto di “elemento di prova” con quello, diverso, di “tema di prova”.
37
La censura è infondata se si ha riguardo al nucleo essenziale che guida la
decisione impugnata.
4.4.2. La consulenza collegiale sullo studio del riconoscimento dei volti
familiari e non familiari è del tutto priva di incidenza sulle ragioni poste a
fondamento della condanna, in quanto costruisce la valutazione scientifica dando
per acclarato un presupposto fattuale difforme da quello accertato all’esito del
giudizio di cognizione.
I consulenti dei condannati muovono dal dato che non abbia
riconosciuto, all’inizio, e sostengono che, in base alle più recenti
conquiste delle neuroscienze, non sia possibile passare da un volto ignoto al
successivo riconoscimento di un volto noto.
In realtà la sentenza definitiva di condanna ha appurato che
aveva riconosciuto immediatamente e senza ombra di dubbio
m e n t r e u s c i v a d a c a s a e proprio per questo gli si era avvicinato con
fiducia.
C o m e stesso ebbe modo di spiegare in dibattimento, non intese dirlo
subito agli inquirenti, ai figli e agli altri che lo sollecitavano, perché voleva capire:
non si capacitava dell’accaduto e la sua m e n t e rifiutava che un vicino di casa
potesse aver aggredito con una simile brutalità lui e la moglie (cfr. pagg. 188 e
seguenti sentenze della Corte di Assise di Como, pagg. 32 e 33 della sentenza
della Corte di appello Brescia, qui impugnata).
Su tale elemento è sceso il suggello della Corte di cassazione che, nel rigettare
i ricorsi degli imputati avverso la c.d. “doppia conforme di condanna”, ha così
stabilito: «[…] la spiegazione fornita dal testimone s u l l a s u a
difficoltà a credere che potesse esser stato a d averlo aggredito, nonché
la dolorosa fermezza con cui questi ebbe a ribadire le sue affermazioni, hanno
offerto un solidissimo ancoraggio, che non poteva ammettere letture alternative
a l f a t t o c h e ebbe a riconoscere subito il ma che non riusci sulle
prime a darsi spiegazione della sua presenza in quel luogo. Nessun vizio di illogicità
è dato riscontrare come vorrebbe la difesa, posto che il giudizio di affidabilità sulla
testimonianza non è necessariamente legato al momento in cui la testimonianza
sia resa, ma va espresso alla luce di una complessiva ponderazione che tenga
conto anche delle ragioni per le quali il ricordo sia stato esternato con difficoltà:
sul punto i l è stato ritenuto credibile, perché ha plausibilmente spiegato
la temporanea rimozione del ricordo d e l s u l luogo del massacro, senza
accreditare neanche lontanamente la tesi difensiva dell’esser stato lo stesso
pesantemente condizionato dagli investigatori. Nessuna sfasatura in termini di
logicità e congruenza del ragionamento è dato cogliere in questo passaggio della
38
4
decisione, tanto più che la corte territoriale ha anche sottolineato come sia stata
proprio la circostanza di essersi trovato di fronte a soggetti conosciuti che sollecitò
i l a colpire anche i due ignari spettatori che, per dirla con una sua
espressione, “non si erano fatti i fatti loro”» (Sez. 1 n. 33070 del 03/05/2011,
pagg. 44); e ancora: «Ciò che è stato sottolineato nelle sentenze di merito è che,
anche ammesso il carattere suggestivo delle domande rivolte dai carabinieri, il
teste sia avanti ai pubblici ministeri, che avanti ai giudici, ha sempre tenuto fermo
di aver avuto distinti in mente i tratti d e l
come suo aggressore, ma di
aver esitato a menzionarlo ab initio, perché voleva capire come fosse stato
possibile che un normale condomino, con cui non aveva mai avuto nessun
contrasto, si fosse accanito così brutalmente su di lui e su sua moglie. La
valorizzazione di questa versione non espone la motivazione della sentenza a d
alcuna seria critica di illogicità o contraddittorietà. Non potevano portare la corte
ad opinare diversamente le dissertazioni della difesa, accreditate da una
consulenza di esperto in neurofisiologia che sono state correttamente ritenute a
rilevanza del tutto soccombente, a fronte di un ricordo di realtà nitida (presenza
del mentre esce da casa ma semplicemente incomprensibile,
come ha lucidamente rappresentato l’interessato (“perché come le ripeto
io, sempre fin dal primo istante che mi sono svegliato la persona che mi ha colpito
era lui, questo era fuori di dubbio, questa era la sicurezza che avevo assoluta però
non capivo il perché […]”). Né ha pregio la censura sulla asserita nullità delle
d i c h i a r a z i o n i d e l per il loro carattere indotto, atteso che come è stato
annotato, fu lo stesso testimone a d avere smentito di aver subito un qualsivoglia
condizionamento, ma di esser stato sollecitato ad esternare un ricordo vivo fin dal
primo istante di una realtà che faceva fatica ad accettare perché non
comprendeva, non solo perché a questa Corte non è consentita una rivalutazione
dei singoli contributi, ma perché la censura è ancorata a dati di fatto divergenti
dalle emergenze disponibili» (così testualmente pag. 45, Sez. 1 n. 33070 del
03/05/2011; l’argomento è richiamato a pag. 58 della sentenza della Corte di
appello di Brescia).
Ebbene, applicando il paradigma valutativo di cui all’art. 631 cod. proc. pen.,
emerge che, dando per assodato quanto la consulenza mira a dimostrare (e cioè
che non è possibile passare dalla conoscenza di un volto ignoto a quella di un volto
noto), il risultato ottenuto è del tutto irrilevante rispetto al tessuto argomentativo
della sentenza di condanna che ha accertato come nella specie il testimone abbia
riconosciuto subito il suo aggressore, scegliendo, però, di non riferirlo
immediatamente.
39
La modifica tra le primissime dichiarazioni del testimone e le successive non
ha nulla a che vedere con il tema scientifico indagato dalla consulenza, le cui
conclusioni, seppure dimostrate, non avrebbero alcuna capacità di incidere sul
giudicato.
4.4.3. Analogo, radicale vizio presentano le valutazioni degli esperti sulla
intossicazione da monossido di carbonio e sulla c.d. “amnesia anterograda” che
avrebbe p o r t a t o a una perdita progressiva del ricordo sui caratteri somatici
dell’aggressore, sostituiti con quelli “indotti” dagli inquirenti e da lui percepiti come
reali.
L’analisi dei consulenti tecnici si radica su un elemento di fatto che però risulta
insussistente: l’intossicazione da monossido di carbonio.
La Corte di appello di Brescia ha escluso che dalle cartelle cliniche di
emergesse una simile patologia (pag. 5 7 e n o t a 28 della sentenza
impugnata). Sul punto il difensore della famiglia r i m a r c a nella s u a
memoria che «è stata esclusa qualsiasi forma di intossicazione dal test specifico
(emogasanalisi della carbossiemoglobina) effettuato ripetutamente al paziente fin
dall’immediatezza del primo ingresso in pronto soccorso» (allega documentazione
sanitaria a sostegno).
I ricorrenti denunciano un vizio di travisamento della prova, sostenendo che
l’intossicazione trova conforto documentale nella consulenza “autoptica” del dr.
che ne da testuale conto a pagina 4 (allegato 61 alla richiesta di revisione,
allegato 6 al ricorso).
La censura è manifestamente infondata.
La natura dell’ipotizzato vizio consente a questo collegio di esaminare l’atto il
cui contenuto sarebbe stato infedelmente riprodotto.
L’allegato 61 alla richiesta di revisione, allegato n. 6 al ricorso è una relazione
preliminare depositata nella fase delle indagini preliminari, con la quale il
consulente del Pubblico ministero, dr. espone gli esiti dell’esame autoptico
condotto sulle salme di e
La relazione “autoptica” non riguarda che era
s o p r a v v i s s u t o .
Il brano riportato a pagina 4 della relazione, su cui fa leva il ricorso, riguarda
n o n ma la moglie le cui condizioni vengono
trattate a partire dalla precedente pagina 3. Il consulente rileva la presenza di un
tasso carbossiemoglobinemico del 37% circa, dato da cui, peraltro, trae la
conclusione che “la donna” è sopravvissuta “parecchi minuti” dopo essere stata
ferita con le armi improprie.
40
Pertanto, dalla regola valutativa di cui all’art. 631 cod. proc. pen., discende
che, dando per dimostrata l’analisi degli esperti, (l’intossicazione da monossido di
carbonio può produrre una amnesia anterograda), il risultato ottenuto non intacca
la decisione definitiva, poiché quell’accertamento scientifico non è collegabile alla
situazione fattuale attestata nella pronuncia irrevocabile di condanna.
Esclusa, già ex ante, la rilevanza della consulenza sul rapporto tra causa
(intossicazione da monossido di carbonio) ed effetto (amnesia anterograda) in
ragione della inesistenza della “causa”, cade anche la valenza di qualunque
dissertazione sulla pretesa “amnesia anterograda” in
e ciò per
almeno due ordini di ragioni, congruamente illustrate nella sentenza impugnata.
Anzitutto, una volta esclusa la causa ipotizzata dagli esperti, la patologia, in
assenza di qualunque dato obiettivo di riscontro, non è più che una mera ipotesi
congetturale.
In secondo luogo, la pronuncia definitiva ha acclarato che il testimone non ha
mai dimostrato sofferenze nella capacità di ricordare: «il testimone è lucido e
precisissimo nel fornire dettagli sui vicini, sulle abitudini familiari, sugli
avvenimenti di quella giornata e sull’aggressione, che descrive in modo coerente
rispetto alle altre emergenze istruttorie e sovrapponibile al racconto dello stesso
(pag. 58 sentenza impugnata); «Le condizioni di
durante la degenza e l’attenzione riservata in sede di cognizione alla progressione
della memoria del teste, d’altronde, sono la ragione di perché le audizioni siano
state registrate e oggetto di accertamenti peritali, a fronte di una deposizione
dibattimentale lucida, sicura e ricca di dettagli su ogni accadimento di quella sera
e sulla dinamica dell’aggressione subita, che contraddice la tesi dell’amnesia
anterograda – che avrebbe investito solo l’identità dell’aggressore, lasciando
intatta la memoria di ogni altro particolare – e che trova riscontro negli
accertamenti di carattere medico-legale sulle lesioni patite da e dalla
moglie, nelle deposizioni dei primi soccorritori […]» (ibidem, pag. 60).
4.4.4. Non si rilevano vizi motivazionali nel vaglio di inammissibilità delle
ulteriori prove attinenti al tema in rassegna (l’intervista al dott.
l’audizione, in merito a tale intervista, del giornalista le captazioni
ambientali all’interno della camera di degenza di le nuove
trascrizioni delle audizioni di questi del 20 e 26 dicembre 2006, del 2 gennaio
2007), trattandosi di elementi ictu oculi inidonei (per caratteri e contenuti) a
introdurre effettivi elementi di novità capaci di scalfire quanto accertato con la
pronuncia coperta da giudicato.
41
È questa la ratio decidendi e non la circostanza, criticata dai ricorrenti, che la
parte non aveva chiesto la trascrizione delle conversazioni nella originaria sede
deputata (cfr. pag. 60 sentenza impugnata).
4.5. Il luogo e le modalità di aggressione ai danni di
L’istanza di revisione introduce alcune consulenze volte, in tesi, a presentare
una dinamica del fatto diversa da quella riferita dai condannati nei loro
interrogatori sì da inficiare l’affidabilità delle dichiarazioni confessorie e rendere
plausibile l’ipotesi di una pista alternativa. Si tratta di: consulenza medico-legale
della d o t t . s s a in ordine alla impossibilità per di
invocare aiuto, dopo l’aggressione, a causa di una lesione alla lingua; consulenza
tecnica neurologica in merito alla dinamica della morte della donna redatta dal
prof.
4.5.1. La Corte di appello di Brescia esclude, in modo argomentato (pag. 61
sentenza impugnata), il carattere di novità della consulenza della dottoressa
che rappresenta una “riedizione ampliata” della relazione già svolta dalla
medesima consulente (unitamente ad altro esperto) nel processo di cognizione.
Il motivo di ricorso è generico e indeterminato, poiché, senza misurarsi con
le ragioni della decisione, si limita ad asserire, in modo apodittico, che la
consulenza presenterebbe carattere di novità.
4.5.2. La Corte di appello di Brescia ritiene che neppure la consulenza del
prof. superi il vaglio di ammissibilità.
Anche questa consulenza fissa come base di partenza un elemento
inesistente, indimostrato, meramente congetturale – quale la lacerazione del
muscolo psoas (“che lo stesso prof. ammette non essere stata refertata”,
pag. 63 sentenza impugnata) – che viene però assunto a basilare dato di fatto sul
quale si sviluppa la valutazione tecnica.
Sulla scorta di un attento esame di merito, non sindacabile in sede di
legittimità, la Corte di appello di Brescia evidenzia come la consulenza del prof.
risulti, gia ex ante, confinata nell’alveo delle mere ipotesi, priva di reale
sostegno in dati di fatto, e quindi del tutto recessiva rispetto all’ampio quadro
probatorio che ha consentito ai giudici della cognizione di ricostruire la dinamica
dell’aggressione ai danni di (pagg. 63-64 sentenza impugnata).
4.6. La c.d. Bloodstain Pattern Analysis (BPA) eseguita dalla dottoressa
La consulenza tende a riprodurre la dinamica del fatto attraverso l’analisi delle
macchie di sangue rilevate dalle fotografie.
La Corte bresciana nega il carattere della novità della prova; osserva che la
ricostruzione delle diverse scene del crimine (anche se non effettuata con il metodo
42
c.d. BPA) e, soprattutto, i dati segnalati dalla dottoressa hanno formato
oggetto di approfondimento e valutazione sia nella relazione degli allora consulenti
sia nelle sentenze di merito. Premette che già nell’appello di
cognizione le difese avevano chiesto, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., un
confronto tra il prof. e il d o t t . sulle c a u s e di m o r t e e sulla d i n a m i c a
degli omicidi nonché una perizia sulla lacerazione della tenda, ma la Corte di Assise
di appello respinse entrambe le richieste, con decisione ritenuta immune da
censure dalla Suprema Corte (pagg. 64 e 65). Quindi ripercorre analiticamente
ciascuno dei singoli fatti interessati dalla consulenza.
Il ragionamento si pone nel solco nei principi affermati dalla giurisprudenza di
legittimità secondo cui è immune da vizi il provvedimento di inammissibilità di una
richiesta di revisione fondata su una diversa metodica BPA o Blood Pattern Analysis
per l’analisi degli stessi elementi documentali – fotografie e tracce ematiche
rilevate sulla scena di un omicidio – già esaminati nel giudizio di cognizione e dagli
esiti non decisivi (Sez. 5, n. 34515 del 18/06/2021, Fadda, Rv. 281772 – 01).
Il provvedimento impugnato non si espone a critica neppure quando pone in
evidenza la circostanza che l’elaborato della dottoressa è basato
unicamente sulle fotografie scattate a suo tempo dagli operanti o dai RIS – e non
già su un nuovo sopralluogo, su nuove acquisizioni o su tecniche scientifiche
all’epoca inedite —e rappresenta una mera rielaborazione di dati già noti e acquisiti
nei precedenti processi, offrendone una lettura alternativa (nel caso delle
fotografie scattate nell’appartamento o v v e r o c o n c e n t r a n d o s i
su alcune tracce piuttosto che su altre (nel caso delle fotografie scattate all’interno
dell’appartamento di
La Corte di appello di Brescia osserva che la scarsa attitudine scientifica di
una analisi BPA condotta non sulla “scena del crimine” ma su mere fotografie era
già emersa nel processo di cognizione quando il col. sentito all’udienza
del 27 marzo 2008, «alla richiesta dal Presidente della Corte di Assise di Como di
pronunciarsi sulla morfologia delle tracce ematiche raffigurate nelle fotografie, ha
risposto di non potersi esprimere, ritenendo “poco scientifica” una BPA eseguita
su mere immagini fotografiche» (cfr. nota 43 a pag. 65).
Secondo i ricorrenti tale affermazione sarebbe “completamente sconfessata”
dalla lettura della deposizione resa dal colonnello le cui trascrizioni
vengono prodotte per rilevare il “travisamento probatorio” (all. n. 63 alla richiesta
di revisione, all. 6 al ricorso).
La doglianza è manifestamente infondata.
Come si ricava dalle trascrizioni della testimonianza, sottoposte all’esame di
questa Corte, il col. sentito all’udienza del 27 marzo 2008 dinanzi alla
43
4
Corte di Assise di Como, così testualmente si espresse: “[…] certamente un esame
solo di una fotografia mi sembra un po’ riduttivo perché le variabili nel sangue
sono talmente tante che si rischia con e s a m i cosi superficiali di dire cose che
scientificamente non sono completamente accettabili […] fare un e s a m e dalle
fotografie è davvero poco scientifico” (aff. 16 delle trascrizioni).
4.7. La presenza di persone all’interno dell’abitazione di
prima dell’arrivo della donna.
La richiesta di revisione adduce una serie di elementi dai quali inferire che in
realtà l’11 dicembre 2006 vi erano altre persone ad attendere le vittime all’interno
dell’appartamento e ciò nell’intento di dimostrare la falsità delle confessioni e di
rendere plausibile una ipotesi alternativa.
Si tratta de: la consulenza tecnica sui consumi di energia elettrica all’interno
dell’abitazione d i le sommarie informazioni rese al difensore
in data 12 febbraio 2023 da le interviste a una trasmissione televisiva
d i e di
Non si ravvisa alcun vizio argomentativo nella valutazione della Corte di
appello di Brescia che ha ritenuto questi elementi del tutto irrilevanti: le
dichiarazioni e le interviste provengono da soggetti già sentiti e presentano
indicazioni generiche e inconcludenti, quando non anche frutto di mere illazioni o
convinzioni soggettive, peraltro smentite da dati di fatto di segno contrario (cfr.
pagg. 75-77); la relazione tecnica sui consumi di energia non offre elementi
significativi (pagg. 71 e 72).
Sulla relazione tecnica, torna in rilievo, nello scrutinio della Corte distrettuale,
un profilo di inammissibilità già constatato per altre consulenze: le considerazioni
dell’esperto sui consumi di energia (ritenuti compatibili con la presenza di terze
persone fino alle 17,45 quando il contatore si azzera a causa del distacco)
muovono da un presupposto indimostrato, in quanto escludono l’operatività di
apparecchiature diverse da quelle prese in e s a m e dal consulente sulla scorta delle
fotografie eseguite in sede di rilievi (come ad esempio uno scaldabagno o una
caldaia dotata di termostato) e ciò nonostante che i tabulati mostrino analoghi
consumi nei medesimi orari anche nei giorni feriali precedenti a quello della strage
(il quale, dunque, non si differenzia dagli altri).
I ricorrenti lamentano una indebita incursione nel merito, allorché la sentenza
fa riferimento alla assenza di “oggettivi e affidabili elementi di riscontro”. Si
sostiene che la ricerca di elementi di riscontro è tipica della fase del giudizio
successiva alla acquisizione dibattimentale della prova.
L’assunto non merita adesione.
44
4
Anzitutto la principale ragione di inammissibilità riposa sulla assenza di base
fattuale della consulenza, di talché l’espressione censurata non rivestirebbe
valenza decisiva.
In secondo luogo, come ricordato nella parte generale, la valutazione degli
e l e m e n t i a d d o t t i come prova può rilevarne eventuali segni di inconferenza,
inaffidabilità o non persuasività ove siano “manifesti” cioè evidenti, palesi.
Infine va chiarito che richiedere la presenza di “riscontri” non significa, per ciò
solo, sconfinare dai limiti della delibazione preliminare. Invero, secondo l’indirizzo
costante della Corte di cassazione, il provvedimento di inammissibilità può essere
adottato in presenza di dichiarazioni liberatorie del coimputato quando le stesse
non siano confortate da riscontri esterni ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc.
pen. (Sez. 6, n. 36804 del 20/09/2021, Ornato, Rv. 281992 – 01; Sez. 2, n. 4150
del 20/01/2015, Moccia, Rv. 263417; Sez. 4, n. 6829 del 15/01/2009, Tripodo,
Rv. 243197 – 01; Sez. 1, n. 24743 del 04/04/2007, Procida, Rv. 237337). Difatti
sarebbe superfluo aprire la fase dibattimentale per raccogliere le dichiarazioni
liberatorie del correo, se poi, data l’assenza di riscontri, il risultato ottenuto, anche
se pienamente aderente a quello prospettato, non sarebbe mai in grado di
travolgere il giudicato.
In conclusione l’apprezzamento della Corte di appello non travalica i confini
del giudizio di inammissibilità, poiché mette in luce come i nuovi elementi
rimangano inconducenti, pur messi in correlazione tra loro.
4.8. La falsità delle confessioni dei condannati.
La richiesta di revisione deduce che le ammissioni degli imputati (poi
ritrattate) costituirebbero frutto di indebite pressioni compiute dagli inquirenti su
soggetti psichicamente labili e facilmente suggestionabili.
A supporto di tali affermazioni, volte a incidere sul giudicato aggredendo la
valenza probatoria delle confessioni, gli istanti hanno fornito elementi tratti da: la
consulenza collegiale in ordine al quadro psicopatologico rilevato nei condannati;
la perizia psichiatrica eseguita su nell’ambito di altro
procedimento; le captazioni ambientali all’interno
dell’autovettura e
dell’appartamento degli stessi; le video interviste dei condannati effettuate dal
dott. l e d i c h i a r a z i o n i d i r e s e nel c o r s o di u n ‘ i n t e r v i s t a a
una trasmissione televisiva e al difensore in data 29 gennaio 2000 (rectius 2020)
e 27 gennaio 2023.
4.8.1. La Corte distrettuale giudica inammissibili le richieste sia perché
sfornite del carattere di novità sia perché i prospettati risultati, anche se
dimostrati, non sarebbero idonei ad incidere sull’affermazione di responsabilità
consacrata nella sentenza definitiva di condanna.
45
Le censure mosse dai ricorrenti sono infondate: la decisione impugnata non
presenta vizi argomentativi e risponde ai criteri della deliberazione preliminare
sopra tracciati nella parte introduttiva.
È corretto il rilievo della Corte di appello secondo cui: «elementi addotti dai
consulenti a sostegno della falsita delle confessioni coincidono in massima parte
con quelli spesi dai difensori nei precedenti gradi di giudizio per perorare la tesi
del carattere indotto delle ammissioni di responsabilità degli imputati poi ritrattate
e puntualmente confutati nelle sentenze di primo e secondo grado e oggetto di
specifiche doglianze in Cassazione, che sostanzialmente sono oggi riproposti in
forma di consulenza onde conferire loro un apparente carattere di novità» (cfr.
pag. 69).
Invero le prove asseritamente nuove si esauriscono in una rivalutazione della
attendibilità delle dichiarazioni confessorie, già ampiamente scrutinata dai giudici
della cognizione (e già devolute al giudice di legittimità con i motivi sub 17, 18,
19, 20, 21, 22 e 23 dei ricorsi proposti avverso la sentenza della Corte di Assise
di appello di Milano), senza tuttavia rapportarsi con il complessivo quadro
dimostrativo posto a suffragio della genuinità delle confessioni.
A tal fine può essere richiamata, anzitutto, l’indicazione, nei racconti
confessori, di particolari minuziosi suscettibili di essere conosciuti soltanto dagli
autori delle condotte, alcuni dei quali ignoti perfino agli inquirenti nella fase iniziale
delle indagini (cfr. sopra paragrafo 4.3).
Soccorrono, inoltre, le dichiarazioni, perfettamente collimanti, di
nonché: la spontanea consegna, ad opera di del proprio
“sentire” ad appunti manoscritti sulla Bibbia e a una lettera al parroco; il singolare
comportamento tenuto dai condannati la sera dell’11 dicembre 2006; l’esistenza
del movente confermato da plurimi riscontri documentali; la serenità mostrata dai
condannati che mai, nei loro colloqui, hanno lamentato una invadenza psicologica
da parte degli investigatori.
La Corte di cassazione si è già ampiamente espressa al riguardo con la
pronuncia di rigetto dei ricorsi che ha chiuso il giudizio di cognizione (Sez. 1, n.
33070 del 3 maggio 2011, cit.), i cui passaggi principali si trovano scanditi alle
pagine 47 e 48 della decisione qui impugnata.
Nella citata sentenza del 2011 la Corte di cassazione cosi si esprime:
«Attitudine dimostrativa della libertà di determinazione in cui si mossero gli
imputati (seppure nella drammaticità della loro condizione) è stata riconosciuta ad
alcuni passi di colloqui intercorsi tra i due, che spesero apprezzamento per l’opera
di aiuto loro prestata dai militari intervenuti, nonché alle annotazioni di gratitudine
v e r s o il m a r. che vennero vergate sulla Bibbia dalla mano d e l
46
con corretta procedura valutativa, che impone l’ancoraggio ai dati più obiettivi,
quali quelli documentali, a scapito di quelli meramente congetturali […] i contributi
dichiarativi d e l sono stati accompagnati da annotazioni vergate di proprio
pugno a pieno contenuto confessorio – quanto meno nel primo periodo di
detenzione – che hanno portato i giudici di merito a ritenere sgombrato il campo
dai sospetti avanzati dalla difesa sulla genuinità ed affidabilità delle dichiarazioni
rese in sede di confessione […] Deve ancora essere rilevato che la regola-ponte
utilizzata dai giudici di merito per ritenere molto poco plausibile che un soggetto
si autoaccusi, ancorché innocente di delitti tanto efferati, è regola di giudizio
efficace, correttamente utilizzata, peraltro non isolatamente nel quadro della
complessiva valutazione, per addivenire ad escludere la strumentalità della
confessione […] Detta regola è stata utilizzata unitamente ad altri canoni di
giudizio, facenti leva prima di tutto sulla obiettività del dato documentale,
rappresentato dalle annotazioni sulla Bibbia vergate dal in cui lo stesso
manifestava l’acredine verso la famiglia ma chiedeva perdono
per quanto fatto e da una lettera scritta al sacerdote don a c h i a r a
significazione confessoria (a tacere poi delle confessioni rese al compagno di cella
nonché sulla particolarità di taluni contributi informativi offerti dai due
imputati, espressivi di un patrimonio conoscitivo in possesso solo di chi avesse
attivamente partecipato al delitto» (pag. 48 e 49).
4.8.2. Manifestamente infondati sono le censure mosse sulla valutazione di
inammissibilità degli elementi di prova offerti dalle dichiarazioni di
ex maresciallo del NORM d i che provengono da soggetto non
direttamente coinvolto nelle indagini; costui riferisce di notizie e confidenze
asseritamente ricevute da soggetti mai indicati, e che si sostanziano in illazioni,
allusioni, sospetti finalizzati ad alimentare un alone di mistero, di matrice
cospirativa, del tutto sganciato da dati reali assoggettabili a verifica.
4.9. La traccia di sangue.
I nuovi elementi forniti dai condannati mirano a invalidare la prova scientifica
acquisita grazie ai rilievi del brig. e all’analisi genetica del dott.
il r i n v e n i m e n t o sul b a t t i t a c c o della v e t t u r a di di u n a
traccia di sangue riconducibile al profilo genetico della vittima
4.9.1. Va premesso che nel processo di cognizione l’analisi del campione di
sangue era stata compiuta nelle forme “garantite” dell’art. 360 cod. proc. pen. e
nessun dubbio era stato sollevato circa la provenienza della traccia dalla vettura
Fiat Arosa.
Il contraddittorio e le contestazioni delle difese si erano appuntati sulla
possibile contaminazione riconducibile o agli inquirenti oppure agli stessi imputati,
47
i quali, calpestando inavvertitamente il sangue presente in loco, lo avrebbero
trasportato con la suola delle scarpe fino a rilasciarlo sul battitacco del veicolo.
Una tale eventualità era stata definitivamente esclusa (cfr. pag. 49 sentenza
impugnata).
Così come era già stato ampiamente vagliato il tema della catena di custodia
(pagg. 50-52 e nota 17, sentenza impugnata).
Con l’istanza di revisione, i ricorrenti, oltre a riprendere precedenti argomenti,
senza carattere di novità, attaccano le modalità di repertazione e, quindi, la
genuinità del rilievo effettuato dal brig. si s o s t i e n e c h e il militare n o n
avrebbe eseguito “l’accertamento fotografico” sulla traccia di sangue esaltata dal
luminol, oppure si sarebbe “prestato a falsificarne gli esiti inserendo una traccia
inesistente”.
A sostegno di tale assunto si introducono: la consulenza genetica sulla traccia
e m a t i c a r e d a t t a dal d o t t o r l’intervista al brig.
il
materiale fotografico relativo alle ispezioni sulle autovetture di
e
la nuova audizione del brig. l’escussione del dott.
e l ‘ e s a m e della d o t t o r e s s a
4.9.2. Anzitutto occorre evidenziare come la prova scientifica che si intende
invalidare è una prova significativa, che, però, non ha rivestito valenza decisiva
nell’ordito motivazionale della pronuncia irrevocabile di condanna, sicché
qualunque nuovo elemento di prova che la riguardasse non avrebbe portata
dirimente.
Invero, una volta acclarata la perfetta tenuta del compendio probatorio sinora
esaminato – formato dalle dichiarazioni del testimone oculare, dalle confessioni
degli imputati, dalle convergenze di tali principali fonti di prova tra loro e con
innumerevoli altre circostanze (tratte, ad esempio, dallo stato dei luoghi, dalla
consulenza autoptica, dal movente) – , il dato della presenza di sangue di una
dette vittime sul battitacco della vettura del condannato non assume valenza
decisiva, poiché anche se lo si eliminasse, la decisione di condanna non ne
risulterebbe scalfita.
4.9.3. Fermo ciò, va osservato che tutte le valutazioni in fatto (concernenti i
punti attinti dalle dichiarazioni del brig. dal materiale fotografico, dagli
e s a m i d e l d o t t o r e della dottoressa s o n o
affrontate e confutate, con argomenti congrui, dalla Corte di appello alle pagine
50 – 54 della sentenza impugnata.
Circa la c o n s u l e n z a del d o t t . t o r n a il vizio già riscontrato in altre
consulenze: l’esperto muove da un’ipotesi che desume non dall’esame diretto del
48
reperto, ma da descrizioni generiche dello stesso, sulla quale poi costruisce la
propria analisi.
Peraltro non difetta di logicità la conclusione alla quale perviene la Corte di
appello nell’escludere la novità della prova. Osserva la Corte distrettuale che:
citando “invero assai genericamente” (così pag. 52 sentenza impugnata) una
pubblicazione in tema di activity level del 2022 sulla rivista Forensic scientific
International, il dottor formula valutazioni che potevano essere espresse (e
in parte lo sono state, pagg. 79 e 80 della consulenza anche nel
2008 e non costituiscono frutto di nuove e più evolute acquisizioni scientifiche.
4.9.4. Va aggiunto che i ricorsi non rispondono ai requisiti necessari per
dedurre il vizio c.d. di contraddittorietà processuale circa il contenuto delle
dichiarazioni, in tesi travisate “per invenzione”, rese dal dott. (pag. 89
dell’atto di ricorso), in quanto: non viene adeguatamente rispettato il principio di
autosufficienza, dato che la sentenza impugnata cita i verbali del 26 febbraio 2008
e del 2 aprile 2008 (cfr. nota 13 a pag. 51 della sentenza impugnata), mentre
vengono allegate al ricorso soltanto le trascrizioni del secondo verbale (quello in
cui si è svolto il controesame della difesa), rimanendo ignoti i contenuti del primo
verbale (quello in cui si è svolto l’esame diretto del consulente da parte del
pubblico ministero); non si evidenzia la decisività del presunto travisamento.
4.10. La relazione e il video del R.I.S. di Parma.
La doglianza è generica, poiché isola, reinterpretandola, una delle plurime
considerazioni per le quali la Corte di appello ha escluso ex ante la rilevanza della
prova, senza misurarsi con il complesso delle ragioni esposte al riguardo nella
sentenza impugnata (pagg. 77-79).
Inoltre, a differenza di quanto sostenuto dai ricorrenti, la Corte bresciana, a
proposito dell’impronta sulla parete del vano scale al piano terreno (2D), recepisce
la valutazione del capitano non per escludere l’utilità di una ricerca
aggiornata sulla banca dati, ma per dimostrarne l’irrilevanza, non potendosi
stabilire “quando (l’impronta] sia stata deposta” (pag. 78 sentenza impugnata).
4.11. L’ipotetico coinvolgimento di
Ad opinione dei ricorrenti, la Corte di appello di Brescia avrebbe errato nella
l e t t u r a del d a t o storico fornito d a l l e i n t e r c e t t a z i o n i c o n t e n u t e n e l l ‘ o r d i n a n z a del
Gip di Milano del 21 maggio 2024.
Da quelle conversazioni sarebbe possibile ricavare che:
s a r e b b e coinvolto n o n solo nell’omicidio di ma anche nella
strage di i due interlocutori discutono di alcune sim card da utilizzare soltanto
in relazione a specifici fatti di sangue, menzionando la strage di
La censura è generica e manifestamente infondata.
49
4
Il vizio di “contraddittorietà processuale” (o “travisamento della prova”) vede
circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta
trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante
e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in
termini quasi di “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del
“significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel
merito dell’elemento di prova (cfr. tra le ultime Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022,
Dos Santos, Rv. 283370 – 01).
Dallo stralcio della conversazione intercettata (ambientale del 16 giugno 2020
tra riportata a pag. 44 dell’ordinanza
cautelare del 21 maggio 2024, prodotta solo per estratto) non si evincono affatto,
in modo limpido e indiscutibile, gli elementi che i ricorrenti pretendono di
ravvisarvi.
L’interpretazione offerta dalla Corte di appello non è suscettibile di
rivalutazioni o censure in sede di legittimità: «nella parte estrapolata dalla difesa,
gli indagati nulla dicono in merito alla strage o a un coinvolgimento di
giacché i soggetti intercettati si limitano a disquisire su come gestire le
schede telefoniche a seconda dell’uso, per lavoro, per fare ricerche su internet,
per telefonare», la strage di è «citata solo quale esempio di una ricerca su
internet» (pag. 81 sentenza impugnata).
4.12 È manifestamente infondata la doglianza, ripetutamente evocata dai
ricorrenti, circa l’assenza di una valutazione sinergica dei nuovi elementi di prova,
da leggersi non in modo atomistico ma nelle reciproche interessenze.
Tale vizio permea, semmai, il costrutto impugnatorio che, incentrato su isolate
circostanze (spesso marginali), non sperimenta un effettivo raffronto con la reale
struttura argomentativa e probatoria (complessa e articolata) posta a fondamento
della pronuncia definitiva di condanna.
Va aggiunto che, come si è visto, molti dei nuovi elementi proposti sono del
tutto sforniti di idoneità dimostrativa, sì da rendere superflua una comparazione.
Infine, la Corte di appello di Brescia non si è affatto sottratta al compito di
effettuare una comparazione globale tra elementi “vecchi e nuovi”; compito che si
trova ampiamente svolto alle pagine 81 e 83 della sentenza impugnata.
4.13. In definitiva, la Corte di appello ha applicato in modo corretto il criterio
valutativo della delibazione preliminare ex art. 634 cod. proc. pen.
La motivazione sulla inammissibilità delle richieste è esaustiva, immune da
cadute di logicità e dai denunciati travisamenti della prova.
5. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
50
4
1′ •
La questione circa la idoneità di interviste televisive a integrare “nuovi
elementi di prova” ex art. 630 cod. proc. pen. è priva di rilievo, tenuto conto che
i ricorsi non specificano quali elementi – in tesi decisivi ai fini della revisione della
condanna – si trarrebbero dalle interviste.
Senza dimenticare che molti di quelli stessi elementi sono stati comunque
esaminati dalla Corte di appello.
Tanto basta a rendere inammissibile il motivo.
Può aggiungersi che, nella fase del giudizio sull’ammissibilità della richiesta di
revisione, il giudice non può esimersi dall’obbligo di apprezzare la manifesta
inidoneità e inefficacia dimostrativa, rispetto al prospettato risultato finale del
proscioglimento, dei nuovi elementi di prova attinti da un radicale vizio di
inutilizzabilità, rilevabile anche d’ufficio e conseguente a obiettive violazioni dei
divieti stabiliti dalla legge processuale, anche ai fini di una valutazione prognostica
sulla congruenza in astratto degli elementi su cui si basa la richiesta di revisione
(Sez. 1, n. 45612 del 05/11/2003, Drozdzik, Rv. 227131 – 01, nella specie la Corte,
dichiarando l’inammissibilità del ricorso, ha ritenuto che fossero inutilizzabili le
n u o v e p r o v e p o s t e a base della domanda di revisione, in quanto fondate su
“dichiarazioni raccolte nelle indagini difensive” senza il rispetto delle prescrizioni
stabilite, a pena di inutilizzabilità, dall’art. 391-bis cod. proc. pen. in materia di
documentazione delle investigazioni difensive).
Il principio appena citato richiama l’attenzione dell’interprete sulla necessità
che il nuovo elemento di prova rivesta carattere di affidabilità anche nelle forme
in cui viene presentato, sicché, ove si tratti di dichiarazioni, le stesse dovranno
essere raccolte e presentate al giudice della revisione secondo le modalità fissate
dal codice di rito, e, segnatamente, attraverso le prescrizioni fissate per le indagini
difensive, che assicurano quantomeno l’assunzione, da parte del dichiarante,
dell’obbligo di dire la verità, giuridicamente assistito da sanzione in caso di
violazione.
I ricorrenti o b i e t t a n o c h e le i n t e r v i s t e c o s t i t u i s c o n o d o c u m e n t i suscettibili di
acquisizione ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen.; in realtà, come “documenti”,
esse sono in grado soltanto di rappresentare il dato storico che una persona ha
rilasciato quell’intervista, ma il contenuto delle dichiarazioni rimane privo di
qualunque valenza, sicché, anche riguardate sotto questo diverso profilo, le
interviste risultano ictu oculi irrilevanti ai fini della revisione.
6. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
L’art. 630, lettera d), cod. proc. pen. annovera tra i casi di revisione quello in
cui sia “dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità
51

in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato”. «Un caso
che, se legittima la richiesta di revisione solo nell’ipotesi di accertamento con
efficacia di giudicato del fatto del terzo costituente reato, non preclude al giudice
della revisione – con singolare ma inevitabile interferenza con la previsione di cui
all’art. 630, lettera c) – di delibare incidentalmente, anche in sede di
ammissibilità, in ordine alla mera ipotizzabilità della sussistenza di elementi per
procedere nei confronti del terzo autore del falso giudiziale (o di altro reato), pur
rimanendo un simile assetto accusatorio tutto intrinseco alla sentenza di
revisione» (così in motivazione Sez. U, n. 624 del 26/09/2001).
Nella specie, a differenza di quanto sostenuto in ricorso, la Corte di appello
non ha ignorato la richiesta, ma l’ha presa in esame, escludendo fermamente la
sussistenza di elementi idonei a far dubitare della rispondenza al vero delle
dichiarazioni di e delle confessioni (poi ritrattate) degli imputati o
della affidabilità degli accertamenti svolti dagli inquirenti (pagg. 84-86 sentenza
impugnata).
Sulle intercettazioni mancanti, la censura è generica, poiché non si misura
con la ratio decidendi fondata sulla marginalità assunta dalle intercettazioni nella
decisione di condanna, se si eccettuano le captazioni eseguite in carcere “in
relazione alle quali la difesa non lamenta anomalie” (pag. 86 sentenza impugnata).
Circa le sospette irregolarità che avrebbero contrassegnato il procedimento
volto alla analisi dei reperti da svolgersi nelle forme dell’incidente probatorio, il
ricorso, nel ripercorrere le scansioni in cui si è sviluppato il relativo procedimento,
evita non solo di specificare quali prove, in tesi rilevanti, sarebbero state distrutte,
ma anche di misurarsi con l’esito finale del citato procedimento, che ha visto la
Corte di cassazione respingere i ricorsi dei condannati (Sez. 5, n. 44181 del
12/07/2018).
Quanto, infine, al denunciato difetto di motivazione sulle video interviste
e f f e t t u a t e d a l d o t t o r v a osservato che la doglianza, generica e
indeterminata, non illustra la decisività dell’elemento asseritamente trascurato; a
ben vedere il tema della falsità delle confessioni (asseritamente ricavabile anche
dalle video interviste in rassegna) si trova ampiamente scrutinato, e confutato alle
pagine 68-71 della sentenza impugnata, sulla scorta di argomenti idonei a
riverberarsi anche sul profilo in discorso.
7. In conclusione i ricorsi devono essere rigettati; segue la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Non si liquidano, invece, le spese
in favore delle parti civili, i cui difensori, al termine della discussione, non le hanno
richieste, dichiarando di non avervi interesse.
52
Il riferimento alle condizioni di salute di e dei ricorrenti impone,
in caso di diffusione della presente sentenza, l’omissione delle generalità e degli
altri dati identificativi.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli
altri dati identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla
legge.
Così deciso il 25/03/2025
Il Consigliere estensore
Elisaboto Maria Morosint
CORTE DI CASSAZIONE
V SEZIONE PENALE
DEPOSITATA IN CANCELLERIA
1 3 MAG 2025
53

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