È GIUSTO INFORMARE 

L’ultima intervista del cardinale Prevost su Francesco 

Riproponiamo quanto detto dall’allora cardinale Robert Prevost in occasione della morte di Papa Francesco che aveva conosciuto quando era arcivescovo di Buenos Aires

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

La coerenza, l’autenticità, il desiderio di vivere il Vangelo e quella particolare vicinanza verso i poveri e quelli che soffrono. E poi l’amore per la Chiesa, quel voler “dare tutto per servirla” e “il suo senso della responsabilità”. Della personalità di Papa Francesco sono questi tratti che hanno sempre colpito il cardinale Robert Prevost, oggi eletto 267.mo Vescovo di Roma con il nome di Leone XIV. Ai media vaticani il religioso agostiniano confida di averlo sempre apprezzato per il suo “autentico cuore cristiano”, la sua “generosità”, la sua “carità” e il “desiderio di vivere tale dimensione del Vangelo fino a questi ultimi giorni”.

Gli incontri in Argentina

Commosso, il porporato condivide il suo ricordo personale del Pontefice. Racconta di aver conosciuto Jorge Mario Bergoglio quando era arcivescovo di Buenos Aires, descrive alcuni aspetti del suo carattere, enumera aneddoti. “Ho sempre avuto l’impressione di un uomo che voleva vivere autenticamente, con coerenza, il Vangelo”, dice. “Ai tempi in cui ero priore generale degli agostiniani, varie volte, durante le visite ai miei confratelli in Argentina, quando era ancora cardinale, ho avuto l’opportunità di incontrarlo e di parlare con lui, in maniera informale e su questioni più istituzionali”. Eletto Papa, Francesco ha celebrato la sua prima Messa pubblica, il 13 marzo 2013, nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, affidata alla cura pastorale dei religiosi agostiniani, e in quell’occasione Prevost lo ha rincontrato. “Mi chiedevo se si fosse ricordato di me e quando è arrivato ed è entrato in sacrestia, vedendomi, mi ha subito riconosciuto e abbiamo cominciato a parlare”. Un dialogo, quello con l’allora priore generale dell’Ordine di Sant’Agostino, che è proseguito. “Finendo il mio mandato, in quello stesso anno, abbiamo pensato di invitare il Santo Padre a presiedere, il 28 agosto, la Messa di apertura del Capitolo Generale” nella basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio, a Roma. Bergoglio, “con grande sorpresa di tutti”, ha accettato con piacere. Quella chiesa la conosceva bene, perché quando veniva nella capitale, da cardinale, soggiornava sempre lì vicino, alla Casa del Clero, in via della Scrofa, e andava a pregare alla tomba di Santa Monica che vi è custodita.

La preoccupazione del Papa per la gente del Perù

Poco più di un anno dopo, il 3 novembre 2014, Francesco nomina Prevost amministratore apostolico della diocesi di Chiclayo, in Perù, e in seguito vescovo. Come pastore di quel piccolo gregge della regione di Lambayeque, il religioso agostiniano incontra ancora il Papa, che ha manifestato sempre la sua preoccupazione per quella gente. “Mi chiedeva: ‘Come stai? Come vanno le cose?’”. “Ha dato tante cose alla Chiesa – aggiunge il cardinale – i suoi gesti di vicinanza parlano con tanta eloquenza”. Prevost rievoca anche la visita apostolica di Francesco in Perù, nel 2018, e quella donna di 99 anni, cieca, della sua diocesi, venuta a Trujillo perché desiderava un contatto con il Pontefice. “Lui è sceso dalla macchina, le si è avvicinato a e l’ha salutata. Ci ha lasciato tanti esempi di questo tipo; nella sua bellissima umanità, ha voluto vivere il Vangelo e trasmettere il Vangelo”, osserva il porporato. Di Bergoglio evidenzia anche la gioia, quella stessa che traspare nella Esortazione Apostolica Evangelii gaudium “sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale”, “che ci fa ricordare quello che dice il Vangelo, e che ripetiamo in questo tempo di Pasqua: vivere la gioia del Vangelo, della fede, riconoscere Gesù Cristo”.

Vicino agli ultimi

Il pensiero del cardinale Prevost va anche al primo viaggio apostolico di Papa Francesco, a Lampedusa, alla “vicinanza ai migranti, fino a questi ultimi mesi, anche quando ha scritto”, nel febbraio scorso, quella lettera ai vescovi degli Stati Uniti “sull’importanza di essere vicini a quanti soffrono e di avere il cuore di Gesù Cristo”, quando è stato attuato il programma di deportazione di massa di immigrati e rifugiati clandestini. Il porporato menziona, poi l’ultima visita del Papa al Regina Coeli, nel Giovedì Santo, un gesto che “parla tantissimo: il suo voler andare, nonostante i tanti problemi di salute, le difficoltà che aveva, per fare come tutti gli anni, per celebrare questo giorno tanto importante nella vita della Chiesa con i carcerati, e comunicare, così, questa vicinanza, questo amore che Gesù ha lasciato a tutti noi”.

Un appuntamento settimanale

Con Papa Francesco, poi, Prevost, in qualità di prefetto del Dicastero per i Vescovi, da due anni aveva un appuntamento fisso, ogni sabato mattina. “Fino alla fine, ha voluto dare tutto al suo ministero, al lavoro, al servizio nella Chiesa”, continua il cardinale parlando dell’incontro settimanale con il Pontefice. “All’inizio era alle 8 del mattino. Ma qualche volta arrivavo alle 7.30 e lui era già ad aspettarmi, così ho cominciato ad andare un po’ più presto e talvolta lui anticipava”. Si affrontavano argomenti importanti, ma Francesco aggiungeva spesso una raccomandazione: “Mi diceva, fra le altre cose, alla fine dell’udienza: “Non perdere il senso dell’umorismo, bisogna sorridere”. Prevost richiama la preghiera di San Tommaso Moro, più volte citata dal Papa per esortare ad andare avanti nelle “cose di grande responsabilità, con grande fiducia nella grazia del Signore”. Francesco non si risparmiava “nel servire la Chiesa”, prosegue Prevost, specificando che il Pontefice era sempre “molto bene informato delle cose”. “Tante volte, prima che arrivassi, lui aveva studiato le questioni, sapeva quali decisioni voleva prendere. Seguiva veramente non solo il lavoro del Dicastero per i Vescovi, ma anche – so per conversazioni con diversi prefetti – degli altri dicasteri”. Amava tanto la Chiesa e “portare avanti quello che lui aveva capito, era parte della sua missione. Era instancabile, anche in queste ultime settimane, dopo il ricovero. Quando è tornato a Santa Marta, abbiamo avuto qualche incontro, e in quelle occasioni ho potuto constatare quanto fosse coraggioso; dava tutto sé stesso per servire la Chiesa”.

Ecclesia semper reformanda est

Nel suo pontificato “ha trasmesso a tutti noi questo spirito di voler continuare quello che è cominciato con il Concilio Vaticano II, la necessità di rinnovare sempre la Chiesa, semper reformanda est”, riflette ancora il cardinale agostiniano, che rammenta le risposte date da Bergoglio in una intervista a proposito della grande assise voluta da Giovanni XXIII. “‘C’è ancora tanto da fare, bisogna continuare. “Uno spirito, un atteggiamento fondamentale per tutti noi – afferma Prevost -. Non possiamo fermarci, non possiamo tornare indietro. Bisogna vedere come Spirito Santo vuole che la Chiesa sia oggi e domani, perché il mondo di oggi, nel quale vive la Chiesa, non è uguale a quello di dieci o venti anni fa – considera il porporato -. Quindi, il messaggio è sempre lo stesso: proclamare Gesù Cristo, proclamare il Vangelo, ma diversa è la maniera di arrivare alla gente di oggi, ai giovani, ai poveri, ai politici”. Prevost rimarca che il Papa ha lasciato un forte messaggio alle autorità del mondo ed è necessario andare “avanti”.

Una Chiesa povera che cammina con i poveri

Fra gli insegnamenti che Francesco ha lasciato, occorre fare, soprattutto, tesoro “dell’amore per i poveri”, rileva, poi, il cardinale, quel suo volere “una Chiesa povera, che cammina con i poveri, che serve i poveri”. “Io penso che il messaggio del Vangelo si capisce molto meglio dall’esperienza dei poveri, che non hanno niente – riflette ancora il porporato – che cercano di vivere la fede e trovano in Gesù Cristo tutto. Ritengo che in questo senso il Papa ha lasciato un esempio molto grande per il mondo. A me, personalmente, lo ha lasciato, per il mio lavoro come vescovo in Perù, come missionario, e per tante altre cose”.

Riflessione e gratitudine

Ma come raccogliere l’eredità di Papa Francesco? “Difficile rispondere” a poche ore dalla morte del Pontefice riconosce obiettivamente Prevost. “Personalmente ritengo che questo periodo di perdita, di tristezza, va vissuto, prima di tutto, in silenzio, con profonda riflessione, gratitudine. Io, almeno, avrò bisogno di molto tempo per apprezzare, per comprendere veramente, ciò che il Papa ha lasciato a me, alla Chiesa e al mondo” conclude il prefetto del Dicastero per i Vescovi. Per il cardinale Prevost occorre “vivere questo momento, come il Sabato Santo, anche se abbiamo già celebrato la Resurrezione di Cristo”, vivere questo grande mistero che è la vita come Papa Francesco ha voluto insegnarci.

🔹Robert Francis Prevost, ecco la biografia del nuovo Papa
Primo Papa statunitense, ha quasi 70 anni. Ha scelto il nome di Leone XIV. Già prefetto del Dicastero per i vescovi, è stato eletto alle 18.07, è il 267° Papa della storia

Primo Papa statunitense, membro dell’Ordine di Sant’Agostino, è il secondo Pontefice americano, dopo Francesco, ma a differenza di Bergoglio, il sessantanovenne statunitense Robert Francis Prevost è nato nel nord del continente ed è stato pastore nel sud dello stesso, prima di essere chiamato dal Predecessore alla guida del Dicastero per i vescovi e della Ponteficia Commissione per l’America Latina.  

Il nuovo Vescovo di Roma ha scelto il nome di Leone XIV. Nasce il 14 settembre 1955 a Chicago, nell’Illinois, da Louis Marius Prevost, di origini francesi e italiane, e Mildred Martínez, di origini spagnole. Ha due fratelli, Louis Martín e John Joseph.

Trascorre l’infanzia e l’adolescenza negli Stati Uniti, studiando prima nel Seminario minore dei Padri Agostiniani e poi, alla Villanova University, in Pennsylvania, dove, nel 1977, consegue la laurea in Matematica e studia Filosofia. Il 1° settembre dello stesso anno a Saint Louis entra nel noviziato dell’Ordine di Sant’Agostino (Osa), nella provincia di Nostra Signora del Buon Consiglio di Chicago, ed emette la prima professione il 2 settembre 1978. Il 29 agosto 1981 pronuncia i voti solenni.

Riceve la formazione presso la Catholic Theological Union di Chicago, diplomandosi in Teologia. E all’età di 27 anni viene inviato dai suoi superiori a Roma per studiare Diritto canonico alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (Angelicum). Nell’Urbe viene ordinato sacerdote il 19 giugno 1982 nel Collegio agostiniano di Santa Monica da monsignor Jean Jadot, pro-presidente del Pontificio Consiglio per i Non Cristiani, oggi Dicastero per il Dialogo Interreligioso.

Prevost consegue la licenza nel 1984 e l’anno dopo, mentre prepara la tesi di dottorato viene mandato nella missione agostiniana di Chulucanas, a Piura, in Perù (1985-1986). È il 1987 quando discute la tesi dottorale su “Il ruolo del priore locale dell’Ordine di Sant’Agostino” ed è nominato direttore delle vocazioni e direttore delle missioni della Provincia agostiniana “Madre del Buon Consiglio” di Olympia Fields, in Illinois.

L’anno successivo raggiunge la missione di Trujillo, sempre in Perù, come direttore del progetto di formazione comune degli aspiranti agostiniani dei vicariati di Chulucanas, Iquitos e Apurímac. Nell’arco di undici anni ricopre gli incarichi di priore della comunità (1988-1992), direttore della formazione (1988-1998) e insegnante dei professi (1992-1998) e nell’arcidiocesi di Trujillo di vicario giudiziale (1989-1998) e professore di Diritto Canonico, Patristica e Morale nel Seminario maggiore “San Carlos e San Marcelo”. Al contempo gli viene anche affidata la cura pastorale di Nostra Signora Madre della Chiesa, eretta successivamente parrocchia con il titolo di Santa Rita (1988-1999), nella periferia povera della città, ed è amministratore parrocchiale di Nostra Signora di Monserrat da 1992 al 1999.

Trascorre l’infanzia e l’adolescenza negli Stati Uniti, studiando prima nel Seminario minore dei Padri Agostiniani e poi, alla Villanova University, in Pennsylvania, dove, nel 1977, consegue la laurea in Matematica e studia Filosofia. Il 1° settembre dello stesso anno a Saint Louis entra nel noviziato dell’Ordine di Sant’Agostino (Osa), nella provincia di Nostra Signora del Buon Consiglio di Chicago, ed emette la prima professione il 2 settembre 1978. Il 29 agosto 1981 pronuncia i voti solenni.

Riceve la formazione presso la Catholic Theological Union di Chicago, diplomandosi in Teologia. E all’età di 27 anni viene inviato dai suoi superiori a Roma per studiare Diritto canonico alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (Angelicum). Nell’Urbe viene ordinato sacerdote il 19 giugno 1982 nel Collegio agostiniano di Santa Monica da monsignor Jean Jadot, pro-presidente del Pontificio Consiglio per i Non Cristiani, oggi Dicastero per il Dialogo Interreligioso.

Prevost consegue la licenza nel 1984 e l’anno dopo, mentre prepara la tesi di dottorato viene mandato nella missione agostiniana di Chulucanas, a Piura, in Perù (1985-1986). È il 1987 quando discute la tesi dottorale su “Il ruolo del priore locale dell’Ordine di Sant’Agostino” ed è nominato direttore delle vocazioni e direttore delle missioni della Provincia agostiniana “Madre del Buon Consiglio” di Olympia Fields, in Illinois.

L’anno successivo raggiunge la missione di Trujillo, sempre in Perù, come direttore del progetto di formazione comune degli aspiranti agostiniani dei vicariati di Chulucanas, Iquitos e Apurímac. Nell’arco di undici anni ricopre gli incarichi di priore della comunità (1988-1992), direttore della formazione (1988-1998) e insegnante dei professi (1992-1998) e nell’arcidiocesi di Trujillo di vicario giudiziale (1989-1998) e professore di Diritto Canonico, Patristica e Morale nel Seminario maggiore “San Carlos e San Marcelo”. Al contempo gli viene anche affidata la cura pastorale di Nostra Signora Madre della Chiesa, eretta successivamente parrocchia con il titolo di Santa Rita (1988-1999), nella periferia povera della città, ed è amministratore parrocchiale di Nostra Signora di Monserrat da 1992 al 1999.

Nel frattempo, il 4 ottobre 2023 da Francesco è annoverato tra i membri dei Dicasteri per l’Evangelizzazione, Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari; per la Dottrina della Fede; per le Chiese Orientali; per il Clero; per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica; per la Cultura e l’Educazione; per i Testi Legislativi; della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano.

Il 6 febbraio di quest’anno, dal Pontefice argentino è promosso all’ordine dei vescovi, ottenendo il Titolo della Chiesa suburbicaria di Albano.

Tre giorni dopo, il 9 febbraio, celebra in piazza San Pietro la Messa  – presieduta da Bergoglio – per il Giubileo delle forze armate, secondo grande evento dell’Anno Santo della Speranza.  

Durante l’ultimo ricovero del predecessore al Policlinico “Gemelli”, Prevost presiede, il 3 marzo, in piazza San Pietro, il rosario per la salute di Francesco.

Abbandonarsi a Colui che guida la Chiesa

Andrea Tornielli

La diocesi di Roma ha il suo Vescovo, la Chiesa universale il suo pastore. Con una rapidità che può sorprendere soltanto coloro che leggono la vita della Chiesa con le lenti della politica, il conclave ha designato il Successore di Pietro. Grazie, Santo Padre, per aver accettato. Grazie per aver detto “sì” e per esserti abbandonato a Colui che guida la Chiesa.

Tornano di nuovo alla mente le memorabili parole pronunciate da Paolo VI di fronte agli alunni del Collegio lombardo, nel dicembre 1968, durante il periodo difficile delle contestazioni nel post-concilio: «Tanti – disse il Pontefice – si aspettano dal Papa gesti clamorosi, interventi energici e decisivi. Il Papa non ritiene di dover seguire altra linea che non sia quella della confidenza in Gesù Cristo, a cui preme la sua Chiesa più che non a qualunque altro. Sarà Lui a sedare la tempesta. Quante volte il Maestro ha ripetuto: “Confidite in Deum. Creditis in Deum, et in me credite!”. Il Papa sarà il primo ad eseguire questo comando del Signore e ad abbandonarsi, senza ambascia o inopportune ansie, al gioco misterioso della invisibile ma certissima assistenza di Gesù alla sua Chiesa. Non si tratta di un’attesa sterile o inerte: bensì di attesa vigile nella preghiera. È questa la condizione, che Gesù stesso ha scelto per noi, affinché Egli possa operare in pienezza, Anche il Papa ha bisogno di essere aiutato con la preghiera».

Oggi è il mondo ad essere in mezzo a una tempesta, squassato da guerre e violenza. Preghiamo per la pace. Preghiamo con Pietro e per Pietro che oggi ha assunto il nome di Leone, ricongiungendosi al Papa della “Rerum novarum”. E confermati da lui nella fede, impariamo anche noi ad abbandonarci a Colui che regna dal legno della croce portando su di sé le ferite dell’umanità.

“La pace sia con voi, Dio ama tutti”, l’abbraccio di Leone XIV alla Chiesa e al mondo

Dalla Loggia delle Benedizioni della Basilica di San Pietro, il primo affaccio di Robert Francis Prevost, finora prefetto del Dicastero per i Vescovi, eletto dai cardinali in Conclave come 267.mo Pontefice della Chiesa universale. Inni, canti, preghiere, applausi, cori di “Viva il Papa” e cori di esultanza all’annuncio dell’Habemus Papam da parte delle 100 mila persone presenti. Poi l’arrivo del Vescovo di Roma, le prime parole e la benedizione Urbi et Orbi

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Il nome, anzitutto. Leone XIV, nel ricordo di Leone XIII il Papa della prima enciclica sociale la Rerum Novarum. Poi il volto. L’espressione di serenità e stupore di chi per la prima volta, con vesti e occhi nuovi, assapora sulla propria pelle ciò che i predecessori hanno vissuto in quel primo affaccio dalla Loggia delle Benedizioni. Grida, canti, applausi, cori di «Viva il Papa» e «Leone, Leone», striscioni, bandiere, luci di smartphone che brillano sotto il cielo romano che si avvia verso un graduale crepuscolo. Infine le parole, le prime parole pronunciate con voce sicura e inflessione spagnola:

“La pace sia con tutti voi! Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo Risorto, il buon pastore che ha dato la vita per il gregge di Dio. Anch’io vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, a tutte le persone, ovunque siano, a tutti i popoli, a tutta la terra. La pace sia con voi!”

“Figlio di Sant’Agostino”

La storia bimillenaria della Chiesa inizia un nuovo capitolo. C’è il Papa, un nuovo Papa, il 267.mo Pontefice della Chiesa universale. Un «figlio di Sant’Agostino», un missionario di Chicago dalle radici miste francesi, italiane, iberiche che si presenta a tutti con le insegne papali e parla in italiano, spagnolo e latino. Lo hanno eletto 133 cardinali provenienti da ogni parte del mondo in un Conclave dai tempi rapidi.

Oltre 100 mila persone in piazza

«È bianca! È bianca!». Il primo Habemus papam lo ha gridato la folla, straripante – circa 100 mila persone – nell’emiciclo berniniano dove si è riversata alla prima apparizione del fumo dal comignolo sul tetto della Sistina. Erano le 18.07. Un iniziale rivolo, poi la lunga scia che si è andata disperdendo nel cielo terso di questa primavera romana. Un boato si è elevato dalla folla che già poco prima aveva gridato e applaudito all’apparire di un cucciolo di gabbiano accanto al comignolo. Poi l’esclamazione di stupore, una liberazione dalla tensione generata dall’attesa. È un momento che si è vissuto centinaia di volte nella storia ma risulta sempre come la prima volta. È il fascino del mistero, della assoluta segretezza, che rapisce e coinvolge in quest’epoca dove tutto è visibile, tutto è esposto e raccontato. Nessuno conosce il nome per oltre un’ora, lo custodiscono solo i cardinali in Sistina.

I rintocchi delle campane a festa della Basilica fanno da sottofondo alle grida della gente che ha applaudito all’uscita del cardinale protodiacono, Dominique Mamberti, deputato ad annunciare la formula latina di annuncio.

“Annuntio vobis gaudium magnum…”

“Figlio di Sant’Agostino”

La storia bimillenaria della Chiesa inizia un nuovo capitolo. C’è il Papa, un nuovo Papa, il 267.mo Pontefice della Chiesa universale. Un «figlio di Sant’Agostino», un missionario di Chicago dalle radici miste francesi, italiane, iberiche che si presenta a tutti con le insegne papali e parla in italiano, spagnolo e latino. Lo hanno eletto 133 cardinali provenienti da ogni parte del mondo in un Conclave dai tempi rapidi.

Oltre 100 mila persone in piazza

«È bianca! È bianca!». Il primo Habemus papam lo ha gridato la folla, straripante – circa 100 mila persone – nell’emiciclo berniniano dove si è riversata alla prima apparizione del fumo dal comignolo sul tetto della Sistina. Erano le 18.07. Un iniziale rivolo, poi la lunga scia che si è andata disperdendo nel cielo terso di questa primavera romana. Un boato si è elevato dalla folla che già poco prima aveva gridato e applaudito all’apparire di un cucciolo di gabbiano accanto al comignolo. Poi l’esclamazione di stupore, una liberazione dalla tensione generata dall’attesa. È un momento che si è vissuto centinaia di volte nella storia ma risulta sempre come la prima volta. È il fascino del mistero, della assoluta segretezza, che rapisce e coinvolge in quest’epoca dove tutto è visibile, tutto è esposto e raccontato. Nessuno conosce il nome per oltre un’ora, lo custodiscono solo i cardinali in Sistina.

I rintocchi delle campane a festa della Basilica fanno da sottofondo alle grida della gente che ha applaudito all’uscita del cardinale protodiacono, Dominique Mamberti, deputato ad annunciare la formula latina di annuncio.

“Annuntio vobis gaudium magnum…”

In Cappella Sistina prima dell’affaccio

In quegli stessi momenti, nella Cappella Sistina, davanti ai suoi confratelli riuniti in Conclave, Papa Leone ha manifestato il consenso all’elezione canonica e indicato, secondo quanto previsto dall’Ordo rituum conclavis, la scelta del nome pontificale: Leone XIV. A raccogliere formalmente l’accettazione il cardinale primo dell’ordine dei vescovi.

Il Papa si è poi recato nella sagrestia della Cappella Sistina, nella cosiddetta “Stanza delle lacrime” per smettere le vesti rosso porpora e vive alcuni momenti di intimità: in preghiera, da solo. Anzi, non da solo ma con Dio, supplicando da Lui la forza per raccogliere questo cruciale compito e accogliere l’abbraccio dei cinque continenti con le vesti bianche da Romano Pontefice.

L’ovazione 

«Viva il Papa! Viva il Papa!» si sente nella piazza, e ad un certo punto pure un «Olé, olé». Un gruppo intona il Salve Regina nel giorno in cui la Chiesa celebra la Madonna di Pompei. Quella che lo stesso Pontefice ricorderà pure nelle sue prime parole, domandando a tutti di recitare l’Ave Maria. Chissà se quell’eco sia giunta fino alle finestre sigillate della Sistina, sotto il maestoso affresco michelangiolesco, dove intanto il primo tra i cardinali diaconi ha dato lettura del brano evangelico in cui Cristo affida a Pietro la sua Chiesa e ai successori il primato del ministero apostolico.

Al termine gli elettori hanno prestato, uno a uno, l’atto di ossequio e di obbedienza. Il Papa ha accolto ciascuno restando in piedi dinnanzi all’altare. Poi lui stesso ha intonato il Te Deum e mentre il cardinale Mamberti, dal balcone al cuore della Basilica Vaticana, annunciava in latino l’elezione avvenuta e tanto attesa, ha iniziato il suo cammino verso la balconata. Preceduto dalla Croce astile, è apparso alla piazza. Le mani alzate in segno di saluto, poi giunte come ringraziamento. Un saluto urbi et orbi, alla città e al mondo, trasmesso da ogni sito e tv che hanno interrotto ogni trasmissione per connettersi con Roma.

Le prime parole

Le 19.22 l’orario dell’affaccio. Nei minuti precedenti la sfilata delle bande musicali, gli inni, quello d’Italia e quello dello Stato della Città del Vaticano, il picchetto d’onore, l’ovazione, le bandiere di nazioni diverse che si intrecciano, un via vai di cardinali ultraottantenni sul sagrato, le telecamere e le fotocamere di oltre 7 mila testate di tutto il mondo puntate verso i pesanti drappi in velluto rosso. Poi l’esordio con quel «la pace sia con tutti voi» che ha stabilito subito una familiarità, divenuta via via più profonda con il saluto in spagnolo alla sua diocesi di Chiclayo, in Perù, «dove un popolo fedele ha accompagnato il suo vescovo, ha condiviso la sua fede e ha dato tanto, tanto per continuare ad essere Chiesa fedele di Gesù Cristo».

Il ricordo grato a Papa Francesco

Familiarità che si è mutata in commozione con il ricordo grato del predecessore Francesco e delle sue ultime ore su questa terra. Il Papa argentino che «benediva Roma dava la sua benedizione al mondo, al mondo intero, quella mattina del giorno di Pasqua», ha detto il suo successore. Che ha chiesto di dar seguito a quella stessa benedizione: «Dio ci vuole bene, Dio vi ama tutti, e il male non prevarrà! Siamo tutti nelle mani di Dio. Pertanto, senza paura, uniti mano nella mano con Dio e tra di noi andiamo avanti. Siamo discepoli di Cristo. Cristo ci precede».

“Il mondo ha bisogno della sua luce. L’umanità necessita di Lui come il ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore. Aiutateci anche voi, poi gli uni gli altri a costruire ponti, con il dialogo, con l’incontro, unendoci tutti per essere un solo popolo sempre in pace. Grazie a Papa Francesco!” 

Un applauso fragoroso anche lì, segno che Jorge Mario Bergoglio è presente. Dal cielo, ma presente. Infine l’indulgenza plenaria concessa a quanti in quel momento hanno ricevuto la prima benedizione del nuovo Successore di Pietro. Inizia un cammino, inizia una storia, inizia una nuova epoca. 

«Viva il Papa!»

#sapevatelo2025

 

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