La Procura di Prato ha inviato avvisi di garanzia alla società Eni SpA, indagata ai sensi della legge sulla responsabilità civile, e a nove persone, tra cui sette dirigenti del gruppo e due della società appaltatrice Sergen, per l’esplosione del 9 dicembre 2024 al deposito carburanti di Eni a Calenzano, comune della città metropolitana di Firenze in Toscana. Le esplosioni al deposito del Cane a sei zampe di Calenzano causarono ingenti danni anche ad aziende vicine alla struttura, 5 morti e 28 feriti. Tra coloro che persero la vita, anche i due lucani Franco Cirelli, 50enne che viveva a Cirigliano, e Gerardo Pepe, 45enne nato in Germania, ma con residenza a Sasso di Castalda. Le ipotesi di reato contestate a vario titolo agli indagati sono quelle di omicidio colposo plurimo, disastro colposo e lesioni personali. Ad avviso dei magistrati guidati da Luca Tescaroli le quattro esplosioni sono state un «evento prevedibile e evitabile» sulla base di risultanze investigative. Il Procuratore capo Tescaroli ha fatto precisi riferimenti a un «errore grave e inescusabile» stando a quanto emerso dall’analisi della documentazione di sicurezza rilasciata a Eni a Sergen e dalle attività di Sergen: «Vale a dire la presenza di fonti di innesco, come il motore a scoppio di un elevatore», che «ha generato calore in un’area ad alto rischio in un momento in cui le operazioni di carico delle autobotti era- no parallele erano parallele alle attività di manutenzione della Sergen». In estrema sintesi, secondo l’accusa, la sostituzione della linea di benzina sarebbe avvenuta mentre vi era ancora carburante attivo e in contemporanea alle operazioni di carico delle autobotti. Secondo quanto contestato dagli inquirenti, Eni avrebbe permesso di svolgere, a Firenze come in tutti gli altri depositi, l’attività di manutenzione senza interrompere il carico delle autobotti nelle pensiline.
I NOMI
Sotto indagine ci sono Patrizia Boschetti, come datore di lavoro committente responsabile della struttura organizzativa e gestione operativa del centro Eni di Roma; Luigi Collurà, dirigente con delega di funzioni sulla sicurezza del deposito Eni di Calenzano; Carlo Di Perna, responsabile manutenzioni e investimenti depositi Centro, e Marco Bini, preposto Eni richiedente il permesso di lavoro che ha classificato l’attività di Sergen. E ancora: Elio Ferrara, preposto Eni che ha autorizzato il rinnovo del permesso di lavoro a Sergen per il giorno dell’incidente; Emanuela Proietti, responsabile del servizio prevenzione protezione di Eni, ed Enrico Cerbino, responsabile del progetto esterno per le Manutenzioni e investimenti depositi Centro. Sono inoltre sotto inchiesta Francesco Cirone, datore di lavoro e Rspp della impresa esecutrice Sergen di Viggiano e il preposto della stessa azienda Luigi Murno.
LE IPOTESI ACCUSATORIE
La procura di Prato ha annunciato che avrà luogo un incidente probatorio alla luce dei risultati investigativi anche «a tutela degli indagati». I reati ipotizzati sono stati commessi, stando all’impianto accusatorio, dai dirigenti Boschetti e Collurà e dagli altri indagati «inseriti nella struttura di Eni», Di Perna, Bini, Ferrara e Proietti, «nell’interesse e a vantaggio di Eni», «in assenza del modello organizzativo, adottato prima dei fatti, che contenesse misure precauzionali volte a impedire la situazione di rischio prevedibile e evitabile che ha prodotto le esplosioni e l’incendio, tipologia di evento che Eni, secondo il metodo statistico utilizzato, aveva classificato con una probabilità di accadimento molto bassa». Il vantaggio, stando alle ipotesi accusatorie, sarebbe ravvisabile nella «contemporaneità dell’attività lavorativa di manutenzione e di carico di autobotti nella stessa area sotto le pensiline, senza interrompere i carichi delle auto- botti, agevolando così il mantenimento della produttività funzionale all’attuazione delle strategie imprenditoriali dettate dalla stessa casa madre Eni ed escludendo la necessità di dilatare i tempi di attesa degli autisti mentre avvengono manutenzioni lungo le pensiline di carico». Per gli inquirenti, la modalità «è risultata indistintamente comune a tutti i depositi, non avendo rilevato specifiche ulteriori sulla documentazione di Eni, sicché l’interesse e il vantaggio sono ancor più ampliati su scala nazionale». Il Procurato capo Tescaroli ha anche sottolineato un certo tentativo di sviare le indagini. Il riferimento è a documenti trovati durante le perquisizioni: «Si tratta – ha dichiarato il Procuratore Tescaroli – di una documentazione che non avrebbe ragione d’essere a valle di un incidente che ha fermato ogni attività nel sito e che appare proiettata ad ostacolare l’individuazione di responsabilità da parte delle figure professionali di Eni». Eni, da parte sua, nel prendere atto degli avvisi di garanzia in relazione all’incidente al deposito di Calenzano ha specificato che «gli avvisi che hanno riguardato responsabili e operatori di aree tecnico operative della Direzione Refining Revolution and Transformation di Eni legate alle attività del deposito, esponenti della ditta fornitrice Sergen, nonché la stessa Eni SpA per la responsabilità ex Legge 231, consentiranno il proseguo delle attività investigative anche con il coinvolgimento dei soggetti interessati». Eni, inoltre, ha confermato «come fatto finora, la propria piena e totale collaborazione all’Autorità giudiziaria, con la volontà prioritaria di contribuire a individuare le cause e le dinamiche ad esse associate all’origine dell’incidente». Eni ha confermato «altresì il proprio impegno al risarcimento dei parenti dalle vittime dell’incidente e, con la maggiore tempestività possibile consentita dai tempi dalle attività di perizia, dei danni civili sul territorio, in avanzato stato di definizione complessivo».