Continua il nostro percorso dialogico avviato nelle 131 agorà della nostra terra lucana. In questa seconda edizione lo facciamo attraverso una visione duale e della differenza (maschile-femminile). Il modello resta sempre quello socratico, di ricerca e di indagine “critica”, per un confronto e dialogo costruttivo sulle questioni e sui problemi, senza sopraffazioni e forme di dominio. La differenza esperita apre a percorsi di alterità e di rispetto delle diversità influenzando positivamente l’intero tessuto sociale. Nessuno “scimmiottamento”. Differenti identità per costruire qualcosa di buono nei luoghi dove si vive, “un mondo nuovo e migliore”, come direbbe Virginia Woolf.

di Maria De Carlo*

Ho davanti agli occhi mia nonna con un barile (varrile) di acqua sulla testa, posto sopra uno scialle arrotolato che le permetteva l’equilibrio. L’andava a prendere alla fontana, pura, bella, limpida e fresca. Ogni volta per noi bambini era una festa. Si accompagnava poi un uso saggio che facevamo dell’acqua. Non bisognava sprecarla inutilmente.

Con questa immagine voglio celebrare la narrazione del connubio acqua e donna che svela la sacralità e l’inviolabilità della vita!

È quel “femminile” – acqua e donna – con la quale dobbiamo fare i conti per la sussistenza della vita umana e sociale. Quanta letteratura: dalla filosofia ai miti, dalle religioni alla psicanalisi.

L’anno appena trascorso è stato invece spettatore di una mancanza di riconoscimento e annientamento, di una contaminazione e avvelenamento. Abbiamo avvelenato l’anima della donna (oltre che eliminarla) e con essa la fonte della vita, l’acqua.

Non è avvenuto in tempi brevi. È il frutto di una cultura patriarcale da una parte e di una società dell’opulenza dall’altra a scapito della Natura. Un cammino che ci porta verso quella profezia attribuita al capo tribù dei Hunkpapa Sioux, Toro Seduto: “Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche”.

Siamo chiamati alla responsabilità. Su queste pagine dello scorso anno facevo appello, al di là del colore partitico, ad una progettualità e visione politica, spirituale (culturale) ed economica interconnesse per una crescita verso il bene comune. Ripetita iuvant, dicevano i nostri padri. Le cose ripetute giovano, voglio sperarlo.

Guardando alla nostra terra lucana e ai suoi fiumi: Bradano, Basento, Cavone, Agri e Sinni, vi invito a volgere lo sguardo verso la dea Mefite. Siamo custodi di un frammento del suo volto in bronzo, presso il Museo archeologico nazionale della Basilicata. Il culto alla dea Mefite era presente in Lucania, “a Grumentum e Rossano di Vaglio, il cui ruolo di centro di culto fu ereditato nel I secolo d.C. dalla città romana di Potentia” (web). Da questa “Potenzia” dobbiamo fare spazio alla gestazione, come nel ventre materno, di un nuovo cominciamento.

Quel liquido amniotico, tornando al parallelismo acqua e donna, deve caratterizzare l’impegno concreto e reale nel Nuovo anno. Purificare le nostre sorgenti, custodirle e prendersi cura. In esse ripensare il valore della vita che scaturisce dal ventre della terra, l’acqua, e dal ventre materno, la donna.

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