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“MARE NOSTRO”, ALTRI 3 ARRESTI

Il clan Scarci-Scarcia gestiva con violenze e intimidazioni gli affari sul litorale materano. Confermate 16 misure cautelari su 21. La “confederazione” imponeva una “signoria” sulle attività di pesca in mare

Lo scorso 2 ottobre è scattata una vasta operazione antimafia che ha coinvolto diverse forze di polizia: la Direzione Investigativa Antimafia, la Guardia di Finanza della Compagnia di Policoro, i Carabinieri del ROS Sezione Anticrimine di Potenza, la Squadra Mobile e il Nucleo PEF della Guardia di Finanza di Taranto. Coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia, l’operazione ha portato all’esecuzione di 21 decreti di fermo nei confronti di individui accusati di far parte di una presunta confederazione mafiosa legata alle famiglie Scarcia/Scarci. Secondo gli inquirenti, tale organizzazione criminale, attiva lungo il litorale jonico lucano, sarebbe stata dedita a una lunga serie di reati, tra cui estorsioni, illecita concorrenza, porto e detenzione di esplosivi e armi. Complessivamente, sono stati contestati agli indagati 81 reati, finalizzati – secondo l’accusa, che resta da verificare in sede giurisdizionale – a ottenere il controllo monopolistico su diverse attività economiche nel territorio. Secondo la ricostruzione dell’accusa – sempre da sottoporre al vaglio giurisdizionale valendo in ogni caso al presunzione d’innocenza fino a sentenza definitiva di condanna – le attività delittuose contestate ai soggetti indiziati di appartenere al sodalizio erano finalizzate ad acquisire, in modo diretto o indiretto, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, al gestione ed il controllo monopolistico dele attività turistiche, balneari, di pesca professionale e di ristorazione presenti sul litorale jonico lucano. Grazie allo sforzo congiunto delle Forze di polizia coordinate da questa Procura, emergeva a livello indiziario che proprio nel settore della pesca professionale la confederazione mafiosa avrebbe imposto al “signoria” nello specchio di mare interessato, attraverso un vero e proprio controllo e condizionamento delle attività professionali della pesca, con uso strumentale della capacità intimidatoria e quindi con condotte – esplicite o implicite – di violenza e/o minaccia, idonee ad incidere sui meccanismi di una concorrenza libera e lecitamente attuata garantendosi un regime di “monopolio” sulle attività marinare.

LE MANI SULLA PESCA

Uno degli ambiti su cui il gruppo criminale avrebbe esercitato maggiore controllo è appunto quello della pesca professionale. Gli inquirenti ritengono che la confederazione mafiosa avesse imposto una vera e propria “signoria” sul tratto di mare tra Metaponto di Bernalda e Nova Siri. Questo dominio si sarebbe concretizzato tramite minacce, violenze, e l’imposizione di una tangente, denominata “parte”, da pagare per poter operare nella zona. Chi non rispettava le regole imposte dall’organizzazione rischiava pesanti ritorsioni, che andavano dall’impedimento delle attività lavorative fino a conseguenze più gravi. Le modalità operative descritte dagli investigatori miravano a instaurare un regime monopolistico, annullando ogni forma di libera concorrenza. Dopo l’arresto degli indagati, i provvedimenti sono stati convalidati dai giudici competenti per territorio, ovvero Matera e Taranto. Successivamente, essendo stato contestato il reato associativo di cui all’articolo 416 bis del codice penale, il fascicolo è passato al Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Potenza, Salvatore Pignata. Il 2 ottobre, il GIP ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare che prevedeva il carcere per undici indagati, tra cui Andrea, Luciano e Giuseppe Scarci, e gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico per sette persone, tra cui Pietro Scarci, Giuseppina Scarcia e Adriano Scarcia. Insomma, il settore più a rischio e d’interesse da parte del clan era quello prolifico del commercio ittico, partendo sin dai pescatori.

L’IMPIANTO ACCUSATORIO

Il provvedimento del GIP ha sottolineato l’esistenza di un’organizzazione criminale capace di esercitare la propria influenza non solo attraverso azioni violente, ma anche tramite minacce velate e l’uso del proprio nome, ritenuto sufficiente a incutere timore e soggezione. Tuttavia, non per tutti gli indagati sono state confermate le misure restrittive. Egidio Boccia non ha ricevuto provvedimenti cautelari, in quanto i GIP di Matera e Potenza non hanno ravvisato esigenze cautelari. Anche Saverio Cotugno è stato escluso dalle misure dopo che le accuse nei suoi confronti sono state derubricate. Salvatore Scarcia, già detenuto per un’altra causa presso il carcere di Taranto, non è stato raggiunto da nuovi provvedi- menti in questa fase. Il Tribunale del Riesame di Potenza ha confermato quasi integralmente l’impianto accusatorio delineato dalla Direzione Distrettuale Antimafia, respingendo le istanze di riesame avanzate dalla maggior parte degli indagati. Soltanto due persone, Mario Florio e Adriano Scarcia, sono state rilasciate, pur confermando il totale impianto accusatorio della prima ordinanza.

LA NUOVA ORDINANZA

Parallelamente, il 21 novembre, il GIP di Potenza ha emesso un ulteriore provvedimento cautelare nei confronti di Salvatore Scarcia, ritenuto al vertice del clan, e di due presunti collaboratori, Giuseppe Martera e Michele Sibilla. Quest’ultimo è accusato anche di aver detenuto un ingente quantitativo di esplosivo, pari a 13 chilogrammi, sequestrato il 27 dicembre 2023 sulla spiaggia di Scanzano Jonico. Gli esplosivi, metà dei quali ad alto potenziale, erano presumibilmente destinati a demolizioni civili, ma contenevano anche una componente a base di tritolo. Il 24 novembre, le forze dell’ordine hanno arrestato i tre destinatari del nuovo provvedimento e li hanno trasferiti presso la casa circondariale di Melfi. Gli investigatori avevano costantemente monitorato Salvatore Scarcia dopo la sua scarcerazione, raccogliendo elementi che hanno portato al nuovo arresto.

LE INDAGINI

Le indagini, condotte sotto la direzione della Direzione Distrettuale Antimafia di Potenza, hanno per- messo di delineare un quadro complesso e dettagliato. Gli inquirenti ritengono che la confederazione mafiosa fosse in grado di operare in modo unitario e sinergico, esercitando il proprio potere sull’area compresa tra Metaponto di Bernalda e Nova Siri, con influenze significative anche nel territorio di Taranto. L’organizzazione avrebbe dimostrato una forte capacità di ingerenza nei settori economici locali, compromettendo i principi di libera concorrenza e legalità. Rimane comunque fondamentale ricordare che, fino a una sentenza definitiva, gli indagati sono da considerarsi innocenti in virtù del principio della presunzione di innocenza. Le attività investigative hanno rappresentato un importante passo avanti nella comprensione del fenomeno mafioso lungo il litorale jonico lucano. Questo territorio, che da anni è al centro dell’attenzione delle autorità per il rischio di infiltrazioni criminali, è stato oggetto di un’indagine approfondita che ha fatto emergere nuovi elementi sulla struttura e le modalità operative dell’organizzazione Scarcia/Scarci. L’operazione del 2 ottobre e i successivi sviluppi dimostra- no l’impegno congiunto delle forze dell’ordine e della magistratura nel contrasto alla criminalità organizzata, un fenomeno che, se non adeguatamente affrontato, rischia di compromettere non solo l’economia locale, ma anche il tessuto sociale del territorio. Le indagini continuano ed intanto si lavora anche per raccogliere altre prove sulle ordinanze già emanate dalle autorità giudiziarie.

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