LA «COSA TRUCCATA» E LA «FATTURA» PER LA MAZZETTA DA 50MILA EURO
Tangenti all’ombra di Cava Pedali, nell’inchiesta della Procura di Potenza le intercettazioni che svelano il sistema
«Io ho partecipato con due aziende , la prima, già avevo vinto (…) quando mi è arrivata la carta ho visto tutti i partecipanti della gara, quando andavano a protocollare sopra il protocollo (…) e con la seconda ho partecipato con un po’ più alta della somma di prima, perché qualcuno mi ha avvisato che c’erano delle buste che arrivavano, io ti devo dire la verità (…) sono tre amici, pure che mi registrate». A parlare è Carmine Caputo, amministratore di fatto della Caputo Srl, ditta aggiudicataria dell’appalto, per la Procura di Potenza truccato, per la vendita a corpo del materiale estrattivo della Cava in località Pedali di proprietà del Comune di Vietri di Potenza.
«GLI AMICI» DI VIETRI DI POTENZA
La voce di Carmine Caputo, una consulenza fonica di parte ne ha accertato l’identificazione, che spiega alcuni passaggi del- la definita «operazione», è impressa su un nastro che una persona terza portò in Procura a Potenza. Già dai primi riscontri, gli inquirenti trovarono indizi sulla fondatezza della pista. L’ultimo giorno per la presentazione delle offerte per l’appalto dal valore a base d’asta di 500mila euro, aggiudicato, previo «accordo corruttivo», cioè tramite promessa “mazzetta” di 50mila euro, all’offerta della Caputo Srl per 525mila euro, ricavi stimati in 1 milione e 359mila euro, era il 13 maggio 2022. Incrociando il rimando ai «tre amici» di Vietri di Potenza citati dallo «zio Carmine» con le risultanze dei tabulati telefonici del 13 maggio, ecco spuntare i primi due nomi: il dimessosi, a seguito dell’inchiesta, consigliere comunale di maggioranza, uomo fidato del sindaco pentastellato Christian Giordano che gli ha affidato le deleghe al turismo, alle politiche giovanili, alla mobilità e ai trasporti, il classe ‘92, Antonio Viggiano, ed il responsabile dell’Area tecnica del Comune, l’indagato Claudio Pirollo. L’altro «amico» individuato dalla Procura di Potenza, il padre del consigliere comunale, Bruno Viggiano.
L’ULTIMO GIORNO PER LE OFFERTE: TELEFONI BOLLENTI
Ad ogni modo, quel 13 maggio, tra Carmine Caputo, suo nipote Giuseppe Trimarco, anche lui indagato, Antonio Viggiano e Pirollo, registrati 18 contatti di durata variabile. Il 13, stavano per saltare i piani, ma poi grazie, come da accusa, alla prontezza della «carta» inviata dagli «amici» il piano del gruppo è andato in porto. Altro riscontro immediato per gli inquirenti: tra le 6 offerte presentate, effettivamente c’era anche quella della ditta Alburni Multiservice Srl avente quale legale rappresentante la figlia di «zio Carmine», ossia Cristina Caputo (non indagata). Nel pomeriggio dell’ultimo giorno utile, l’allarme di un’offerta consegnata a mano con rialzo superiore a quello proposto dalla Alburni Multiservice Srl. Gli «amici» si attivano con i Caputo: «Metti più 15», cioè 500mila euro più 15 mila, «loro mi dissero metti cinque e quindici che hai vinto», anche se l’offerta sarà finale sarà di 525mila euro per il temuto «bidone». Dai Caputi, l’invio della pec alle 22 e 15 del 13 maggio. Poco prima del gong finale della mezzanotte, alle 23 e 53, l’offerta da un privato con zero rialzo: 500mila euro. Nonostante l’Ufficio protocollo aprisse al mattino seguente, come racconta Carmine Caputo intercettato, «subito dopo la mezzanotte», gli arrivò un messaggio, «figlio di puttana, più 25», per gli inquirenti in riferimento ai 525mila offerti, e la mattina del, alle 9 e 10, l’ufficialità con Pec dal Comune di Vietri di Potenza con la quale gli veniva comunicata l’aggiudicazione della gara.
IL SOSPETTO DI CAPUTO
Caputo, però, specifica che «come c’era per me, c’era anche per loro», esprimendo «perplessità» sia sull’ultima offerta con zero rialzo che sull’altra precedente che stava facendo saltare il piano «considerato che la fonte verosimilmente era la stessa che aveva già informato la ditta di offrire l’importo di 507mila euro (risultò poi la seconda classificata, ndr)», affermando che «anche per loro c’era uno che guardava, era la stessa cosa, qualcuno della minoranza che poteva…». Congetture di Caputo, comunque per lui rassicuranti visto che, se vere, avrebbero significato che la situazione creatasi «aveva messo tutti i concorrenti nella condizione di dover tacere». Così non sembra che fosse, visto il ricorso vinto al Tar, proprio dalla seconda classificata. Ulteriore riscontro trovato dagli inquirenti, invece, utile alle indagini, ha riguardato l’“accesso” allegro al protocollo anche dopo la gara. Nel febbraio scorso, Viggiano al telefono con Ca- puto che lamentava di una Ctu disposta dal Tribunale per quantificare il materiale giacente in cava, «si adopera in modo fattivo per verificare quanto lamentato dal Caputo e durante la conversazione fa accesso al protocollo del Comune di Vietri non si comprende se si reca di persona o accede da remoto», concludendo «non ce l’ho al protocollo questa cosa», perchè, infatti, era stava inviata direttamente all’ingegnere Pirollo. Anche da altre conversazioni, come quelle in cui il responsabile d’area economico-contabile va col sindaco Giordano da Pirollo a chiedere spiegazioni circa la sentenza del Tar, «emerge in modo chiaro ed univoco che le offerte economiche erano visibili a chiunque facesse accesso al protocollo del Comune di Vietri di Potenza».
L’IMPAZIENZA DI VIGGIANO E LA «FATTURA» PER LA TANGENTE
«Operazione» in porto, rimaneva da stabile tra i Caputo e Viggiano, quando e come sarebbe avvenuta la transazione economica della mazzetta da 50mila euro così come contestata dalla Procura di Potenza. Il più giovane, Antonio, impaziente di incassare. Al telefono con Carmine Viggiano: «Perché per noi comunque è una cosa di… l’operazione è tutta la mia», col Carmine Caputo che lo ferma: «Ma non parlare, non parlare, mannaggia, con questo telefono (…) noi sappiamo i fatti nostri e teniamoceli per noi, l’abbiamo realizzata, a posto». Più cauto con Carmine Caputo, il padre Bruno Viggiano che dal canto suo manifestava comprensione circa le «difficoltà tecniche»: «Se tu non lavori non è che uno pretende», giustificando la richiesta di pagare con assegni «quale pura formalità». Caputo, anche in questo caso, blocca l’interlocutore: «Non me lo dire più, mi hai dato la mano, non me le devi più dire queste parole, se ti ho detto così, formalità con me non deve esistere abbiamo detto la parola, sono io che vengo da voi punto». La richiesta di assegni, era stata proposta in un primo momento al tramite tra i Caputo e Viggiano, Trimarco, che li aveva incontrati al «bar della stazione». Riferita la richiesta a Caputo, questo subito manifesta disappunto domandando come possano «i Viggiano cambiare gli assegni» e chiedendo, per far comprendere meglio la non fattibilità della cosa, «che fanno la fattura dopo?».
«LA COSA TRUCCATA» E «LA GALERA»
Per Trimarco, però, qualcosa bisognava iniziare a dare: «Pure per non sentirli nelle orecchie a lui ed il padre perchè quelli poi vanno… hai capito… prendi 5-6 mila euro e glie li dai». Divisi anche i Viggiano. Mentre il padre Bruno è convinto, come dice a Carmine Caputo, che «la prospettiva che si possono fare altre cose», per il figlio Antonio dato «il comportamento poco serio» di Caputo, «potrebbe non fare più niente». Anzi, come spiega Trimarco allo zio, meglio corrispondere ai Viggiano «almeno una parte del dovuto», altrimenti «ha detto che quello ti blocca». Ancora una volta, come per «che fanno la fattura dopo?», sarcastica la risposta dello «zio Carmine»: «Dimmi dai come può bloccare, dice che abbiamo fatto la cosa truccata (…) per andare in galera».