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PER NON DIMENTICARE MAI LE STRAGI DI MAFIA IN ITALIA

La strage dei Georgofili, un accadimento criminale ”ibrido” oltre Cosa Nostra

#ègiustoinformare con : Quarto Savona Quindici in FIRENZE per 3 giorni 


La strage di via dei Georgofili è stato un attentato terroristico compiuto da Cosa nostra nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993 tramite l’esplosione di un’autobomba in via dei Georgofili a Firenze, nei pressi della storica Galleria degli Uffizi


Il presidente del consiglio regionale della regione Toscana Ing. ANTONIO MAZZEO :


Quelli dentro la teca sono i resti della Fiat Croma su cui viaggiava la scorta di Giovanni Falcone. Quarto Savona Quindici era il suo nome in codice.

Quarto Savona Quindici

In occasione del trentesimo anniversario della Strage Dei Georgofili

siamo riusciti, come Consiglio Regionale della Toscana insieme alla Questura di Firenze, a portarla per tre giorni a Firenze

È arrivata stamani e la potrete trovare nel piazzale degli Uffizi a poche decine di metri dal luogo dell’esplosione

Visitarla, fermarsi un minuto a leggere la storia di testimonianza che l’accompagna, mette semplicemente i brividi

Oggi alle ore 16 ci tornerò accompagnando i ragazzi del Parlamento degli Studenti insieme a Tina Montinaro, moglie di uno degli agenti che rimasero uccisi

TINA MONTINARO
Ricordare, comprendere quello che è accaduto, raccontare ai ragazzi tutto quello di orribile che può fare la mafia è un dovere

È parte della lotta alla criminalità organizzata. Perché come diceva Paolo Borsellino

“se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”
Dott. PAOLO BORSELLINO

E noi, in Toscana, facciamo e faremo di tutto per far vincere la cultura della legalità

*^*

La strage dei Georgofili, un accadimento criminale ”ibrido” oltre Cosa Nostra

{di Aaron Pettinari 19 Novembre 2022}

Nelle conclusioni della Commissione Antimafia elementi sul possibile coinvolgimento esterno nell’esecuzione del delitto

“Ci siamo portati dietro morti che non ci appartengono”. E’ questa la celebre espressione che Gaspare Spatuzza, ex boss di Brancaccio, avrebbe detto al capomafia Giuseppe Graviano ad un appuntamento a Campofelice di Roccella, in un periodo compreso tra la fine del ’93 e gli inizi del ’94. Era quello il periodo in cui veniva pianificato l’attentato allo stadio Olimpico che avrebbe dovuto colpire un bel po’ di carabinieri.
In più sedi l’ex killer di Cosa Nostra ha spiegato ulteriormente quel pensiero. “Per Capaci e via D’Amelio ha detto Spatuzza per quello che mi riguarda erano nemici anche miei, anche se non li ho mai conosciuti, e in quell’ottica per me andava bene anche usare modalità terroristiche…  ma quando andiamo a mettere cento e passa chili di esplosivo in una strada abitata non è più qualcosa… stiamo andando verso qualcosa che non ci appartiene più”.
Queste affermazioni, si legge nella relazione pubblicata nei giorni scorsi dal II Comitato della Commissione Antimafia sulla strage dei Georgofili, presieduto dall’ex senatore Mario Giarrusso, trovano “ulteriori e inattesi significati” grazie agli sviluppi dell’inchiesta condotta rivisitando un vastissimo materiale documentale, non solo processuale.
Il Comitato, che si è avvalso della consulenza di un magistrato come il procuratore di Lagonegro Gianfranco Donadio, in passato vice del superprocuratore della Dna Pietro Grasso, nella sua veste di senatore componente molto attivo del medesimo Comitato, ha voluto risentire collaboratori di giustizia come Gaspare Spatuzza, Vincenzo Ferro, Giuseppe Ferro, nonché Cosimo Lo Nigro, condannato per la strage dei Georgofili all’ergastolo  – a cui in sentenza risulta attribuita la condotta del collocamento dell’autobomba sotto la torre dei Pulci – il sostituto commissario della polizia di Stato Carlo Benelli, l’avvocato Danilo Ammannato, legale di parte civile nei processi celebratisi dinanzi le Assise fiorentine, e dell’esperto di esplosivi Gianni Giulio Vadalà, già perito del pm di Firenze.

Il magistrasto Gianfranco Donadio © Imagoeconomica

L’ipotesi di un’operazione criminale di “falsa bandiera”
“Le acquisizioni dichiarative e documentali effettuate dal II Comitato e dalla Commissione – si legge nella relazione – conducono ad una possibile ricostruzione alternativa di taluni rilevanti profili modali della strage di via dei Georgofili e rendono credibile il coinvolgimento, quantomeno nella sua fase esecutiva, di soggetti estranei a Cosa Nostra”.

I processi e le sentenze definitive, allo stato, offrono una ricostruzione dei fatti precisa, ovvero che il 27 maggio, a mezzanotte, Cosimo Lo Nigro e Giuliano, alla guida di un Fiorino rubato (imbottito di esplosivo, ndr) e di una Fiat Uno, erano andati in via dei Georgofili.
Secondo la Commissione, però, “allo stato degli atti, pur essendo necessario l’approfondimento ulteriore di vari suoi aspetti, la vicenda pare presentare i tratti tipici di un’operazione criminale di ‘falsa bandiera’ in cui filiere criminali riconducibili al noto latitante Messina Denaro e ai fratelli Graviano, esponenti egemoni del mandamento palermitano di Brancaccio, hanno curato la logistica e il trasporto di una parte dell’esplosivo deflagrato nel capoluogo toscano così ‘firmando’ l’evento”.
Secondo il Comitato, dunque, “plurimi elementi consentono di ritenere assolutamente apprezzabile l’ipotesi che l’autobomba inizialmente allestita in Prato dai siciliani passò di mano, poco prima del suo collocamento nel cuore di Firenze, e che, dopo la partenza del Fiorino (avvenuta intorno alle 22 del 26 maggio 1993), al rilevante quantitativo di tritolo (con relativo innesco), pari all’incirca a 120 – 130 chilogrammi, caricato nel garage dei Messana, venne aggiunta una rilevantissima carica di esplosivo di natura militare, sicché la deflagrazione di siffatta micidiale miscela ebbe effetti ancor più devastanti”.

La donna delle stragi
Un punto cardine all’attenzione del Comitato è sicuramente stato quella della possibile partecipazione nella fase esecutiva di una giovane donna, al pari di quanto avvenuto nella successiva strage di via Palestro in Milano.

Così è stato riesumato “l’identikit (realizzato dalla Polizia, ndr) – mai reso pubblico dagli inquirenti e dalla Procura di Firenze – raffigurante il volto di una giovane donna con i capelli a caschetto, asseritamente presente al collocamento da parte di due ignoti di un pesante borsone in un Fiorino bianco in via dei Bardi, nel centro di Firenze intorno alla mezzanotte del 26 maggio 1993, e ciò in un momento anteriore e prossimo all’esplosione dell’autobomba in via dei Georgofili”.

Il testimone mai sentito
Di quella donna aveva parlatoVincenzo Barreca, il portiere del condominio, che sorge proprio di fronte al luogo cruciale dell’attentato, che raccontò già poco dopo la strage di aver sentito, poco prima della mezzanotte, una discussione “abbastanza animata” tra due uomini sul marciapiede proprio di fronte le sue finestre.

Poi aveva visto arrivare un’auto di colore grigio metallizzato, il numero di targa iniziava con le lettere RO, che si ferma all’altezza dei due: “forse Mercedes” dal “musetto basso” ed una mascherina con supporti verticali. Barreca a questo punto aveva visto scendere dall’auto una giovane donna con capelli neri, corti e lisci vestita elegantemente con i tacchi che imprecava contro due uomini che caricavano un borsone su una macchina. E disse che c’era anche un furgone tipo Fiorino.
La Commissione mette in evidenza l’anomalia per cui, “per tantissimi anni non è stato esaminato dai magistrati inquirenti” tanto che “il suo nome nemmeno compare nella lista testi depositata dal pubblico ministero nel processo ‘Bagarella’, conclusosi nel giugno 1998”.

Nel corso del tempo “il contenuto delle esternazioni del dichiarante subisce dei mutamenti arricchendosi di dettagli in occasione delle dichiarazioni verbalizzate il 7 luglio del 1993 dalla Digos”.
Secondo quanto si legge nella relazione “significative novità” si presentano “nell’audizione compiuta da una delegazione della Commissione alla fine del 2019”.
“Egli – si legge – ha ricordato che i due uomini avevano a loro disposizione un’auto blu, del colore delle auto dell’Aeronautica, che era caduta loro una ‘mappa’ di Firenze ove due punti erano segnati con dei cerchi rossi e che il pesante borsone era stato trasferito, alla presenza di una donna giunta con una Mercedes direttamente sul Fiorino”.

Chi alla guida del Fiorino?
Altre dichiarazioni esaminate dalla Commissione sono quelle di Andrea Borgioli, testimone oculare che era stato già sentito e valorizzato nelle sentenze. Questi disse di “aver notato discendere dal Fiorino, dopo averlo parcheggiato nel punto dove, circa 25 minuti dopo, sarebbe esploso, un giovane poco più basso di lui. Il Borgioli – fa notare il Comitato – precisò, in detta occasione, di essere alto un metro e ottantasette. Cosimo Lo Nigro(ovvero il mafioso che nelle sentenze è indicato come essere stato l’uomo alla guida del Fiorino, ndr) è alto un metro e settanta”.

Anche questa sembra essere una falla importante della ‘ricostruzione ufficiale’.
Secondo la relazione del Comitato tutto ciò “induce a ritenere logicamente credibile il fatto che sia avvenuto un cambio del conducente del Fiorino”.
E sul punto Spatuzza, alla Commissione, ha fornito una propria interpretazione: “Se ne stiamo discutendo e si parla di questo (uomo, ndr) alto, io vi dico: se seguiamo questa logica allora Lo Nigro, che so, duecento metri, trecento metri prima, a un chilometro deve consegnare questo Fiorino a questa terza persona”. Quindi ha aggiunto che, tuttavia, gli sembra strano che quando arriva a casa Lo Nigro gli dica “abbiamo centrato”.
Tutti questi elementi, per la relazione del Comitato II della Commissione Antimafia, “legittimano l’ipotesi che nelle ore che separano la partenza del Fiorino da Prato al collocamento dell’autobomba in via dei Georgofili possa essere avvenuto un rafforzamento della carica con introduzione a bordo del veicolo di un ulteriore quantitativo di esplosivo ad alto potenziale”.
La Commissione basa questa ipotesi sull’audizione del consulente di allora dei magistrati fiorentini in materia di esplosivi, Gianni Giulio Vadalà, dirigente della Polizia.


Il collaboratore di giustizia, Gaspare Spatuzza, scortato fuori da un’aula di tribunale

L’inedito confronto tra Ferro e Spatuzza
Un importante passo nell’accertamento della verità vi è stato dopo l’escussione dei due collaboratori di giustizia Vincenzo Ferro (ex mafioso che non si è mai fatto un giorno di carcere, ndr) e Gaspare Spatuzza, messi a confronto su un dato molto importante inerente i movimenti delle auto del commando mafioso.

Dopo alcuni tentennamenti, di fatto, Ferro ha dovuto ammettere davanti alla Commissione, in primo luogo che non vi era Spatuzza sulla Golf uscita ad accompagnare il capo del commando, ma Giuseppe Barranca, che prima della strage è salito su un camion diretto al sud.
Su quella Golf colore carta da zucchero, dunque, non c’era Spatuzza ma lui stesso.
Inoltre ha dovuto anche ammettere che Spatuzza è stato sicuramente più preciso sul riferire l’orario di uscita da casa del commando.
Ferro nei processi aveva sempre indicato un orario di poco anteriore alla mezzanotte il momento dell’effettiva partenza del Fiorino con i due componenti del commando (Francesco Giuliano e Cosimo Lo Nigro).
Per Spatuzza, invece, i due sarebbero partiti dalla casa dello zio di Ferro, a Prato, quando la partita (la finale della 38ª edizione della Coppa dei Campioni tra Olympique Marsiglia e Milan iniziata alle 20 e 15 del 26 maggio e finita con un 1-0 per i francesi prima delle 22 e 15) era in corso o finita da pochissimo tempo.
Dopo il confronto, dopo aver mostrato alcune difficoltà, Ferro ha ritrattato la propria prospettazione confermando la tempistica offerta da Spatuzza.
E’ un fatto noto che l’esplosione dei Georgofili arriva alle ore 1.04 di notte.
Gaspare Spatuzza, ritenuto credibile dalle Procure, ha ribadito ai commissari che la miccia prevista per l’esplosione richiedeva un minuto. Il trasferimento da Prato al centro di Firenze richiede mezz’ora.
Dunque cosa è successo in quel cuneo di tempo pari a due ore in cui il Fiorino, stando all’analisi dei contributi dichiarativi, “sparisce nel nulla”?
Tale circostanza, secondo la Commissione, permette di affermare come ipotesi che l’auto piena di tritolo mafioso possa essere anche arrivata in via Bardi in un orario coincidente con quello della scenetta vista dal portiere di via de’ Bardi, Barreca.
E’ anche da questo che si forma il convincimento della presenza di soggetti esterni a Cosa Nostra anche nelle fasi di esecuzione delle stragi.
Le responsabilità da accertare sul biennio stragista del 1992 e del 1993 prosegue senza sosta. E’ nota l’attività della Procura di Firenze con l’apertura del fascicolo sui mandanti esterni delle stragi che vede protagonisti Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, ma anche l’iscrizione di una donna nel registro degli indagati con l’accusa di essere coinvolta nell’attentato di via Palestro a Milano del 27 luglio 1993.
La verità sulle stragi in Continente passa anche da queste indagini che ora potranno avvalersi anche degli spunti offerti dalla Commissione parlamentare. 

Presidente EUGENIO GIANI : 

Sono passati 30 anni 


Queste ragazze e ragazzi non erano ancora nati,

ma essere qui oggi insieme a tanti giovanissimi per ricordare la strage dei Georgofili è indispensabile per trasmettere i valori che alimentano la nostra Democrazia


Il RICORDO del Presidente EUGENIO GIANI : 
A distanza di trent’anni ricordo ancora quella notte come fosse ieri 

 

Da pochi mesi ero diventato assessore alla mobilità e ai lavori pubblici del Comune di Firenze, stavo svolgendo una funzione importante nel rapporto tra la giunta e la città.

Fino a quel momento la mafia poteva essere considerata come un fenomeno localizzabile altrove, anche se certo c’erano state importanti inchieste giudiziarie, che avevano portato alla luce significative infiltrazioni della criminalità organizzata.

Ma tutto sarebbe cambiato quella notte, appunto: la notte della strage di via dei Georgofili.

La sera, ricordo, avevo l’abitudine di comprare l’edizione della notte della Nazione all’edicola di Santa Maria Novella, per leggerla a casa.

Avevo cominciato le lettura verso mezzanotte e mezzo.

Poco più tardi avvertii un grande botto, come se fosse successo qualcosa nei dintorni di casa.

A quei tempi abitavo ancora a Legnaia, il quartiere della mia infanzia e della mia adolescenza.

Uscii subito sul terrazzo e da lì scorsi una colonna di fumo.

Al momento pensai a qualcosa che aveva coinvolto una fabbrica o un magazzino, magari a una fuga di gas. Pochi istanti più tardi mi arrivò la telefonata dell’operatore della polizia municipale, per cui rappresentavo l’assessore di riferimento.

Con voce grave mi segnalò che era esplosa una casa torre nel centro di Firenze, nei dintorni degli Uffizi.

Dissi che mi sarei subito precipitato sul posto.

Ricordo bene anche le scene successive, in macchina sui lungarni. In piazza Santa Trinita incrociai una persona col volto insanguinato.

È stato un disastro, mi urlò chi la stava accompagnando all’ospedale.

Arrivai in via dei Georgofili, dove spesso parcheggiavo anche io.

Mi venne subito in mente cosa sarebbe potuto succedere se l’esplosione fosse avvenuta di giorno.
I vigili urbani e i vigili del fuoco mi vennero incontro, mi domandarono come ritenevo di dover procedere.

Altre scene di quella notte come un incubo: i corpi della famiglia Nencioni estratte dalle macerie, in particolare le due bambine, figlie di un vigile che conoscevo e che ricordo sempre sorridente, sempre positivo; il primo sopralluogo agli Uffizi per valutare i danni inferti alle opere; il momento in cui i vigili vennero a dirmi, sotto voce, che con tutta probabilità non era stata una fuga di gas: le caratteristiche delle schegge facevano propendere per una bomba.

In quel momento mi sentii come soffocare: chi poteva aver voluto tutto questo?

La mattina dopo le definitive conferme e l’emersione della pista mafiosa. Avevano voluto colpire Firenze, città della cultura, nel cuore stesso del suo patrimonio di cultura: quella galleria degli Uffizi che a oggi è la galleria di arte più visitata in Italia.

Nei giorni successivi operai per la rimozione delle macerie e il ripristino di condizioni accettabili per le abitazioni e le attività.

Ma in ogni caso non si poteva più tornare indietro.

Quella bomba, quella notte, segnò un punto di svolta nel modo in cui la mafia era vissuta da Firenze e dai suoi cittadini.
La mafia era in mezzo in noi, nella nostra vita quotidiana.

Anche noi eravamo vulnerabili. Vulnerabili, ma decisi a sostenere la sfida della criminalità organizzata.

Tutti insieme, con fermezza, istituzioni e cittadini 

La strage dei Georgofili ha segnato profondamente Firenze e l’Italia.

È stata una strage drammatica che pose la Toscana di fronte al fatto che la mafia poteva essere in mezzo a noi, nella nostra realtà. Ricordo la settimana successiva, le assemblee degli studenti, le manifestazioni, lo sdegno della città.

Da quella capacità di reazione, grazie anche all’impulso di magistrati bravissimi, parlo di Vigna, Chelazzi, Nicolosi, Crini, è stato possibile ricostruire l’intero percorso criminoso ed arrivare a 32 condanne esemplari, cosa che non accade sempre.

La strage dei Georgofili è quindi un punto di riferimento della reazione civile e della capacità della Giustizia di… fare giustizia.

Per questo a trent’anni di distanza, in un’attenzione che è sempre crescente, la presenza del presidente della Repubblica al Palazzo di Giustizia di Firenze, oggi, è veramente il suggello della reazione e del contrasto alla mafia, alla criminalità organizzata, della lealtà nel rapporto fra cittadini ed istituzioni che costituisce l’antidoto più efficace contro le mafie.

30 anni fa il 27 maggio con il Presidente del Senato Spadolini in via dei Georgofili

Lì dove furono colpiti non solo i cittadini inermi e innocenti ma anche la città di Firenze, il Governo di allora e l’intero Stato Italiano.

Memoria, giustizia, verità!

 

#sapevatelo2023 

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