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AFFITTI, IL FATTO NON SUSSISTE

La protesta che l’Unibas non vedrà mai: gli studenti lucani sono accampati altrove
Mancano gli iscritti, i fuori sede dalle altre regioni col contagocce: niente tende davanti all’Ateneo lucano

Non vedremo le tende montate nei pressi dell’università a Potenza, non vedremo le proteste dei fuori sede che chiedono un prezzo politico per la casa per studiare. Non le vedremo non solo perché i prezzi degli affitti a Potenza sono decisamente meno cari che a Roma o a Milano ma soprattutto perché non ci sono fuori sede a Potenza o, comunque, non tanti da essere percepiti. In compenso tra gli studenti costretti a fare le valigie e viaggia- re per laurearsi ci sono tanti lucani, costretti ad una emigrazione forzata non tanto e non soltanto per scegliere una sede universitaria più cool quanto soprattutto perché quasi certamente la loro facoltà non c’è in Basilicata. L’Unibas, sommersa da un fiume di vacua ed inutile retorica nella data del suo anniversario, è l’archetipo universale dell’università respingente, il modello di ciò che non funziona nella nostra terra e che viene tenuto in piedi solo come manifesto ideologico e geolocalizzazione di esistenza, quasi certificato fallace di esistenza in vita.

IL COSTO DI UN FALLIMENTO

È un fallimento in piena regola quello dell’università degli Studi di Basilicata, un fallimento che è attribuibile in primis alla sua classe dirigente che, a partire dal Magnifico Rettore, non riesce a produrre nulla di accattivante ma anche a tutta la classe dirigente lucana che non si pone proprio il problema se non nei limiti delle celebraziono piene di retorica. Ad onor del vero la Giunta Bardi si è prodigata per aprire la facoltà di Medicina che potrebbe (speriamo) essere una attrattiva autentica per tanti studenti ma certamente non è la panacea per tutti i mali. Mancano tante facoltà e quelle che ci sono non appaiono attrattive al punto che la stragrande maggioranza degli studenti medi della Basilicata preferisce affrontare il girone dantesco del caro affitti in una grande città rispetto alla palude immobile del nulla dell’Unibas.

UN DOPPIO DRAMMA

Si deve avere il coraggio di guardare in faccia la realtà anche se amara e questa realtà si presenta nei volti spopolati dei nostri comuni che scarseggiano di giovani nei quali mancano almeno due generazioni nuove. La colpa non è soltanto dell’università ma certamente le colpe di intere generazioni costrette ad andare via per potersi laureare ricade pesantemente sull’università di Basilicata. Una colpa che produce due danni diretti. Un primo danno che si può semplicemente calcolare nei soldi che ciascuna famiglia spende per tenere i figli a studiare altrove. Soldi che vengono sottratti al tessuto produttivo della Basilicata per essere spesi in altre città. Soldi che guadagnati in Basilicata vengono spesi altrove. Un secondo danno, più difficile da calcolare ma più dannoso e di più lungo termine, è la progressiva scomparsa delle menti più dinamiche dal territorio lucano. I laureandi se ne vanno e, spesso, da laureato non tornano. Il dinamismo culturale si riduce e le menti diventano sempre più vecchie. La cultura non circola e con essa le economie.

PROCESSO ALL’UNIBAS

In un processo all’Unibas dovremmo dire che queste colpe di depauperamento economico ed impoverimento culturale sono effetti disastrosi della scellerata gestione dell’università e producono il risultato di una progressiva afasia della nostra Regione. L’università in qualsiasi territorio è un motore che disegna il futuro della Regione e della sua gente. Nel caso dell’Unibas questo motore va a retromarcia, rappresenta un costo economico che produce danni economici e sociali. Non vedremo le tende dei fuori sede davanti all’Università degli Studi di Basilicata che si lamen- tano del caro fitti a Potenza. Se ci fosse una coscienza civica dovremmo vedere le tende degli studenti lucani costretti ad andare fuori che pretendono di avere in Basilicata le stesse opportunità che hanno i loro coetanei di altre regioni. Una protesta non per i capricci ma per una richiesta di parità e di uguaglianza sostanziale che dovrebbe essere un diritto che, però, ai magnifici rettori nei loro pomposi abiti da cerimonia non interessa.

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