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FONDAZIONE 2019, È CODICE ROSSO

L’intervento di Enzo Santochirico

Dovrei recitare il Confiteor, chiedendo perdono per aver testardamente insistito negli ultimi tre anni sulla sopravvivenza e il rilancio della Fondazione 2019, nonostante le perplessità e le riserve (oggi direi fondate) degli stessi amministratori comunali (cito per tutti, Francesco Salvatore per la maggioranza e Giovanni Schiuma per l’opposizione), la freddezza della Regione, l’opinione pubblica più “legittimista” (Pio Abiusi, per fare un nome noto). L’illuministica fiducia nella razionalità umana e il positivistico credo nelle “magnifiche sorti e progressive” che mi ispirava, già incrinati dalle spesso indecifrabili posizioni e manovre in occasione della ridefinizione della missione e del prolungamento della durata nel dicembre scorso, si sono infranti sullo scarno, disorganico, deludente, programma di attività che viene presentato oggi al Consiglio di indirizzo della Fondazione. Sono passati ben otto mesi dai miei due ultimi interventi, quando, nel luglio scorso, salutavo come un buon segnale la nomina del nuovo direttore generale, rimanendo in attesa di conoscere programmi e idee. Se a dicembre scorso si potevano ancora nutrire alcuni dubbi e coltivare qualche speranza, con il piano di attività 2023 presentato viene confermato che rimangono irrisolti i nodi su missione, ruolo e risorse della Fondazione 2019. Sarebbe stato lecito attendersi riflessioni e indicazioni sulla collocazione di Matera e della Basilicata nel panorama culturale nazionale ed internazionale dopo che la città dei Sassi era stata capitale europea della cultura. Così come sarebbe stato logico e funzionale trovare la trama delle interazioni con programmi e piani regionali in ambito culturale, lo schema di un sistema di relazioni e collaborazioni con le istituzioni culturali pubbliche e private (conservatori, musei, fondazioni, associazioni, orchestre, ecc. ) e gli eventi consolidati ed emergenti (festival, appuntamenti, celebrazioni, ecc). Non meno grave e allarmante é l’assenza di qualsiasi accenno e connessione con quel polo dell’industria culturale e creativa in fieri, su cui ancora nei gioni scorsi Enzo Acito ha richiamato l’attenzione, e che vede nella Casa delle tecnologie emergenti a Matera un punto di eccellenza., al quale si aggiungono quell’insieme di soggetti e iniziative che stanno operando o partendo (Film Commission, Scuola del cinema, ecc. ) Così come sarebbe stato necessario e opportuno dare il senso e l’idea di una partnership con i soggetti che operano sul territorio a cominciare dai Comuni. E che dire del totale silenzio sul rapporto con quello che appare sempre più come una sorta di convitato di pietra nella Fondazione e cioè l’Università della Basilicata? Neanche la traccia di un coinvolgimento di competenze e personalità lucane qualificate che possono offrire idee e contributi e relazioni per un qualificato programma di attività culturali. Non si vogliono chiamare – sbagliando – i maturi Appella, Calbi, Di Consoli, Papaleo, Andrisani, Nigro (e mi scuso per le decine di omissioni)? Si coinvolgano almeno giovani creativi come Fontana e Stasi! E, per amor di patria, non parliamo dei possibili legami fra cultura e turismo, completamente latitanti nel presentato piano di programma ( e abbiamo ancora l’eco delle ripetute e assillanti istanze di sostegno alla destagionalizzazione). Ma, a parte questo, sono in gioco questioni che attengono alla visone dello sviluppo sociale ed economico della città e della regione e del ruolo che in esso ha la cultura in senso ampio, non come hobby o passatempo, ma come asse e motore di una fase di riconversione, crescita e slancio che ha avuto nel 2019 um momento esemplare, iconico, ma certamente non conclusivo e definitivo. E, invece, a parte il recupero di un’opera di Saraceno, ci si limita e ci si perde fra una fumosa consulenza digitale sul patrimonio della Soprintendenza, un archivio dedicato ai lucani nel mondo (un altro?), un corso per l’uso del podcast, un indecifrabile intervento su presidi culturali nelle aree interne, anche con valenza turistica, qualche spettacolo (performance, giochi, ecc.) in occasione del centenario di Scotellaro (sic!), un programma di residenze creative, uno spettacolo per la Madonna della Bruna, un urban game per i 70 anni del Borgo La Martella (meno male che ci sono gli anniversari), una community opera , che sa di déjà vu. Infine, la candidatura a tre bandi europei. Attività minimali, che una qualunque associazione, con qualche decina di migliaia di euro a disposizione sarebbe in grado di curare. Sicuramente per fare questo non si può spendere un milione all’anno! Per contro, la carenza di un chiaro indirizzo strategico, di una delineata, riconoscibile e condivisa missione, di una precisa e funzionale collocazione e relazione con il sistema complessivo dei soggetti culturali, pubblici e privati, rendono evanescente, quasi impalpabile l’esistenza e la presenza della Fondazione 2019. Se non un nuovo Dossier, come quelli che hanno guidato la Fondazione dal 2010 al 2019, un piano strategico culturale poliennale sarebbe stato necessario e propedeutico non solo al programma vero e proprio delle attività culturali, ma a definire missione, ruolo, obiettivi, sistema delle relazioni, risorse, ecc. (e in questo senso la formazione di un qualificato comitato scientifico sarebbe stato di grande aiuto), facendo chiarezza e fugando le ambiguità che permangono e portano a questi così deludenti esiti, senza attendere nove mesi per il parto di un topolino che non ha neanche le sembianze empatiche del Mickey Mouse disneyano o di Jerry creato in coppia con Tom da Hanna & Barbera. Se a questo quadro, già di per sè si fosco, si aggiunge la confessata incertezza e precarietà finanziaria (si confessa che si hanno risorse sino a fine primavera e fra poco ci sarà anche il problema della sede) l’orizzonte diventa davvero plumbeo. Sia ben chiaro, qui si solleva il problema nella sua allarmante oggettività. Per il resto il quadro é opaco, anche per la mancanza di un dibattito pubblico chiarificatore: non vi è volontà politica? non ci sono adeguate competenze progettuali? manca la consapevolezza del ruolo e della missione? non vi sono risorse? Certo, Regione e Comune non possono far finta di niente. E’ bene che si esca dal torpore e dal letargo, che la discussione riacquisti uno spazio pubblico finora negato, che la città e la regione siano realmente protagonisti del loro presente e del loro futuro, che l’opinione pubblica sappia e possa valutare. Se occorre, si chiami il time out, si chiariscano le idee, ci si doti di competenze progettuali e creative adeguate, si stanzino risorse congrue, si esca dalla precarietà, si apra un confronto in città e regione, si adotti un piano strategico pluriennale e poi si operi. A volte é meglio stare fermi, che fare male. Se non c’é volontà, se mancano le risorse, se altri sono deputati ad essere i vettori delle attività culturali, se ne prenda atto e si chiuda la Fondazione, reimpiegando diversamente le risorse che manterrebbero in vita una struttura a quel punto inutile e superflua. C’é da augurarsi che anche a Matera ci sia una via di Damasco lingo la quale avvenga una salutare folgorazione. Ma nessuno domani potrà dire che non sapeva. La legge di Murphy é sempre in agguato: “Se qualcosa può andare male, lo farà”. Mi auguro che la Fondazione 2019 continui ad esistere e abbia un ruolo decisivo per il futuro culturale, sociale ed economico della città e della regione.

Di Vincenzo Santochirico

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