POTENZA
«Forza Italia, in questa regione è, ormai, un partito impalpabile, inconsistente, evanescente ». Le dure critiche al partito azzurro lucano giungono dall’ex assessore regionale Enzo Acito. In una lunga lettera (che pubblichiamo integralmente sotto ndr.) indirizzata al presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, l’ex assessore regionale annuncia di fare un passo indietro da quella che ormai da diversi mesi lo vedrebbe in prima fila come papabile per l’assessorato all’Agricoltura. Un passo indietro necessario, lo definisce l’azzurro, «per affrontare le emergenze croniche che tormentano questa regione». Sì perchè dalle dimissioni dell’ex assessore all’Agricoltura Franco Cupparo (FI), il 14 ottobre scorso, il comparto è rimasto senza guida con la delega assunta dal governatore lucano. In tutto questo lasso di tempo il posto rimasto vacante spettava riempirlo a Forza Italia, per un assessore del partito che “usciva” un altro “entrava”. Le dinamiche partiche, però, come denunciato dallo stesso Acito hanno avuto la meglio. Come riportato da queste colonne tempo fa e come confermato dallo stesso azzurro, in lizza per l’assessorato vi erano i due forzisti Acito e Casino. Entrambi materani, entrambi da tempo all’interno di Forza Italia ed entrambi accomunati da una mancata elezione. Acito, per due anni è stato consigliere regionale supplente ma con il rimpasto di Giunta del Bardi Ter dopo aver fatto 14 giorni da assessore è tornato a casa. Anche quella volta a causa di questioni partitiche (da due posti in Giunta a FI ne spettava solo uno e ad ottenerlo anche in quel caso per pressioni romane è stato Cupparo). Casino onorevole di FI a settembre scorso, pur avendo fatto una impegnativa campagna elettorale, non ha riottenuto la rielezione a Roma (causa anche del taglio dei parlamentari che in Basilicata da 13 è passato a 7). E così anche per lui un rientro a casa. In questi mesi Bardi non ha nascosto la sua preferenza verso Enzo Acito. Tra il governatore e l’azzurro c’è sempre stato un certo feeling politico e non solo. Acito, inoltre, raccoglieva il consenso tanto a destra quanto a sinistra proprio per il suo modo garbato e la sua propensione al dialogo con tutti. Sempre pronto ad appoggiare le idee a favore della Basilicata e mai battitore libero. La politica però si sa passa anche da altri rapporti. Certamente quelli più importanti non risiedono in regione ma a Roma. Ed è proprio su questo asse, decisamente più incisivo, che invece l’ex onorevole Casino ha lavorato. Una lotta interna che ha visto Acito decidere di mettersi da parte non senza polemica: «Lascio spazio, mio malgrado, a chi si è autocandidato, con il sostegno delle poderose pressioni romane, a ricoprire quella carica assessorile; lo faccio con animo sereno, distante anni luce dall’arroganza di quella politica, prepotente e traditrice, fatta di personalismi, di sfacciata ipocrisia, elargita a piene mani prima delle elezioni, e di galoppante amnesia, svelata sistematicamente dopo». L’ex assessore regionale ha fatto intendere di voler lasciare spazio alle logiche di partito. Un partito che stesso lui definisce inconsistente. È innegabile infatti che dalle scorse politiche, probabilmente per il passo indietro che è stato chiesto al segretario regionale Moles (per la promessa di Berlusconi di un sottosegretariato mai mantenuta) per sostenere la Casellati in Basilicata, il partito è sparito. Non solo ha perso il suo smalto sul territorio, basta vedere i dati delle elezioni politiche, ma le lotte interne sono state sbandierate ai 4 venti. Basta vedere come da mesi il capogruppo in Regione Piro non solo non partecipa alle votazioni sostenendo la Giunta regionale ma anche lui ha avuto da ridire non poco sulle questioni interne al partito. Un partito in cui lo stesso Acito sembra non ritrovarsi più e che gli fa dire senza indugi di voler ritornare «alla professione di tutti i giorni che, per fortuna, non mi tradisce, che non mi chiama pubblicamente fratello finché sei in campagna elettorale e devi portare voti, che è lontana dalle autocelebrazioni, dalle ipocrisie e dalle amnesie di certa politica, quella con la p minuscola».