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IL DIVARIO TRA NORD E SUD: LA BASILICATA

L’approfondimento di Maria Fedota

Il divario fra Nord e Sud si “è ampliato” nel decennio 2010-2020. È quanto scrive la Banca d’Italia nel rapporto dedicato al tema che si confronta con lo studio precedente del 2020. “La questione meridionale è diventata ancor più chiaramente parte di una più ampia questione nazionale” scrive l’istituto centrale. All’uscita dalla crisi pandemica, anche se in un contesto reso purtroppo quanto mai incerto dal conflitto in Ucraina, la nuova stagione progettuale avviata con il Piano nazionale di ripresa e resilienza offre una straordinaria opportunità per aggredire i fattori di ritardo della nostra economia, certo per la maggior parte non nuovi, e di rafforzare la coesione territoriale del Paese, un obiettivo “permanente” se non solo un’aspirazione, della nostra storia unitaria. Abbiamo quindi oggi la possibilità di muovere in modo progressivo ma risoluto per superare infine quella che da decenni va sotto il nome di “questione meridionale”. Nel decennio che ha preceduto la pandemia, il peso economico del Mezzogiorno si è ulteriormente ridotto. Il divario con il Centro Nord in termini di tassi di occupazione e di prodotto pro capite è tornato ad ampliarsi; i livelli di produttività sono rimasti ampiamente inferiori a quelli del resto del Paese. Tutto questo è illustrato nell’ultimo rapporto della Banca d’Italia dove si evidenzia l’aumento delle differenze territoriali. Un punto sulla situazione è stato fatto anche a Potenza in un convegno, dove sono state messe insieme criticità e le nuove prospettive da dove ripartire. I divari che separano la Basilicata come anche le altre regioni del Sud sono dovuti a notevoli fattori. I ritardi strutturali sono in larga parte noti e ampiamente confermati dalle analisi del Rapporto. Il sistema produttivo, sottodimensionato rispetto al peso demografico dell’area, è caratterizzato dal prevalere di microimprese, da una specializzazione nei servizi a minore valore aggiunto e da una bassa densità di attività manifatturiere, che ne limitano l’accesso ai mercati internazionali. Il rapporto individua varie misure da intraprendere, oltre all’uso accorto e oculato dei fondi Pnrr. È auspicabile un orientamento più forte delle amministrazioni pubbliche al conseguimento dei risultati. Inoltre il secondo pilastro poggia sul rafforzamento dell’iniziativa privata. In quest’ambito, appare cruciale la riduzione dei gap infrastrutturali del Mezzogiorno, per avvicinarlo al core dei mercati europei. Resta inoltre fondamentale – aggiunge il rapporto – il contrasto di quello che è stato definito il “triangolo dell’illegalità”, costituito da evasione, corruzione, criminalità.

DIVARIO CON IL NORD AMPLIATO

Il rapporto analizza come al Sud “il settore privato, già fortemente sottodimensionato rispetto al peso demografico dell’area, si sia ulteriormente con- tratto e presenti ora una composizione ancora più sbilanciata verso attività produttive a minore contenuto di conoscenza e tecnologia e a più bassa produttività”. per questo “il settore pubblico ha nel Mezzogiorno un peso e una rilevanza economica nettamente superiori rispetto al resto del Paese. L’economia meridionale si è trovata così particolarmente esposta nell’ultimo decennio alla correzione di finanza pubblica imposta dalla crisi dei debiti sovrani, che ha determinato il calo dell’occupazione nelle varie articolazioni della Pubblica amministrazione e la riduzione degli investimenti pubblici, da cui indirettamente dipendono anche molte attività del settore privato”.

DIMINUISCE IL PESO ECONOMICO DEL SUD

Il Mezzogiorno, che già dagli anni Ottanta aveva mostrato difficoltà nel mantenere il passo con il resto del Paese, ha visto progressivamente diminuire il suo peso economico, evidenziando una crescente difficoltà nell’impiegare la forza lavoro disponibile; ha registrato una riduzione dell’accumulazione di capitale, in precedenza fortemente sostenuta dall’intervento pubblico, e una minore crescita della popolazione rispetto alle aree più avanzate del Paese dove si sono concentrati i flussi migratori, spiega Bankitalia nel rapporto.

CALA IL NUMERO DEI LAUREATI RISPETTO ALLA POPOLAZIONE

Sul piano quantitativo la popolazione residente del Mezzogiorno presenta una minore incidenza di laureati: il divario, crescente nel tempo, nel 2020 era di circa 7 punti per la popolazione tra i 15 e i 64 anni e di circa 9 punti per la popolazione tra i 25 e 34 anni. La mobilità in uscita degli individui in possesso di una laurea contribuisce significativamente all’erosione del capitale umano del Mezzogiorno. Secondo i dati dell’Istat sui trasferimenti di residenza, nel periodo 2007-2019 ogni mille laureati residenti nell’area, 209 sono emigrati, una probabilità di muoversi più che doppia rispetto a quella della popolazione nel suo complesso nel Paese, dove è di 90 individui ogni mille. In termini assoluti, su 1,8 milioni di cancellazioni dalle anagrafi comunali delle regioni meridionali, 400 mila si riferivano a laureati e la gran parte di queste ha avuto come destinazione le regioni del Centro Nord, mentre una parte residuale l’estero.

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