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IL BEATO BONAVENTURA DA POTENZA “MARTIRE DELL’OBBEDIENZA”

La parrocchia del Beato Bonaventura in Potenza è l’unica parrocchia al mondo intestata al nostro Santo concittadino

A 372 anni dalla nascita di CARLO ANTONIO GERARDO LAVANGA il 4 gennaio 2023 in Potenza cerimonia accensione lampada votiva 

IL BEATO BONAVENTURA DA POTENZA
“MARTIRE DELL’OBBEDIENZA”
Parrocchia del Beato Bonaventura da Potenza, sita in rione Malvaccaro

il giorno 4 gennaio alle ore 11:30 nella Parrocchia del Beato Bonaventura da Potenza, sita in rione Malvaccaro, ci sarà la

cerimonia dell’accensione della lampada votiva perenne in onore del beato in quanto ricorre la data della sua nascita
Parrocchia del Beato Bonaventura da Potenza, sita in rione Malvaccaro

Per l’occorrenza saranno presenti oltre ai due sindaci di Potenza e di Ravello anche il vicepresidente del consiglio regionale Mario Polese oltre al ministro provinciale padre Cosimo Antonino ed il vescovo di Potenza S.E. Monsignor Salvatore Ligorio la cerimonia di accensione della lampada si svolgerà durante la celebrazione della messa che si terrà dalle ore 11:30

Paolo Vuilleumier Sindaco di Ravello

È doveroso segnalare che i pellegrini arriveranno da Ravello già intorno alle ore 10:15 al massimo 10:30 faranno un breve break nei saloni parrocchiali e poi si recheranno nella chiesa per assistere alla funzione

Dopodichè andranno via con il pullman con il quale sono partiti, naturalmente dopo aver pranzato in Potenza al ristorante Redibis già prenotato per loro, dagli organizzatori 

Bonaventura da Potenza, al secolo Carlo Antonio Gerardo Lavanga, è stato un presbitero italiano dell’Ordine dei frati minori conventuali. È stato beatificato da papa Pio VI nel 1775.

Data di nascita: 4 gennaio 1651

Morte: 26 ottobre 1711, Ravello

Venerato da: Chiesa Cattolica

Padre Bonaventura da Potenza nacque il 4 gennaio 1651; gli fu dato, al fonte battesimale, il nome di Antonio Carlo Gerardo. Entrò all’età di 15 anni tra i Frati Minori Conventuali. Passò per vari conventi: Aversa, Maddaloni, Lapio, Amalfi, Ischia, Nocera Inferiore (qui fu maestro dei novizi), Sorrento, Napoli e infine Ravello, dove morì il 26 ottobre 1711, per le conseguenze di una cancrena a una gamba. Fu un esempio di umiltà e, pur non essendo dotto, colpiva anche per la profondità teologica della sua predicazione. A lui sono attribuiti numerosi prodigi: vide l’anima della sorella salire in cielo, guarì un lebbroso, si elevava da terra mentre pregava. La sua carità verso gli appestati fu estrema, come la sua ubbidienza verso i superiori. È stato beatificato da papa Pio VI il 26 novembre 1775. La sua memoria liturgica, per l’Ordine dei Frati Minori Conventuali e la diocesi di Amalfi-Cava dei Tirreni, sotto cui cade Ravello dal 1818, ricorre il 26 ottobre, giorno della sua nascita al Cielo. I suoi resti mortali sono venerati nella chiesa di San Francesco a Ravello, esposti in un’urna sotto l’altare maggiore.

Martirologio Romano: A Ravello presso Amalfi in Campania, beato Bonaventura da Potenza, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, che rifulse per obbedienza e carità verso tutti.

Antonio Carlo Gerardo Lavanca nacque a Potenza il 4 gennaio 1651, da Lelio Lavanga e Caterina Pica; fu battezzato lo stesso giorno della nascita. In giovanissima età ebbe occasione di conoscere i Frati Minori Conventuali e sentì la chiamata di Dio ad assumere il loro stile di vita, povero per scelta, improntato all’ubbidienza ai superiori e all’abnegazione.
A quindici anni, dunque, iniziò il noviziato nel convento di Nocera Inferiore, cambiando nome in fra’ Bonaventura da Potenza. Fu poi inviato ad Aversa e a Maddaloni per approfondire gli studi in vista del sacerdozio. Lì, però, l’ambiente era dissimile da quello iniziale potentino, che l’aveva affascinato nella sua spontanea povertà.
A causa del disagio interiore che provava, fu trasferito prima a Lapio in Irpinia, poi ad Amalfi. In quest’ultimo convento incontrò un suo conterraneo, padre Domenico Girardelli da Muro Lucano, il quale divenne la sua guida spirituale. Così imparò a moderare il suo spirito: da ribelle e scalpitante, divenne ubbidiente ed esecutore entusiasta di ogni parola di Dio attraverso i suoi vicari, ossia i superiori.
Nel convento amalfitano cominciarono a verificarsi episodi quasi miracolosi che testimoniavano la completa fiducia in chi gli comandava qualcosa, anche la più assurda. Tale semplicità d’animo gli meritò la gioia di diventare sacerdote, nel 1675.
Rimase ad Amalfi otto anni, vivendo in una simbiosi stupenda e spirituale con l’ormai vecchio frate Domenico Girardelli. Quando fu destinato a Napoli, si lasciarono in lacrime, con il presentimento di non rivedersi più.
Da Napoli passò a Ischia, quindi a Sorrento. In tutte queste destinazioni, si distinse come un esempio vivente della povertà francescana più stretta, edificando i confratelli con la sua vita dedita tutta all’ubbidienza. Era infatti solito dire: «Signore, sono un servo inutile nelle tue mani».
Fu in seguito incaricato di formare i nuovi frati nel Noviziato di Nocera Inferiore, dove fu maestro di un rigore di vita aspro e impegnativo, con una stima profonda della povertà, auspicando un ritorno alle origini del francescanesimo.
Spesso padre Bonaventura comunicava in anticipo alle persone che conosceva, anche vescovi, nobili e confratelli, fatti che poi puntualmente si avveravano. Ad esempio, mentre era in viaggio per raggiungere Potenza, dove sua sorella era in fin di vita, vide l’anima di lei volare al cielo, così da poter tornare indietro.
Ancora, come san Francesco, abbracciò un lebbroso: questi guarì all’istante. A Ischia rimase nove anni, disseminando il suo cammino di ulteriori prodigi. Quando dovette imbarcarsi per una nuova destinazione, il popolo ischitano si raccolse tutto sulla spiaggia a salutarlo.
Nel convento di Sant’Antonio a Porta Medina, a Napoli, fu visto elevarsi da terra mentre pregava. Non aveva il dottorato in Teologia, ma la sua predicazione era così profonda da lasciare interdetti i suoi dotti confratelli di San Lorenzo Maggiore, la principale comunità francescana conventuale della città.
La peste a Napoli, scoppiata nel XVII secolo, lo vide in primo piano nell’assistenza personale degli appestati. Lui stesso si ammalò, ma per altre ragioni: una gamba gli andò in cancrena e, per questo, dovette subire un’operazione chirurgica.
All’inizio del 1710, ormai vecchio e malato, fu destinato al convento di Ravello. Dato che non poteva scendere fra gli abitanti, erano loro che a frotte salivano al convento per ricevere conforto, attratti dagli innumerevoli prodigi che operava. Padre Bonaventura morì nel convento di San Francesco a Ravello il 26 ottobre del 1711, fra il pianto popolare e con il suono delle campane sciolte in un concerto di gloria.
Fu dichiarato Beato da papa Pio VI il 26 novembre 1775. La sua memoria liturgica, per l’Ordine dei Frati Minori Conventuali e la diocesi di Amalfi-Cava dei Tirreni, sotto cui cade Ravello dal 1818, ricorre il 26 ottobre, giorno della sua nascita al Cielo. I suoi resti mortali sono venerati nella chiesa di San Francesco a Ravello, esposti in un’urna sotto l’altare maggiore.


Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flocchin

AGIOGRAFIA

Nato a Potenza nell’allora regno di Napoli nel 1651 da Lelio Lavagna e Caterina Pica, Carlo Antonio Lavagna entrò nei frati minori conventuali di Nocera dei Pagani, assumendo il nome di Bonaventura.

Si distinse per la grande fedeltà alla regola, ed esistono racconti piuttosto incredibili su quanto riuscì a fare per obbedienza (alcune di queste azioni furono più tardi ritenute dei veri miracoli).

Trascorse ad Amalfi gli otto anni più fruttuosi del suo percorso, sia per la sua personale crescita spirituale sia per l’opera pastorale compiuta tra la gente del posto, compresa l’istruzione dei giovani. In diverse occasioni fu proposto come padre guardiano del convento, ma poiché la sua umiltà gli faceva sempre chiedere l’esenzione da ogni posizione di autorità, l’unico incarico che gli fu assegnato fu quello di responsabile dei novizi.

Bonaventura fu particolarmente devoto all’immacolata Concezione di Maria ed espresse spesso il desiderio di avere la stessa capacità di Duns Scoto (8 nov.), teologo medioevale, nel difenderne la dottrina da ogni attacco.

Bonaventura morì a Ravello il 26 ottobre 1711 con il nome di Maria sulle labbra, e per tre giorni il suo volto si mantenne fresco, tanto che egli è trai santi famosi nella regione napoletana per la liquefazione del sangue dopo la morte.

Esiste una storia di dubbio gusto che narra come, molto dopo che Bonaventura era spirato, il vicario generale locale avesse ordinato a un chirurgo di prelevare un po’ di sangue dal braccio del santo; per rendere possibile la cosa, il guardiano ordinò al cadavere di sollevare il braccio e questi, miracolo di obbedienza, lo fece. Quando il fatto fu risaputo, suscitò ovviamente grande scalpore tra la gente e aumentò la fama di santità che già possedeva, ma oggi sembra, come risulta dalle testimonianze raccolte e analizzate dai bollandisti, che Bonaventura fosse probabilmente ancora vivo nel momento in cui il chirurgo prelevò il sangue. Si può poi notare che la città di Ravello, dove Bonaventura morì, è il luogo dove avviene ogni anno la liquefazione del sangue di S. Pantaleone (27 lug.).

Ebbe esperienze estatiche, doni carismatici di conoscenza dei cuori, operazione di miracoli e profezia e la sua storia è analizzata dagli studiosi di teologia mistica; fu ufficialmente beatificato nel 1775.

MARTIROLOGIO ROMANO

A Ravello presso Amalfi in Campania, beato Bonaventura da Potenza, sacerdote dell’ordine dei Frati Minori Conventuali, che rifulse per obbedienza e carità verso tutti.

Il Beato Bonaventura da Potenza, al secolo Carlo Antonio Gerardo Lavanga, nacque a Potenza il 4 gennio del 1651 in un famiglia umile di “povera gente ornata di singolare onestà di costumi e d´insigne cristiana pietà”. Suo padre, Lello Lavanga, era un sarto, e sua madre, Caterina Pica, una casalinga. Si prodigarono nel garantire al piccolo una infanzia serenza e già a sei anni egli ricevette il sacramento della Confermazione nella Cattedrale di Potenza.

A quindici anni il futuro beato lascò la città natale per non ritornarvi mai più da vivo e, trascorso il periodo di preparazione, indossò il saio francescano ed iniziò il noviziato nei Frati Minori Conventuali di Nocera Inferiore nel Convento di San Francesco, oggi dedicato a Sant’Antonio.

Nel 1675, ad Amalfi venne ordinato sacerdote. Per tutto l’anno Fra’ Bonaventura studiò la Regola francescana e le Costituzioni del suo ordine, poi, emessi i voti, fu inviato a studiare filosofia e teologia nel Convento di Sant’Antonio di Aversa. Qui però il giovane frate si rese conto di non essere portato per quegli studi. Fu inviato al Convento di San Francesco di Maddaloni, ma anche qui si presentarono problemi con lo studio. Finalmente, tenuto conto della sua inclinazione per la contemplazione, Fra’ Bonaventura fu inviato in un convento a Lapio, in provincia di Avellino, di cui oggi restano solo ruderi. Qui, soffrendo ogni genere di privazioni, il frate visse per tre anni e, ormai ventunenne, fu inviato al Convento di Amalfi per riprendere gli studi. Vi rimase otto anni, divenne diacono il 6 marzo del 1672 ed il 23 marzo del 1673 fu ordinato sacerdote.

Lo ritroviamo dal 1680 al 1687 a Napolinel Convento di Sant’Antonio fuori Porta Medina. Durante questo soggiorno, accorrevano a lui per la guida spirituale popolo e nobili ed il suo misticismo si manifestò con numerose elevazioni da terra.

Fu spostato a Maranola, a Giugliano, a Montella, a Sorrento e a Capri. Ovunque seppe lasciare i segni di una presenza di grande spessore spirituale e di edificazione del popolo e dei confratelli. Il suo peregrinare per i Conventi era dovuto al fatto che tutti lo volevano essendosi diffusa la sua fama di santità. Ogni Guardiano lo richiedeva, tanto da essere definito “il religioso conteso” .

Ritornato a Napoli nel 1688, fu trasferito ad Ischia, nel Convento di Santa Maria delle Grazie. Rimase sull’isola per dieci anni, dedicandosi all’apostolato come predicatore e confessore guadagnandosi il nomignolo di “tagliagola dei peccati”. La sua opera lasciò una forte traccia tra l’apostolato ai pescatori e ai contadini, la cura spirituale delle Clarisse e la consolazione dei carcerati.

Tornò a Napoli poi ancora a Nocera Inferiore, dove, pur restio ad assumere alti incarichi, divenne responsabile dei novizi. Dopo 4 anni, nel 1707, fu ancora nel Convento fuori Porta Medina dove si dedicò alla cura dei colerosi portando con sé un vasetto con l’olio della lampada di Sant’Antonio col quale usava ungere gli ammalati ottenendo parecchie guarigioni.

Il 4 gennaio del 1710 fu destinato a Ravello. In quella che fu la sua ultima dimora terrena, Fra’ Bonaventura si occupò del vecchio convento che vessava in pessime condizioni ed in questo ambiente angusto visse da solo., ancora obbediente al mandato. Il Vescovo lo nominò suo confessore e gli affidò la direzione spirituale dei due monasteri di Santa Chiara e di San Cataldo. Nell’ottobre 1711, assalito dalla febbre, trascorse gli ultimi giorni nella sua cella in compagnia del Cristo Crocifisso che pendeva dalla parete. Spirò esclamando per te volte “Ave Maria!”.

Il suo corpo, prima di essere tumulato, fu portato in processione per le vie di Ravello. Durante il trasporto, alla vista del Tabernacolo, la salma aprì gli occhi, rimasti sempre chiusi dal momento in cui egli era spirato, e quasi chinò la testa di fronte al SS. Sacramento.

La vita religiosa del beato fu caratterizzata da un’obbedienza assoluta ed eroica, per cui è conosciuto come “martire dell’obbedienza”. Insigni discepoli si formarono con il Beato Bonaventura, tra i quali Fra Francesco Maria Tolbe di Abriola, Fra Bonaventura Casella da Napoli, il nocerino Fra Tommaso Albanese, Fra Paolo Misatro, Fra Giuseppe da Saponara, Fra Giuseppe Piecinisco, Fra Eugenio da Pescopagano, Fra Bonaventura GarofanoFra Bonaventura si distinse per l’altissima povertà, per l’austerità di rigidissime penitenze e la purezza verginale. Di temperamento forte e profondamente sensibili, accettò con serenitò le prove della sua vita e fu modello di mansuetudine e calma. Fu dichiarato beato il 26 novembre del 1775 da papa Pio VI.

{Autore articolo: Angelo D’Ambra}

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