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POLITICA IN LUTTO : È MORTO ROBERTO BOBO MARONI, L’EX MINISTRO DELL’INTERNO AVEVA 67 ANNI

Si è spento a 67anni Roberto Maroni nato e morto per la LEGA «un aquilone che sta lontano da chi ha in mano il filo»

#ègiustoinformare

🔹È morto Roberto Maroni, l’ex ministro dell’Interno aveva 67 anni

(di Marco Cremonesi)

Martedì mattina è morto Roberto Maroni, l’ex ministro dell’Interno e segretario delle Lega aveva 67 anni.

Qui l’ultima intervista al Corriere:

«Per guidare la Lega serve un moderato. La mia malattia? Sto facendo tutte le cure»

Quante vite, Bobo. Tre volte ministro e una volta vicepremier, segretario della Lega autodimesso senza che nessuno glielo chiedesse, governatore che improvvisamente lasciò la sua Lombardia.

Controcanto perenne di chiunque guidasse la Lega, persino quando a guidarla era lui:

«Ah! Ci fosse un segretario…»

Il “barbaro sognante” che mai rinunciò a ricordare di essere, soprattutto, «un velista» e un «soul boy».

Non c’era, Roberto Maroni, quel 12 aprile 1984 quando a Varese fu fondata da Umberto Bossi la «Lega autonomista lombarda».
Di Bossi era il miglior amico, con lui aveva già fondato la Società Cooperativa Editoriale Nord Ovest, insieme facevano notte a discutere o a far gran scritte sui muri, perché i muri «sono i libri dei popoli».
Si erano conosciuti perché il futuro capo della Lega aveva letto una lettera di Maroni alla Prealpina contro una lottizzazione a Lozza, la piccola patria “del” Bobo.

Ma alla fondazione, lui non c’era. Sempre un po’ così, quel suo cercare di essere sempre da un’altra parte. Esserci, ma senza farsi ingoiare.
Leghista senza mai rinnegare la sinistra degli anni verdi, a cui semmai riservava l’ironia sorniona che era la sua seconda pelle. Ne fa spesso le spese uno dei suoi migliori amici, il giornalista dell’Unità Carlo Brambilla.

Proprio Bossi, e non voleva fargli un complimento, definì Maroni

«un aquilone che sta lontano da chi ha in mano il filo»

Voleva studiare filosofia e fare il giornalista, fece giurisprudenza e l’avvocato. Bossi lo voleva a tempo pieno nella Lega e lui non voleva mollare l’ufficio legale di Avon («Facevo meglio a restar là»), ma già nel 1990 è consigliere comunale a Varese. Dieci anni più tardi, primo ministro dell’Interno non democristiano, firmò il decreto Biondi che fu ribattezzato «salvaladri» e il giorno dopo se ne pentì. Poco dopo, Bossi decise di sfiduciare il primo governo Berlusconi ma lui no, si oppose.

Il popolo leghista non la prese bene, era furioso, ma Bossi lo salvò dalle ire della base. Perché Maroni era anche quello: poco propenso allo scontro, ma capace fino all’ultimo giorno di far sentire e valere il proprio punto: «Ho perso? Ma no, ho tenuto la posizione…».

L’anno dopo, nel 1996, lui già entrato e uscito dal Viminale per la prima volta (saranno due), si guadagna l’unica condanna della sua vita, quella per aver addentato il polpaccio di uno dei poliziotti che stavano perquisendo via Bellerio a causa della fondazione della Guardia nazionale padana. Dai tafferugli uscì in barella. Anche lì, aveva tenuto la posizione. Molti leghisti hanno sempre messo in dubbio il suo afflato indipendentista, e il dubbio è legittimo, però fu pure «primo ministro» della Padania e presidente del Parlamento del Nord. Salvini allora militava nei comunisti padani, Maroni stava con i Democratici Europei, riformisti e laburisti.

Al Viminale si conquistò la palma di «miglior ministro dell’interno di sempre». Lo dicevano in tanti, tutti, soprattutto da sinistra, ma la consacrazione fu quando certificò il titolo Roberto Saviano, nel pieno del successo di Gomorra. Si narra che a convincere dell’incarico uno scettico Oscar Luigi Scalfaro fu l’allora capo della polizia Vincenzo Parisi, dopo una cena con Bossi e lo stesso Maroni. Fatto sta che da ministro partecipò con il suo amato gruppo, il «Distretto 51», al festival soul di Porretta terme. Scritta sulla maglietta: «Radio Mafia». Da ministro, la prima dichiarazione fu: «La Lega federalista, con un leghista al Viminale, diventa il garante dell’unità d’Italia».

Per anni tutti si sono chiesti se nelle frequenti sconfessioni delle trattative costruite da Bobo da parte di Bossi, il giovane di Lozza giocasse di ruolo e sempre di concerto con il Capo tonante: «A Bobo ho scaldato il latte tutte le mattine, ma è il nostro braccio debole e va amputato». Si sa soltanto che tutto finì una sera, correva il 2011, quando Giancarlo Giorgetti portò ai leghisti il messaggio del «Capo”: vietato invitare Maroni a qualsiasi evento della Lega. Lo si accusa di intelligenza con il nemico, i giornalisti.

Ultima goccia, l’aver raccontato alla stampa la storia degli investimenti in diamanti. E’ la «fatwa». E’ lì che entra in scena Matteo Salvini: già consapevole della potenza dei social, in 48 ore organizza per “il” Bobo 200 incontri pubblici. E’ la premessa per la “notte delle ramazze” a Bergamo, la sera in cui Bossi si scusò con i militanti. Pochi giorni ancora e darà le dimissioni. Maroni è il candidato naturale alla successione, ma non sono in pochi ad essere convinti che, senza la spinta della fatwa e della «damnatio memoriae», Bobo si sarebbe disposto a sbiadire sullo sfondo. La battaglia, però, lo galvanizza, e nel luglio 2012 è alla guida della Lega. Un ruolo che ama poco («Ah! Ci fosse un segretario…»).

Silvio Berlusconi lo vuole a tutti costi governatore della Lombardia. Una partita tutt’altro che facile, la Lega era ai minimi storici e anche il centrodestra stava tutt’altro che bene. A complicare le cose, la candidatura dell’ex sindaco Gabriele Albertini. Ma alla fine, la sfida è vinta. Poi, di nuovo il Maroni sfuggente: l’8 gennaio del 2018 annuncia a sorpresa che non si sarebbe ricandidato. Si parla di un suo ritorno in Parlamento, di concerto con Berlusconi. Non avverrà: lui prende, e con 5 amici attraversa in barca a vela l’Atlantico. Dopo, si dedica a quello che fanno gli ex presidenti di successo: board di aziende private, alta formazione universitaria, collabora con il Foglio. Lo scorso ottobre, un altro dei colpi «alla Bobo»: entra nella Consulta contro il caporalato chiamato dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. L’avversaria pubblica di Matteo Salvini. Pensa anche di tornare alla politica attiva, candidandosi a sindaco di Varese. Ma nel giugno 2021 annuncia il ritiro dalla corsa: motivi di salute.
#sapevatelo2022

È morto Roberto Maroni, l’ex segretario della Lega aveva 67 anni

Maroni era stato anche governatore lombardo e ministro dell’Interno e del Welfare. l cordoglio del ministro della Difesa Crosetto: “Un amico e una persona perbene”

È morto Roberto Maroni, 67 anni, ex segretario leghista, governatore lombardo e ministro dell’Interno e del Welfare. E’ quanto si apprende dagli amici e dal partito. Maroni lottava da tempo contro una grave malattia.

Crosetto: “Un amico e una persona perbene”
Tanti i messaggi di cordoglio che arrivano dal mondo politico. “Un amico. Una persona perbene. Un uomo che ha portato buonsenso, concretezza e moderazione nelle Istituzioni. Da Parlamentare, da Ministro, da Presidente di Regione. Esce a testa alta dalla vita. Che la terra ti sia lieve Roberto” ha scritto su Twitter il ministro della Difesa Guido Crosetto.

Roberto Maroni è morto: l’ex ministro dell’Interno aveva 67 anni

Lottava da tempo contro una grave malattia

Roberto Maroni è morto. L’ex ministro dell’Interno e del Lavoro e delle politiche sociali aveva 67 anni. Lottava da tempo contro una grave malattia. Si è spento nella notte nella sua casa. Oltre a far parte di vari governi guidati da Silvio Berlusconi, era stato segretario della Lega e governatore della Lombardia.

Le reazioni

“Grande segretario, super ministro, ottimo governatore, leghista sempre e per sempre.
Buon vento Roberto”. Così il segretario della Lega e ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha ricordato su instagram il suo compagno di partito.

Nel campo dell’opposizione prima reazione di cordoglio è stata quella del senatore Pd Enrico Borghi: “Un pensiero e un ricordo per Roberto Maroni. La sua intelligenza e la sua passione politica mancheranno a tutti. Riposa in pace”.

“L’ho conosciuto bene – scrive sui social il dem Emanuale Fiano – sempre disponibile e gentile, rispettoso delle opinioni diverse dalle sue come le mie, mi dispiace molto, riposi in pace, un abraccio alla famiglia”.

È morto Roberto Maroni

L’ex segretario leghista, governatore lombardo e ministro dell’Interno e del Welfare, aveva 67 anni

È morto Roberto Maroni, 67 anni, ex segretario leghista, governatore lombardo e ministro dell’Interno e del Welfare.

È quanto si apprende dagli amici e dal partito. Lottava da tempo contro una grave malattia.

Politica in lutto

È morto Roberto Maroni, l’ex ministro dell’Interno aveva 67 anni

Deputato dal 1992 nelle fila della Lega Nord, è stato più volte al Viminale e anche ministro del Lavoro, poi presidente della Regione Lombardia. Pensava di tornare alla politica attiva, candidandosi a sindaco di Varese. Ma nel giugno 2021 annuncia il ritiro dalla corsa: motivi di salute

Roberto, Bobo, Maroni è morto all’età di 67 anni.

La notizia della scomparsa di uno degli uomini di punta della Lega è stata data dal Corriere della sera.
Deputato dal 1992 nelle fila della Lega Nord, nel 1994 ha ricoperto le cariche di vicepresidente del Consiglio e di ministro dell’Interno, dal 2001 al 2006 quelle di ministro del Lavoro e delle Politiche sociali; dal 2008 al 2011 ha rivestito la carica di ministro dell’Interno.
Nell’aprile del 2012, è stato nominato membro del triunvirato che fino al successivo congresso della Lega Nord è stato incaricato di sostituire la carica di segretario del partito lasciata dal leader Umberto Bossi a causa di un’inchiesta giudiziaria che ha coinvolto la sua famiglia.

Nel luglio dello stesso anno, al congresso è stato eletto segretario del partito, carica che ha ricoperto fino a dicembre quando gli è subentrato Matteo Salvini.
Alle elezioni regionali del 2013 è stato eletto presidente della Regione Lombardia con il 42,8% dei voti, carica alla quale non si è ricandidato alle elezioni regionali del 2018.

Lo scorso ottobre, era entrato nella Consulta contro il caporalato chiamato dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese.
Pensava anche di tornare alla politica attiva, candidandosi a sindaco di Varese.

Ma nel giugno 2021 annuncia il ritiro dalla corsa: motivi di salute.

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