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IL CORAGGIO DI DARE VOCE ALLE DONNE AFGHANE CON L’ARMA PIÙ POTENTE DI TUTTE: LA PAROLA

C’è chi con odio e violenza uccide i sogni di Saman e c’è chi in Basilicata come Cronache tende la mano a Shabana

L’ultima immagine che abbiamo di Saman Abbas è quella di una giovane ragazza con le sneakers ai piedi, uno zaino bianco sulle spalle che esce di casa accompagnata da chi l’aveva messa al mondo. Farà ritorno dopo qualche ora, quella che lei riteneva, la sua famiglia e quel famoso zaino, rivisto tantissime volte in tv e che per molto tempo è stato per me un enorme interrogativo. Cosa conteneva? Sogni, speranze, progetti per il futuro. Poi ho pensato che in quello zaino oggi c’è molto di più di un telefono cellulare controllato a vista e un rossetto, c’è la dignità negata. Come negata è stata anche l’identità di chi in un Paese più o meno moderno come l’Italia stava solo cercando di affermare il diritto di essere libera e costruire il suo mondo semplice e fatto di piccole cose. In quella lotta per l’affermazione di sè stessa, Saman ci ha rimediato solo un sacco nero di plastica che ha sostituito il suo zaino e che in queste ore, dopo l’arresto del padre, forse ritornerà alla luce per poterle dare degna sepoltura e un nome su una lapide… eh già perché in Italia almeno le donne possono essere identificate con un nome dopo essere state massacrate e brutalmente uccise in nome di una cultura maschilista e difficile da comprendere. In Pakistan, Afghanistan, Iran le donne non hanno diritti in vita figuriamoci dopo la morte. Dove è sempre un uomo a decidere se possono avere un nome in un cimitero, se possono essere identificate oppure cadere nell’oblio per essere annientate definitivamente. C’è, però, chi a questa rassegnazione davanti a una grave crisi umanitaria dopo il ritorno violento al potere dei talebani, risponde con coraggio per far sentire la propria voce e raccontare le donne attraverso un’arma che fa paura più di tutte le altre: la parola. Non è un caso se tra le tante donne vessate ci sono le giornaliste e le professioniste dell’informazione che sono diventate bersaglio dei talebani e molte di loro sono state costrette ad abbandonare la loro terra per cercare rifugio altrove, perché bersaglio di uomini che le spingono all’invisibilità solo perché sanno come usare le parole per raccontare un mondo e una società che dovrebbe fare ribrezzo a chiunque. Perché loro, i talebani, sono consapevoli della potenza dell’istruzione, della cultura. Perché lo sappiamo tutti che le donne che compiono passi avanti nell’educazione e nell’emancipazione sono quelle donne capaci di costruire il proprio futuro. E allora, torno alla domanda che mi sono posta all’inizio. Dove è finito lo zaino di Saman? Forse simbolicamente nelle mani di Shabana Noori, volto noto della tv afghana, accolta dalla nostra terra dopo essere stata costretta a fuggire da quella che considerava casa. La Basilicata si è mostrata, ancora una volta, terra di accoglienza e umanità. Shabana dopo dieci anni di una brillante carriera ha dovuto silenziare la sua voce che raccontava l’assenza negata di diritti per donne e bambini nel suo Paese. Nelle ultime ore ho letto della sua storia e ho appreso che almeno il suo sogno non è stato infranto, e che proprio qui in Basilicata, a Potenza, potrà continuare ad usare la tastiera per combattere per l’emancipazione e i diritti delle donne, tutte. La sua resistenza, la sua determinazione e il suo coraggio le hanno consentito di attirare l’attenzione di un editore da sempre attento alle tematiche di genere – tanto da avere come direttore proprio una donna – consentendole di entrare a far parte di una redazione, quella di Cronache dove potrà continuare il suo sogno e la sua battaglia per tutte noi, compresa Saman. Come Consigliera di Parità della Provincia di Potenza, ma soprattutto come donna da sempre dalla parte delle donne, in attesa di poterla conoscer- la personalmente, mi unisco al coro unanime che applaude all’opportunità umana ancor prima che professionale concessa a Shabana dall’editore Giuseppe Postiglione e dalla sua direttrice Maria Fedota, che sono certa saprà dare voce a tutte quelle donne che non possono più parlare e a quelle che seguendo il suo esempio riusciranno a trovare il coraggio per abitare il futuro. Aspettiamo che ritorni la luce, di sentire una voce, – cantava Lucio Dalla – aspettiamo senza avere paura, domani. E se è una femmina si chiamerà futura.

Di Simona Bonito

Consigliera pari opportunità della Provincia di Potenza

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