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LA GROTTA DI GIOPPO: TRA NATURA E SPIRITUALITÀ

La “Grotta di Gioppo” è un complesso rupestre artificiale, dall’uso incerto, di epoca greco-romana, realizzato presumibilmente tra il Iº sec. a.C. ed il Iº d.C. e ora ricadente nel territorio di Sant’Ilario dello Ionio

ASSOCIAZIONE CULTURALE MISTERY HUNTERS :

LA GROTTA DI GIOPPO: TRA NATURA E SPIRITUALITÀ

La “Grotta di Gioppo” è un complesso rupestre artificiale, dall’uso incerto, di epoca greco-romana, realizzato presumibilmente tra il Iº sec. a.C. ed il Iº d.C. e ora ricadente nel territorio di Sant’Ilario dello Ionio 

Fu rintracciato negli anni ’80 da Renato Mollica e documentato successivamente da Giuseppe Macrì

Lo stretto ingresso del misterioso antro, usato per secoli come “sorgente” a causa dell’inutilizzo che portava al riempimento completo d’acqua dei due ambienti di cui è formato, si cela, nascosto alla vista dagli arbusti, in un terreno privato.

Il primo ambiente è un corridoio scavato nella roccia a sezione pressoché quadrata; esso misura approssimativamente 2,70 metri in larghezza, poco meno di 3 metri in altezza e si sviluppa per circa 30 metri.

A circa tre quarti della sua profondità, sulla parete di sinistra, sono presenti delle concrezioni calcaree giallastre, colore dovuto allo zolfo presente in questa zona della grotta, e uno stillicidio continuo.

Questo primo ambiente finisce con una parete perfettamente liscia, al centro della quale un varco dalla forma ad arco a “sesto acuto”, della profondità di quasi 2 metri, che denota ulteriormente la fattura antropica dell’intero complesso.

Questa sorta di porta conduce nella camera principale: una piccola cattedrale rilucente, una cupola alta fino a 4 metri, con il tetto costellato da migliaia di stalattiti, frutto del lento accumularsi dei sali minerali trasportati dall’acqua che filtra nel sottosuolo.

Sulle pareti, ad un’altezza da terra di circa 3 metri, sono ancora visibili dei piccoli fori, di qualche centimetro di diametro e profondità, forse effettuati per l’alloggiamento di fiaccole.

In posizione fondale, perfettamente in linea con l’asse longitudinale dell’intero complesso e con il varco di collegamento, è situata una piccola nicchia, anch’essa apparentemente sormontata da un arco a sesto acuto, delle dimensioni di circa 60 x 100 cm ed una profondità di circa 40.

All’interno, un altro incavo, di dimensioni molto ridotte (10 x 20 cm, per una profondità di un’altra decina di cm), che appare essere la vera e propria “bocca della sorgente”, essendo in tal punto lo stillicidio un po’ più copioso e continuo, definito il “Sancta Sanctorum” del complesso rupestre.

Alla base della “nicchia”, consistenti concrezioni minerali, bianchissimi, puri, stratificati e declinanti verso il centro dell’ambiente.

La presenza di due sorgenti, di cui la prima, in posizione defilata nella prima sala e caratterizzata dalla presenza di zolfo, mentre la seconda, pura e cristallina, in posizione più solenne, nella sala circolare, hanno fatto pensare al complesso come luogo destinato alla celebrazione di riti orfici.

Tramite lo studio della Lamina di Hipponion (oggi presente nel Museo Archeologico Nazionale di Vibo Valentia) si conoscono alcuni aspetti importanti su questi rituali tra cui

“il divieto di bere alla prima fonte e l’importanza di bere alla seconda, la fonte della Dea Memoria (Mnemosyne), che risulta atto indispensabile per avviarsi alla via della salvezza”

Le due sorgenti, cioè, una venefica e l’altra, la seconda, pura, non erano che lo strumento per l’esplicazione di un rito, con certezza attestato e celebrato in antichità in Calabria.

Foto: Angelo Cavallaro

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