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E LETTA FINISCE COME IL SUO AUTOBUS

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Fino a qualche settimana fa al Nazareno se la immaginavano diversa la partita delle elezioni. Enrico Letta, non proprio un campione di vittorie e preferenze, voleva essere il frontman del campo largo di una sinistra che per sua dabbenaggine ha portato al camposanto, grazie anche al numero di gaffe, amletismi e giravolte che avrebbero spazientito perfino Giobbe e la sua promessa di resistenza biblica. Ora questo armamentario d’inconsistenza politica e di strategia da Topolino, con tutta la sua letizia a perdere, s’è ritrovato in vetrina a Potenza, in una sala apparecchiata per pochi intimi, alcuni dei quali in vicinanza col Terzo Polo e su cui pare sia posato l’occhio inquisitore del segretario La Regina, peraltro dopo aver fatto prima fuori alieni ed Israele. Eppure qui Letta, con la sua dialettica da tisana riscaldata, è riuscito a toccare apici da mitologia lunare. Ha difeso l’indifendibile La Regina, sorriso al figliol prodigo che l’aveva pur abbandonato per Renzi, nicchiato sulla defenestrazione di donne dem e farfugliato che il PD non è un autobus da cui si scende invece di preoccuparsi esattamente del contrario e cioè che su quell’autobus non ci vuole salire più nessuno. Scriveva Lina Furlan: “Autobus, un veicolo che ha posti vuoti quando va nella direzione opposta”.

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