IL “TESORO” CUSTODITO NELLA CHIESA SAN NICOLA DI FORENZA: LA TELA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE
È la più grande ed importante parrocchia del paese e tra le sue mura nonostante l’attuale povertà degli interni è conservato un capolavoro d’arte pittorica voluta espressamente per questo luogo
La cittadina di Forenza, già oggetto di interesse in questa testata per la recente scoperta di un architrave appartenente all’antica chiesa dell’Annunziata, torna quest’oggi alla ribalta per un’interessante tela conservata nella parrocchia di S. Nicola. La chiesa in cui la tela è custodita è la più grande ed importante del paese, ma, a differenza di quanto ci si aspetterebbe, l’edificio non sorge sulla pubblica piazza: la sua alta facciata, infatti, si innalza defilata su una via laterale, via S. Nicola, con il portale d’accesso quasi dirimpetto alla grande salita di vico Consiglio. La bella ed elegante mole dell’edificio fu ultimata nella seconda metà del XIX secolo ed abbellita di stucchi, marmi e opere scultoree nei decenni successivi. Purtroppo, a seguito degli interventi eseguiti dopo il terremoto del 1976, l’edificio ha perso quell’aura di mistica sacralità data da quanto costruttori e devoti avevano profferto per il suo abbellimento. Nonostante l’attuale povertà degli interni, essa conserva ancora alcuni capolavori d’arte che meritano comunque una visita al luogo. Cosa di insolito interesse di questo edificio sacro è la quasi totale assenza di opere pittoriche. Nella chiesa, infatti, sono presenti solo due dipinti: uno è l’antica raffigurazione di una Madonna con bambino detta “Madonna dell’Armenia”, proveniente però da un’altro edificio di culto del paese, l’altro è “L’Immacolata Concezione”, unica opera d’arte pittorica voluta espressamente per questo luogo. Questa tela di generose dimensioni, che sviluppa il suo impianto in maniera verticale, raffigura una giovane Madonna assisa in cielo su una nuvola, avvolta in una candida veste drappeggiata da un mantello blu-azzurro: con un piede calpesta una falce lunare – un chiaro rimando all’Apocalisse di S. Giovanni – e dal suo volto si irradiano raggi, mentre turbinii di angeli sembrano sostenerla e accoglierla nella sua apoteosi. Sino a qualche anno fa la tela trovava posto nell’altare che era stato appositamente creato per ospitarla: l’altare Tufaroli, anche noto come altare dell’Immacolata Concezione. Il bell’altare marmoreo è stato, purtroppo, in tempi recentissimi distrutto in seguito ad alcuni lavori di manutenzione effettuati sulla muratura retrostante, e di esso non ci rimangono che alcune sparute fotografie. Il bell’altare dal solido impianto déco, di cui purtroppo lo scrivente è riuscito a reperire solo un’immagine in bianco e nero, era eseguito molto probabilmente in grigio carnico, un marmo nero generosamente screziato di bianco, e nelle sue finiture in botticino, un marmo dalla colorazione chiara, che può presentare alcune lievi variazioni cromatiche nella tonalità, mentre nel paliotto erano probabilmente incassati pannelli in marmi orientali. L’altare trovava posto nella cappella absidata della navata sinistra, giusto di fianco all’altar maggiore, e sfoggiava nel suo alzato la bella pala di nostro interesse. L’insieme era stato voluto nel periodo tra le due guerre dalla ricca e potente famiglia Tufaroli, grandi proprietari terrieri e commercianti di grano, trasferitasi dalla Puglia a Forenza nel XVIII secolo. Il bel dipinto, acquistato con ogni probabilità dai Tufaroli sul mercato antiquario romano, fu il fulcro sul quale vennero ideati i bei parati marmorei dell’altare che non concorrevano a null’altro che all’esaltazione della tela stessa: da un alto basamento, al quale stava addossata la bella mensa dell’altare decorata da un paliotto tripartito, si innalzavano quattro lesene, accoppiate a due a due, dagli eleganti capitelli tuscanici, dalle quali sorgeva una bella trabeazione modanata, culminante in un imponente timpano. Il dipinto purtroppo risulta ancora privo di paternità, seppur se ne possano apprezzare la notevole finezza esecutiva e la maestria di realizzazione. Forse in maniera un po’ frettolosa si è datata la sua esecuzione al XVIII secolo, ma invero esso risulta assai più vicino ai nostri tempi e databile al tardo ‘800. Il dipinto, infatti, non è un’opera originale, bensì una copia de “L’immacolata Concezione” eseguita in origine dal pittore spagnolo Bartolomé Esteban Murillo nel 1678 su commissione di don Justino De Neve per l’altare della chiesa dell’ospizio di Los Venerables di Siviglia. Il dipinto originale, all’epoca della sua esecuzione, seppur apprezzato non suscitò grandi clamori, non essendo tra l’altro il soggetto nuovo al pittore. Esso trascorse pacifico la propria esistenza nella sua bella cornice dorata sino al 1809, quando, invasa la Spagna dall’esercito Napoleonico, i suoi generali iniziarono a far razzia di opere d’arte: in questo frangente il maresciallo Nicolas Jean-de-Dieu Soult lo fece prelevare dalla chiesa, portandolo senza clamore nella sua residenza di Parigi. Il dipinto rimase appeso alle pareti di casa sua sino al 1852 quando, dopo la sua morte, gli eredi ne decisero la vendita. Fu proprio grazie a questa decisione che il dipinto iniziò ad avere un enorme risalto sulla scena internazionale. Esso, infatti, venne acquistato dal Museo del Louvre, che pagò la cifra più alta mai pagata sino a quel momento per un dipinto: fu sborsata dal museo l’esorbitante cifra di 61300 franchi oro. La cosa rimbalzò a livello globale, suscitando enorme interesse per il quadro, che iniziò ad essere riprodotto in stampe, santini e pubblicazioni religiose, divenendo all’epoca l’equivalente di quella che per noi è la “Madonna con Bambino” di Roberto Ferruzzi. La fama dell’opera rimase sulla cresta dell’onda per più di mezzo secolo grazie anche agli ultimi ritrovati della stampa cromolitografica che, perfezionata e resa maggiormente economica nel corso del XIX secolo, permise di conoscere il vero colorismo del dipinto e far sì che i copisti potessero riprodurla fedelmente anche nei colori. Il successo dell’opera fu di certo accentuato anche dalla bolla Ineffabilis Deus emessa da papa Pio IX l’8 dicembre del 1854, appena due anni dopo la vendita del dipinto, nella quale egli proclamava il dogma dell’Immacolata Concezione, e che di certo incentivò ancor di più il proliferare delle riproduzioni del dipinto di nostro interesse. Va sottolineato, infatti, che proprio dalla metà dell’800 il ricco mercato borghese richiedeva copie dei più famosi dipinti europei che, realizzati da mirabili pittori con estrema perizia, erano spesso motivo di vanto e ammirazione da parte dei committenti. Davvero interessante risulta notare come l’Immacolata Concezione presente a S. Nicola non sia una mera e sterile copia della più famosa tela di Murillo, ma sia stata filtrata attraverso la lente del gusto del periodo. Se infatti osserviamo i volti del dipinto non possiamo non notare forti somiglianze con i quadri del famoso pittore William Adolphe Bouguereau, le cui opere furono tra le più apprezzate tra l’‘800 e il ’900, segno questo che il pittore della tela di Forenza, oltre che un meritevole artista, conosceva i maggiori e più apprezzati pittori internazionali del periodo e che da essi sapeva trarre insegnamento e ispirazione. A differenza delle altre copie dell’Immacolata Concezione di Murillo – il cui dipinto tornò nel 1941 in Spagna, venendo scambiato dal Museo del Louvre con il “Ritratto di Maria Anna d’Austria” di Velàzquez, e da quel momento è esposto al Museo del Prado di Madrid – che si possono trovare in collezioni pubbliche e private o sul mercato antiquario, quella di Forenza, oltre che per la finezza esecutiva, si distingue anche per la rielaborazione del soggetto che, proiettato – per l’epoca – in una contemporaneità accattivante ma raffinata, è reso agli occhi dello spettatore moderno quasi più apprezzabile dell’originale capolavoro spagnolo. Il dipinto risulta inoltre assolutamente importante proprio per il periodo di realizzazione. Se infatti a Forenza molto nutrito risulta il campionario pittorico del XVIII secolo, senza la presenza di questa tela l’arte pittorica ottocentesca non sarebbe rappresentata. Tale dipinto, dunque, seppur giunto in paese in un momento successivo alla sua realizzazione, costituisce un importante documento dell’arte del XIX secolo, incarnando in pieno quello che era lo spirito artistico del periodo, che trovava spesso la sua più importante e riuscita rappresentazione a metà strada tra la copia degli illustri maestri e l’originalità dell’interpretazione.
Andrea Basana