AttualitàBasilicata

IL FALLIMENTO DELLA TECNOCRAZIA

L’appuntamento con le tematiche sociali che attanagliano il nostro tempo

Ospite negli studi di Cronache Tv il Coordinatore del Corso di Laurea Salzano: cogliere la sfida delle opportunità ihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu. Anche se nella sintesi Kantiana tale tesi viene superata come parte della conoscenza rimane il valore indiscusso dell’esperienza nella formazione delle idee e quindi della conoscenza stessa. L’Italia, dopo la prima Repubblica, ha fatto per quattro volte ricorso a figure Tecniche per cercare di far fronte ad una situazione economico-politica sempre più complicata. L’ultimo supertecnico è stato Mario Draghi il quale, come tutti i suoi illustri predecessori, è stato chiamato dai rappresentanti eletti al parlamento a spendere la propria immagine ed il prestigio raggiunto in ambito nazionale ed internazionale per superare l’ennesima insuperabile crisi del sistema politico italiano. Il problema vero è l’impossibilità concreta di sostenere la spesa pubblica oramai fuori controllo cui si aggiunge una ingovernabilità politica determinata da una legge elettorale studiata per consentire ai partiti di sostituirsi al popolo nella scelta dei parlamentari che non consente a nessuno schieramento di raggiungere una concreta autonomia di governo. La situazione che si è venuta a creare vede una classe politica che ha perso di vista ogni riferimento ideologico, che non si ispira a nessun modello sociale risultando priva di qualsivoglia idea di sviluppo avente come unico obiettivo l’arrembaggio alla finanza pubblica. Dalla caduta della prima repubblica le cose sono andate abbastanza bene per i faccendieri della politica fino a quando le spese sono risultate insostenibili. A quel punto, nel 1993 fu messa a punto una strategia che prevedeva uno schema molto semplice:  dato che a nessuno dei politici di professione conviene correre il rischio di inimicarsi il proprio elettorato con scelte impopolari viene chiamato un personaggio estraneo alla politica, sempre un economista, per sacrificarlo sull’altare della politica addossandogli tutte quelle scelte impopolari utili a far cassa: aumenti delle tasse, tagli alla spesa, ai servizi, alle pensioni, alla cultura, alla sanità, alla sicurezza e via discorrendo. I tecnocrati infatti non danno alcuna importanza all’elettorato ed  usano la propria posizione come una spada di Brenno prendendo decisioni così come usano fare nei propri uffici trattando il parlamento, al cui interno si annidano i burattinai occulti, alla stregua di un organo subalterno facendo passare tutte quelle spremute di lacrime e sangue a forza di leggi approvate con la fiducia e decreti legge. Nessuno, in quel coro di Eschilo che sono gli italiani, si chiede mai chi vota quei provvedimenti che dissanguano i cittadini e tagliano i servizi e a chi servono. Nessuno si accorge che neanche l’ombra di ciò che doveva essere la democrazia parlamentare disegnata della Costituzione è rimasta nell’emiciclo. Questa volta però si è andati troppo oltre. Draghi, uomo dell’alta finanza, ha trascinato l’Italia in una guerra (mai dichiarata), incostituzionale che comporta costi altissimi, giunta nel momento peggiore dopo una devastante pandemia, cui potrebbe seguire una crisi economica forse senza precedenti. Le prime avvisaglie sono gli aumenti senza controllo dei prezzi delle materie prime, dei generi di consumo e dell’energia: peggio di così sarebbe stato difficile fare. Però Draghi si era mosso sulla base di una sua strategia, perfettamente in linea con il suo profilo umano e professionale: chiudere accordi economici con gli USA e sfruttare, come fumo, i fondi del PNRR. Sulla carta questa è una teoria come un’altra ma nella pratica si è rivelata tutt’altra cosa. Qualcuno si è accorto infatti che all’Italia non conviene chiudere accordi economici in cambio di posizioni politiche imposte da altri  che portano al coinvolgimento della nostra Nazione in operazioni belliche che ne risucchierebbero tutti i vantaggi, non è ha bisogno. Il nostro Paese necessita piuttosto di una razionalizzazione della spesa pubblica, di una buona amministrazione, di provvedimenti atti a contrastare in maniera efficace la corruzione e la criminalità organizzata e, di tre fondamentali riforme: la riforma della legge elettorale, quella del fisco e quella della giustizia. Per il resto abbiamo tutte le carte in regola per poter traghettare la nostra Nazione al di là del guado e sedere dignitosamente al tavolo dei grandi. Le nostre industrie, i settori strategici d’impresa come il turismo, la moda, i prodotti alimentari sono già, in maniera solida, un’eccellenza a livello mondiale. Le nostre esportazioni possono andare in qualunque direzione, la nostra cultura si è affermata nel corso dei secoli come un patrimonio dell’umanità. Non abbiamo alcun bisogno di svendere l’Italia a chicchessia. Ci sono fondati sospetti che Enrico Mattei possa essere stato assassinato per una scelta come questa: rendere l’Italia indipendente da un punto di vista energetico. Ma una idea coraggiosa non muore con l’eroe che l’ha partorita. Anche se le scuole di partito sono scomparse a favore dei circoli di indottrinamento propedeutici al carrierismo militante e con questo la critica costruttiva è giunta l’ora in cui bisogna cominciare a dire apertamente le verità scomode, senza il timore di essere presi di mira dai poteri nazionali ed internazionali, più o meno occulti. Il nostro Paese necessita di una classe politica che torni a parlare alla Nazione, ai territori, ai comuni, alle persone. Che torni nelle piazze, che raccolga le voci della gente dopo i comizi, che trovi il coraggio di mettersi in gioco sul piano programmatico. Il nostro Paese necessita di una legge elettorale che permetta stabilità di governo. Il punto in cui siamo giunti ha decretato il fallimento della tecnocrazia. Non si può più far finta di non sapere che l’onere e la responsabilità del governo del Paese ricade su tutti coloro che hanno scelto di ricoprire cariche politiche e non sul capro espiatorio di turno messo lì per essere arso nel falò delle scelte impopolari dopo aver esaurito il suo compito di fustigare i cittadini. A dispetto di quanto comunemente si crede  la politica, fatta con senso di responsabilità,  è una professione difficile che richiede competenze, spirito di sacrificio, coraggio, esperienza e tutto questo va recuperato ad ogni costo. Per questo ben vengano le candidature di uomini che abbiano maturato la giusta esperienza per guidare la gigantesca macchina del governo. Un tale dato non dev’essere interpretato a priori come un evento negativo purché l’azione di questi uomini possa svolgersi in un contesto completamente diverso da quello delle ultime legislature e fortunatamente, almeno qui in Basilicata, i nostri politici, probabili candidati, rispondono a questi requisiti in quanto conoscono capillarmente il proprio territorio e i suoi abitanti, le criticità strutturali ed organizzative delle diverse aree della Regione e quindi non resta che valorizzare, paradossalmente con un passo in dietro, le potenzialità offerte da questi uomini e donne lavorando  insieme a loro per contribuire a dipanare quella matassa di storture che si è venuta a creare negli ultimi trent’anni aggiungendo un altro elemento cruciale: il recupero della leva politica dando spazio ai giovani e invogliandoli  ad occuparsi di politica per far fronte, a suo tempo, all’inevitabile passaggio generazionale del testimone. Non sempre però ciò che i politici fanno i politici approvano. Nella gran parte dei casi sia la scelta dei politici che le scelte che i politici fanno vanno nella direzione di soddisfare le richieste dell’elettorato e quindi senza il “ motore primo”, tanto per non discostarci troppo dalla nostra vocazione filosofica, il politico rischia di diventare vittima del suo inganno trasformandosi a sua volta nel manichino su cui viene cucito il vestito del mal costume e della mediocrità del popolo italiano.

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