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PRIMO APPUNTAMENTO PUBBLICO DI PAPA FRANCESCO IN CANADA

Il Pontefice riconsegna i mocassini donati dagli indigeni negli incontri a Roma, in ricordo dei bambini delle scuole residenziali vittime di “politiche di assimilazione devastanti”: “Le scuse sono un primo passo. Camminare insieme perché le sofferenze del passato lascino il posto a un futuro di guarigione”

PAPA FRANCESCO 

Il Capo Littlechild al Papa: un onore camminare insieme sulla via della riconciliazione

Ottenere per i giovani vera guarigione e vera speranza, dopo un passato di devastazione. Lo sperano le popolazioni indigene First Nations, Mètis e Inuit nel primo incontro con Francesco a Maskwacis. A rivolgere il saluto di benvenuto è il capo indigeno Wilton Littlechild, sopravvissuto alle scuole residenziali e promotore di un cammino di riconciliazione, verità e giustizia, condiviso dal successore di Pietro, ora pellegrino in Canada in spirito penitenziale

Gabriella Ceraso – Città del Vaticano

“Santità, Kitatamihi, benvenuto nella nostra terra”.

Risuona forte sul suolo canadase la voce dei popoli indigeni, che lo abitano “da tempo immemorabile”, e questa voce ancestrale parla oggi al successore di Pietro, che ha “viaggiato tanto” per farsi pellegrino con ciascuno di loro. La voce è quella di Chief Wilton Littlechild, “Aquila Dorata” nella lingua Cree. Il capo indigeno, 78 anni ad aprile, ritrova nella sua terra il Papa che aveva lasciato a Roma i primi di aprile con la promessa di rincontrarsi per continuare a parlare di verità, giustizia, perdono. Ora la promessa si avvera ed è proprio lui ad accogliere Francesco al suo arrivo al Bear Park Pow-Wow Grounds, di ritorno dalla sosta silenziosa e solitaria di preghiera, nel cimitero e al memoriale del mancato ritorno di tanti bambini indigeni alle loro famiglie, strappati in nome di un’azione omologatrice studiata a tavolino con la partecipazione dei cristiani, nei secoli scorsi.

Il memoriale di Maskwacis

Siamo nell’area di Maskwacis, nell’Alberta centrale, nelle riserve del gruppo delle Tribù Indiane del Canada occidentale, l’area delle scuole residenziali destinate all’assimilazione culturale, in cui entrarono circa 150 mila piccoli indigeni tra l’800 e il ‘900, e un numero imprecisato vi trovò la morte per maltrattamenti, malnutrizione e abusi. Anche Littlechild era tra questi, come, prima di lui, i suoi genitori sopravvissuti a tanto orrore, ma non tanto da poter crescere i figli, lasciati ai nonni: da loro Littlechild fu portato via per frequentare la Ermineskin Residential School, dove, senza più un nome, ma solo con un’uniforme, sarebbe stato conosciuto come il numero 65. Una infanzia segnata che lo ha trasformato in un uomo impegnato, che non si arrende alla ricerca della giustizia: dalla partecipazione alla Commissione Per la Verità e la Riconciliazione, alla presenza nel Board del fondo creato dai vescovi canadesi per i progetti di riconciliazione. 

Il memoriale di Maskwacis
Lo sforzo di Francesco, una benedizione

Tutto questo Francesco lo sa: a Roma ha ascoltato ogni storia relativa alle scuole e sofferto per ogni strazio, e le delegazioni dei popoli indigeni che oggi lo ritrovano, lo ricordano bene. E l’apprezzamento è grande: “È un grande onore accoglierLa tra noi. Ha viaggiato molto per essere con noi sulla nostra terra e per camminare con noi sulla via della riconciliazione” sono le prime parole di Littlechild che mette in evidenza il “grande sforzo personale” di Francesco per arrivare così lontano, una “benedizione”. Con “Aquila dorata” parlano anche le rappresentanze presenti di Métis e Inuit con i loro canti, le danze, gli abiti ricchi e colorati, giovani, anziani, bambini e famiglie, che, dice il capo indigeno con orgoglio, abitano la terra del Canada, parte di Turtle Island, loro patria. Maskwacis in particolare è la terra ancestrale di alcuni di loro e in ogni nome si sente un’appartenzenza, un legame con il suolo e con le sue creature.

La terra e il dolore

Il mio nome è “Usow- Kiew”, dice, “sono stato studente qui alla scuola residenziale di Ermineskin” che oggi le rappresenta tutte. Luoghi – aveva detto il Papa ricevendoli a Roma 1 aprile 2022, in cui si è manifestata l’agghiacciante volontà di far perdere la propria dignità.” Oggi il Papa li ha davanti agli occhi un’altra volta, alcuni dei sopravvissuti. Littlechild racconta di aver ascoltato, come membro della Commissione per la Verità e Riconciliazione – attiva dal 2008 al 2015 proprio per far luce  sulla realtà di quelle scuole e avviare progetti di riconciliazione – circa 7000 testimonianze di ex allievi sopravvissuti. Poi, ricorda l’incontro in Vaticano in primavera e si comprende dalle sue parole quanto tutti siano stati colpiti dall’ascolto del Papa. Già lo avevano detto in tanti a Roma: “Abbiamo avvertito il dolore nelle sue reazioni”

La compassione di Francesco fonte di profondo conforto

E così oggi ripete anche Littlechild: “Durante il nostro tempo con Lei, è stato chiaro a tutti noi che ha ascoltato profondamente e con grande compassione le testimonianze che hanno raccontato del modo in cui la nostra lingua è stata repressa, la nostra cultura ci è stata sottratta e la nostra spiritualità denigrata. Ha sentito la devastazione che è seguita dal modo in cui le nostre famiglie sono state distrutte. Le parole che ci ha rivolto in risposta sono venute chiaramente dal profondo del Suo cuore e sono state per coloro che le hanno ascoltate fonte di profondo conforto e grande incoraggiamento”. Fu allora – ricorda – che il Papa espresse il desiderio di viaggiare per raggiungere il Canada dove, aveva detto, “potrà meglio esprimervi la mia vicinanza”.

Ci sia una vera guarigione  e una vera speranza per le generazioni future

Ed ora il primo passo insieme, si sta muovendo: “Ha detto che viene come pellegrino – afferma il capo indigeno – cercando di camminare insieme a noi sulla via della verità, della giustizia, della guarigione, della riconciliazione e della speranza”. Oltre alla gioia di questa vicinanza nel viaggio c’è una speranza nelle parole conclusive di Littlechild, quella che l’incontro di oggi e i discorsi pronunciati “otterranno una vera guarigione e una vera speranza per molte generazioni a venire”.

Santità, Kitatamihi, benvenuto nella nostra terra.

Il Papa: chiedo umilmente perdono agli indigeni per il male fatto da tanti cristiani
Primo appuntamento pubblico del viaggio in Canada a Maskwacìs, dove Francesco incontra i rappresentanti di Métis, Inuit e First Nations. Il Pontefice riconsegna i mocassini donati dagli indigeni negli incontri a Roma, in ricordo dei bambini delle scuole residenziali vittime di “politiche di assimilazione devastanti”: “Le scuse sono un primo passo. Camminare insieme perché le sofferenze del passato lascino il posto a un futuro di guarigione”

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

“Vorrei ribadirlo con vergogna e chiarezza: chiedo umilmente perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene”

Nella distesa verde di Maskwacìs, tra i teepee, le tradizionali tende in pelle e corteccia di betulla, e targhe in memoria di chi dalle scuole residenziali non è più tornato a casa, la voce di Francesco risuona quasi come un soffio. È potente, tuttavia, il “grido di dolore” che emerge dalle parole del Papa per un passato di crudeltà, caratterizzato da “devastanti” e “catastrofiche” politiche di assimilazione e da “abusi fisici e verbali, psicologici e spirituali” contro gli indigeni, di cui anche la Chiesa cattolica si è resa responsabile. 

Sono profondamente addolorato: chiedo perdono per i modi in cui, purtroppo, molti cristiani hanno sostenuto la mentalità colonizzatrice delle potenze che hanno oppresso i popoli indigeni. Sono addolorato.

Prima tappa tra gli indigeni

Il viaggio papale in Canada inizia con la visita in questa terra di ancestrale presenza indigena. Terra di orsi e mirtilli nel centro di Alberta e a un centinaio di chilometri a sud di Edmonton, conosciuta come “Bear hills” e fino al 2014 denominata Hobbema. Vi risiedono due comunità Cree First Nations, una nella riserva Ermineskin, a nord, l’altra nella riserva Samson, a sud.

Oggi sono qui a ricordare il passato, a piangere con voi, a guardare in silenzio la terra, a pregare presso le tombe

Non l’incontro con le autorità segna quindi, come sempre nei viaggi apostolici, il primo appuntamento pubblico del Papa in Canada, ma l’abbraccio – tanto ideale, quanto reale – a First Nations, Métis e Inuit. Un modo per rendere concreta quell’idea di “pellegrinaggio penitenziale” con la quale il Pontefice ha voluto definire la sua 37.ma trasferta internazionale.

Perdono, guarigione, riconciliazione

Dopo l’arrivo di ieri a Edmonton, che già aveva visto un primo momento con gli aborigeni tra mani baciate e intrecciate e frasi sussurrate all’orecchio, il Papa entra oggi in “casa” delle comunità originarie. Vi giunge in sedia a rotelle, con le mani giunte, mentre un uomo anziano alterna voce e tamburo in un canto in lingua Cree. Subito il Papa si reca nel cimitero delle popolazioni indigene e prega tra nude croci in legno. Poi entra nella chiesa dedicata alla Madonna dei sette dolori e benedice un lungo striscione rosso con i nomi dei bambini delle scuole residenziali che viene poi fatto sfilare nella platea del Bear Park Pow-Wow Ground, tra musica, danze, canti tradizionali. Da questa struttura circolare, sul palco bianco, affiancato dai capi indigeni, il Papa ribadisce quella richiesta di perdono che aveva suggellato, lo scorso primo aprile, i tre giorni di incontro e ascolto in Vaticano con le popolazioni autoctone canadesi.

Attendevo di giungere tra voi… Giungo nelle vostre terre natie per dirvi di persona che sono addolorato, per implorare da Dio perdono, guarigione e riconciliazione, per manifestarvi la mia vicinanza, per pregare con voi e per voi.

I mocassini in ricordo di chi non c’è più 

E alle giornate di Roma Papa Francesco fa riferimento nel suo discorso interamente pronunciato in spagnolo dinanzi al premier Justin Trudeau e ai capi indigeni provenienti da tutto il Paese, con i loro copricapi piumati ornati da perline. Il Papa ricorda infatti le due paia di mocassini offertegli in dono quattro mesi fa: “Segno della sofferenza patita dai bambini indigeni”. Maskwacìs è sede dell’ex Ermineskin Residential School, uno dei più grandi siti scolastici residenziali del Canada, dove, secondo il Centro nazionale per la verità e la riconciliazione (NCTR), numerosi studenti sono deceduti a causa di sovraffollamento e malattie.

In loro ricordo il Papa consegna nuovamente le simboliche calzature in perline rosse, che le First Nations – come spiegavano in una nota – avevano donato ad aprile “come segno della volontà di perdonare se c’è un’azione significativa da parte della Chiesa”. “Mi era stato chiesto di restituire i mocassini una volta arrivato in Canada – scandisce Francesco – lo farò al termine di queste parole, per le quali vorrei prendere spunto proprio da questo simbolo, che ha ravvivato in me nei mesi passati il dolore, l’indignazione e la vergogna. Il ricordo di quei bambini infonde afflizione ed esorta ad agire affinché ogni bambino sia trattato con amore, onore e rispetto”.

Un futuro di giustizia

Quei mocassini, però, “parlano anche di un cammino, di un percorso che desideriamo fare insieme”:

Camminare insieme, pregare insieme, lavorare insieme, perché le sofferenze del passato lascino il posto a un futuro di giustizia, guarigione e riconciliazione

Fare spazio alla memoria

Lo sguardo del Papa è proiettato all’avvenire. Che non significa però cancellare il passato, anzi. La tappa a Maskwacìs vuole proprio “fare spazio alla memoria”, chiarisce il Pontefice. Anzitutto la memoria di usanze, legami e stili di vita sviluppati per secoli in questa terra “trattata come un dono del Creatore”. Poi la “memoria sanguinante” di quanto accaduto nelle scuole residenziali, a causa di politiche di assimilazione e di una mentalità colonizzatrice da cui molti cristiani non sono stati esenti.

Il luogo in cui ci troviamo fa risuonare in me un grido di dolore, un urlo soffocato che mi ha accompagnato in questi mesi

Cicatrici aperte

Jorge Mario Bergoglio parla di “ferite”, di “sofferenze”, di “cicatrici ancora aperte”, di “traumi” che rivivono nell’animo di questa gente ogni volta che vengono rievocati. “Mi rendo conto che anche il nostro incontro odierno può risvegliare ricordi e ferite, e che molti di voi potrebbero trovarsi in difficoltà mentre parlo”, ammette. Tuttavia “è giusto fare memoria, perché la dimenticanza porta all’indifferenza e – aggiunge, citando Eli Wiesel – l’opposto dell’amore non è l’odio, è l’indifferenza”.  

Allora anche se “colpisce, indigna, addolora”, ricordare quanto avvenuto in questi istituti è “necessario”.

Necessario ricordare come le politiche di assimilazione e di affrancamento, che comprendevano anche il sistema delle scuole residenziali, siano state devastanti per la gente di queste terre. Quando i coloni europei vi arrivarono per la prima volta, c’era la grande opportunità di sviluppare un fecondo incontro tra culture, tradizioni e spiritualità. Ma in gran parte ciò non è avvenuto

Culture soppresse, abusi fisici e verbali 

Ciò che è avvenuto è invece quello che alcuni sopravvissuti delle delegazioni del Canada hanno raccontato al Papa durante le udienze nel Palazzo apostolico. Racconti “di come le politiche di assimilazione hanno finito per emarginare sistematicamente i popoli indigeni; di come, anche attraverso il sistema delle scuole residenziali, le vostre lingue e culture sono state denigrate e soppresse; di come i bambini hanno subito abusi fisici e verbali, psicologici e spirituali; di come sono stati portati via dalle loro case quando erano piccini e di come ciò abbia segnato in modo indelebile il rapporto tra i genitori e i figli, i nonni e i nipoti”. Ne è vivido la testimonianza resa, prima del discorso del Papa, dal capo indigeno Wilton Littlechild, anch’egli venuto a marzo a Roma, a 77 anni, con il deambulatore.

Un errore incompatibile col Vangelo di Cristo

Francesco ringrazia lui e tutti gli indigeni “per avermi fatto entrare nel cuore tutto questo, per aver tirato fuori i pesanti fardelli che portate dentro. Chiedo perdono, in particolare, per i modi in cui molti membri della Chiesa e delle comunità religiose hanno cooperato, anche attraverso l’indifferenza, a quei progetti di distruzione culturale e assimilazione forzata dei governi dell’epoca, culminati nel sistema delle scuole residenziali”.

“Sebbene la carità cristiana fosse presente e vi fossero non pochi casi esemplari di dedizione per i bambini, le conseguenze complessive delle politiche legate alle scuole residenziali sono state catastrofiche”, riconosce il Papa.

“Si è trattato di un errore devastante, incompatibile con il Vangelo di Gesù Cristo”

“Addolora – aggiunge – sapere che quel terreno compatto di valori, lingua e cultura, che ha conferito alle vostre popolazioni un genuino senso di identità, è stato eroso, e che voi continuiate a pagarne gli effetti. Di fronte a questo male che indigna, la Chiesa si inginocchia dinanzi a Dio e implora il perdono per i peccati dei suoi figli”.

Le scuse, punto di partenza
Il Papa: chiedo umilmente perdono agli indigeni per il male fatto da tanti cristiani
Primo appuntamento pubblico del viaggio in Canada a Maskwacìs, dove Francesco incontra i rappresentanti di Métis, Inuit e First Nations. Il Pontefice riconsegna i mocassini donati dagli indigeni negli incontri a Roma, in ricordo dei bambini delle scuole residenziali vittime di “politiche di assimilazione devastanti”: “Le scuse sono un primo passo. Camminare insieme perché le sofferenze del passato lascino il posto a un futuro di guarigione”

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

“Vorrei ribadirlo con vergogna e chiarezza: chiedo umilmente perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene”

Nella distesa verde di Maskwacìs, tra i teepee, le tradizionali tende in pelle e corteccia di betulla, e targhe in memoria di chi dalle scuole residenziali non è più tornato a casa, la voce di Francesco risuona quasi come un soffio. È potente, tuttavia, il “grido di dolore” che emerge dalle parole del Papa per un passato di crudeltà, caratterizzato da “devastanti” e “catastrofiche” politiche di assimilazione e da “abusi fisici e verbali, psicologici e spirituali” contro gli indigeni, di cui anche la Chiesa cattolica si è resa responsabile. 

Sono profondamente addolorato: chiedo perdono per i modi in cui, purtroppo, molti cristiani hanno sostenuto la mentalità colonizzatrice delle potenze che hanno oppresso i popoli indigeni. Sono addolorato.

Prima tappa tra gli indigeni 

Il viaggio papale in Canada inizia con la visita in questa terra di ancestrale presenza indigena. Terra di orsi e mirtilli nel centro di Alberta e a un centinaio di chilometri a sud di Edmonton, conosciuta come “Bear hills” e fino al 2014 denominata Hobbema. Vi risiedono due comunità Cree First Nations, una nella riserva Ermineskin, a nord, l’altra nella riserva Samson, a sud.

Oggi sono qui a ricordare il passato, a piangere con voi, a guardare in silenzio la terra, a pregare presso le tombe

Non l’incontro con le autorità segna quindi, come sempre nei viaggi apostolici, il primo appuntamento pubblico del Papa in Canada, ma l’abbraccio – tanto ideale, quanto reale – a First Nations, Métis e Inuit. Un modo per rendere concreta quell’idea di “pellegrinaggio penitenziale” con la quale il Pontefice ha voluto definire la sua 37.ma trasferta internazionale.

Le croci nel cimitero di Maskwacìs
Le croci nel cimitero di Maskwacìs
Perdono, guarigione, riconciliazione

Dopo l’arrivo di ieri a Edmonton, che già aveva visto un primo momento con gli aborigeni tra mani baciate e intrecciate e frasi sussurrate all’orecchio, il Papa entra oggi in “casa” delle comunità originarie. Vi giunge in sedia a rotelle, con le mani giunte, mentre un uomo anziano alterna voce e tamburo in un canto in lingua Cree. Subito il Papa si reca nel cimitero delle popolazioni indigene e prega tra nude croci in legno. Poi entra nella chiesa dedicata alla Madonna dei sette dolori e benedice un lungo striscione rosso con i nomi dei bambini delle scuole residenziali che viene poi fatto sfilare nella platea del Bear Park Pow-Wow Ground, tra musica, danze, canti tradizionali. Da questa struttura circolare, sul palco bianco, affiancato dai capi indigeni, il Papa ribadisce quella richiesta di perdono che aveva suggellato, lo scorso primo aprile, i tre giorni di incontro e ascolto in Vaticano con le popolazioni autoctone canadesi.

Attendevo di giungere tra voi… Giungo nelle vostre terre natie per dirvi di persona che sono addolorato, per implorare da Dio perdono, guarigione e riconciliazione, per manifestarvi la mia vicinanza, per pregare con voi e per voi.

Nella chiesa dedicata alla Madonna dei sette dolori, Papa Francesco benedice un lungo striscione con i nomi dei bambini delle scuole residenziali
Nella chiesa dedicata alla Madonna dei sette dolori, Papa Francesco benedice un lungo striscione con i nomi dei bambini delle scuole residenziali
I mocassini in ricordo di chi non c’è più 

E alle giornate di Roma Papa Francesco fa riferimento nel suo discorso interamente pronunciato in spagnolo dinanzi al premier Justin Trudeau e ai capi indigeni provenienti da tutto il Paese, con i loro copricapi piumati ornati da perline. Il Papa ricorda infatti le due paia di mocassini offertegli in dono quattro mesi fa: “Segno della sofferenza patita dai bambini indigeni”. Maskwacìs è sede dell’ex Ermineskin Residential School, uno dei più grandi siti scolastici residenziali del Canada, dove, secondo il Centro nazionale per la verità e la riconciliazione (NCTR), numerosi studenti sono deceduti a causa di sovraffollamento e malattie.

In loro ricordo il Papa consegna nuovamente le simboliche calzature in perline rosse, che le First Nations – come spiegavano in una nota – avevano donato ad aprile “come segno della volontà di perdonare se c’è un’azione significativa da parte della Chiesa”. “Mi era stato chiesto di restituire i mocassini una volta arrivato in Canada – scandisce Francesco – lo farò al termine di queste parole, per le quali vorrei prendere spunto proprio da questo simbolo, che ha ravvivato in me nei mesi passati il dolore, l’indignazione e la vergogna. Il ricordo di quei bambini infonde afflizione ed esorta ad agire affinché ogni bambino sia trattato con amore, onore e rispetto”.

Un futuro di giustizia

Quei mocassini, però, “parlano anche di un cammino, di un percorso che desideriamo fare insieme”:

Camminare insieme, pregare insieme, lavorare insieme, perché le sofferenze del passato lascino il posto a un futuro di giustizia, guarigione e riconciliazione

I leader indigeni del Canada accolgono il Papa a Maskawacìs
I leader indigeni del Canada accolgono il Papa a Maskawacìs
Fare spazio alla memoria

Lo sguardo del Papa è proiettato all’avvenire. Che non significa però cancellare il passato, anzi. La tappa a Maskwacìs vuole proprio “fare spazio alla memoria”, chiarisce il Pontefice. Anzitutto la memoria di usanze, legami e stili di vita sviluppati per secoli in questa terra “trattata come un dono del Creatore”. Poi la “memoria sanguinante” di quanto accaduto nelle scuole residenziali, a causa di politiche di assimilazione e di una mentalità colonizzatrice da cui molti cristiani non sono stati esenti.

Il luogo in cui ci troviamo fa risuonare in me un grido di dolore, un urlo soffocato che mi ha accompagnato in questi mesi

Cicatrici aperte

Jorge Mario Bergoglio parla di “ferite”, di “sofferenze”, di “cicatrici ancora aperte”, di “traumi” che rivivono nell’animo di questa gente ogni volta che vengono rievocati. “Mi rendo conto che anche il nostro incontro odierno può risvegliare ricordi e ferite, e che molti di voi potrebbero trovarsi in difficoltà mentre parlo”, ammette. Tuttavia “è giusto fare memoria, perché la dimenticanza porta all’indifferenza e – aggiunge, citando Eli Wiesel – l’opposto dell’amore non è l’odio, è l’indifferenza”.  

Allora anche se “colpisce, indigna, addolora”, ricordare quanto avvenuto in questi istituti è “necessario”.

Necessario ricordare come le politiche di assimilazione e di affrancamento, che comprendevano anche il sistema delle scuole residenziali, siano state devastanti per la gente di queste terre. Quando i coloni europei vi arrivarono per la prima volta, c’era la grande opportunità di sviluppare un fecondo incontro tra culture, tradizioni e spiritualità. Ma in gran parte ciò non è avvenuto

Culture soppresse, abusi fisici e verbali 

Ciò che è avvenuto è invece quello che alcuni sopravvissuti delle delegazioni del Canada hanno raccontato al Papa durante le udienze nel Palazzo apostolico. Racconti “di come le politiche di assimilazione hanno finito per emarginare sistematicamente i popoli indigeni; di come, anche attraverso il sistema delle scuole residenziali, le vostre lingue e culture sono state denigrate e soppresse; di come i bambini hanno subito abusi fisici e verbali, psicologici e spirituali; di come sono stati portati via dalle loro case quando erano piccini e di come ciò abbia segnato in modo indelebile il rapporto tra i genitori e i figli, i nonni e i nipoti”. Ne è vivido la testimonianza resa, prima del discorso del Papa, dal capo indigeno Wilton Littlechild, anch’egli venuto a marzo a Roma, a 77 anni, con il deambulatore.

Il saluto del Papa a un leader indigeno
Il saluto del Papa a un leader indigeno
Un errore incompatibile col Vangelo di Cristo

Francesco ringrazia lui e tutti gli indigeni “per avermi fatto entrare nel cuore tutto questo, per aver tirato fuori i pesanti fardelli che portate dentro. Chiedo perdono, in particolare, per i modi in cui molti membri della Chiesa e delle comunità religiose hanno cooperato, anche attraverso l’indifferenza, a quei progetti di distruzione culturale e assimilazione forzata dei governi dell’epoca, culminati nel sistema delle scuole residenziali”.

“Sebbene la carità cristiana fosse presente e vi fossero non pochi casi esemplari di dedizione per i bambini, le conseguenze complessive delle politiche legate alle scuole residenziali sono state catastrofiche”, riconosce il Papa.

“Si è trattato di un errore devastante, incompatibile con il Vangelo di Gesù Cristo”

“Addolora – aggiunge – sapere che quel terreno compatto di valori, lingua e cultura, che ha conferito alle vostre popolazioni un genuino senso di identità, è stato eroso, e che voi continuiate a pagarne gli effetti. Di fronte a questo male che indigna, la Chiesa si inginocchia dinanzi a Dio e implora il perdono per i peccati dei suoi figli”.

Le scuse, punto di partenza 

Queste scuse – chiarisce ancora Papa Francesco, concordando “pienamente” con gli indigeni – “non sono un punto di arrivo”, bensì “il primo passo, il punto di partenza”. “Sono anch’io consapevole che, guardando al passato, non sarà mai abbastanza ciò che si fa per chiedere perdono e cercare di riparare il danno causato e che, guardando al futuro, non sarà mai poco tutto ciò che si fa per dar vita a una cultura capace di evitare che tali situazioni non solo non si ripetano, ma non trovino spazio”.

Importante, in tal senso, “condurre una seria ricerca della verità sul passato e aiutare i sopravvissuti delle scuole residenziali a intraprendere percorsi di guarigione dai traumi subiti”. Allo stesso tempo, il Papa prega e spera “che i cristiani e la società di questa terra crescano nella capacità di accogliere e rispettare l’identità e l’esperienza delle popolazioni indigene”. E auspica “che si trovino vie concrete per conoscerle e apprezzarle, imparando a camminare tutti insieme”.  

Il pellegrinaggio in Canada

Da qui, una chiosa finale sul pellegrinaggio che proseguirà fino al 30 luglio: “Toccherà luoghi tra loro distanti, tuttavia non mi permetterà di dare seguito a molti inviti e visitare centri come Kamloops, Winnipeg, vari siti nel Saskatchewan, nello Yukon e nei Territori del Nordovest. Anche se ciò non è possibile, sappiate che siete tutti nei miei pensieri e nella mia preghiera”, assicura il Papa. “Sappiate che conosco la sofferenza, i traumi e le sfide dei popoli indigeni in tutte le regioni di questo Paese”. Dinanzi ad esse, il Papa chiede “silenzio e “preghiera”. Silenzio per “interiorizzare il dolore”. Preghiera al Dio del bene e della vita di fronte al “male” e alla “morte”, perché “sia Lui a farci camminare insieme”.

Un copricapo in dono al Papa

Al termine del discorso, interrotto più volte da applausi e accompagnato dalle lacrime dei presenti, due uomini salgono a ritmo di un suono cadenzato di tamburi sul palco per donare al Papa un copricapo piumato al Papa, segno di autorità e di una fiducia ritrovata. In tanti salgono i gradini per salutare e stringere la mano al Papa: consegnano doni e pergamene, Francesco – in piedi, appoggiato sul bastone – ricambia con un rosario. Alla fine indossa una stola in tela grezza arancione e benedice la folla con la quale recita in inglese la preghiera del Padre Nostro. 

Al termine dell’incontro con le popolazioni native del Canada a Maskwacis, il capo indigeno Wilton Littlechild, sopravvissuto all’ex scuola residenziale Ermineskin presso la quale si è svolta la cerimonia,

ha donato al Papa un copricapo da capo indiano, ponendoglielo solennemente sul capo al suono dei tamburi e di un canto tradizionale autoctono,

tra i forti applausi dei presenti

*^*

 

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